martedì, gennaio 31, 2006


Ricchi Russi crescono in Costa Smeralda
di Marella Giovannelli
Sono russi e billionaire businessmen già a trent’anni. “Mammoni” come gli italiani ma molto più precoci nel mettere su famiglia e, soprattutto nel fare tanti soldi. Arrivano in Costa Smeralda e a Porto Rotondo con moglie, figli, genitori o suoceri al seguito. Le loro richieste seguono sempre lo stesso copione: massima riservatezza e ville sul mare da acquistare o da affittare. Oppure, soggiorni, anche di un mese, negli alberghi più esclusivi. I russi in Sardegna, nel luglio 1997, hanno avuto un apripista eccellente in Michail Gorbaciov. Allora era viva anche Raissa e la coppia venne ospitata dall’editore cagliaritano Nichi Grauso, in una villa a pochi chilometri da Porto Cervo. Ma la Costa Smeralda, tra gli oligarchi post-sovietici, è diventata la destinazione turistica più trendy, un vero e proprio status symbol, con l’avvento di Putin. Nel 2002, in Russia arrivò l’eco delle vacanze passate dalle sue figlie Masha e Katya in una delle ville di Berlusconi che, l’anno successivo, ospitò “l’amico Vladimir” alla Certosa di Porto Rotondo. E, a far “diventare di moda” la Costa Smeralda sono state soprattutto le immagini suggestive di quella visita ufficial-balneare, descritta in tutti i particolare dai numerosi inviati delle principali testate russe. Il “mal di Sardegna” aveva comunque già colpito magnati di primissimo piano come Roustam Tariko e Vassily Anisimov. Il primo, dopo aver affittato per diversi anni dalla proprietaria Veronica Lario la sua Villa Minerva a Porto Rotondo, sulla spiaggia di Punta Volpe, è riuscito ad acquistarla, un paio di anni fa, per una trentina di miliardi delle vecchie lire. La signora Berlusconi ha quindi seguito l’esempio del marito; il Cavaliere, infatti, ancora prima di lei, aveva venduto ad Anisimov, uno dei re della metallurgia russa, la sua Villa Tulipano a Porto Cervo. Quest’anno, il multimiliardario Alisher Usmanov, amico e socio di Anisimov ha comprato la villa di Antonio Merloni al Romazzino. Il balletto delle cifre oscilla dai 25 ai 35 milioni e si è parlato molto parlato anche del bizzarro party in stile Carnevale di Venezia organizzato dal neo-prorietario Usmanov, produttore di acciaio, gas e materiali ferrosi. Gli ospiti, tutti in abiti d’epoca, sono arrivati a Romazzino sulle gondole fatte arrivare per l’occasione dalla Serenissima. Negli ultimi anni, l’onda lunga dell’effetto Putin e il tam-tam degli amici hanno trascinato in Costa Smeralda personaggi tanto ricchi e potenti quanto riservati e diffidenti. Allergici ai giornalisti, ai paparazzi e agli imbucati, riescono a tutelare al massimo la loro privacy. Un campione in questo senso è Oleg Deripaska, trentaseienne magnate dell’alluminio, secondo solo ad Abramovich nella classifica dei russi più ricchi ed imparentato con Boris Eltsin. Un paio di anni fa ha acquistato “Le Walkirie”, la villa più grande di Porto Cervo, per venti milioni di euro. Nella spettacolare dimora, intestata alla Starmark Holdings, sono spesso ospiti la figlia di Eltsin e Roman Abramovic, grande amico e socio di Deripaska. Abramovich, con la moglie e i due figli, preferisce comunque trascorrere le “ferie” sarde a bordo dell’ Ecstasea, del Grand Bleu o del Pelorous, dotato di un mini sommergibile con il quale si può mettere in salvo in caso di attacco. Altrettanto protetto è il suo jet privato, un Boeing 767-300 con un sofisticato sistema antimissile simile a quello installato sull’Air Force One di George W. Bush. E mentre gli yachts dei vip nostrani ricordano sempre più un gregge di pecore, tutti intruppati a Mortorio o davanti al Cala di Volpe, il petroliere-patron del Chelsea, l’uomo più ricco della Russia, naviga in lungo e in largo per visitare isolotti e calette. Le pubbliche relazioni fanno invece parte delle lunghe vacanze sarde di Roustam Tariko che, con la sua Russian Standard Vodka, ha accumulato una fortuna stimata attorno agli 870 milioni di dollari. Divide le sue giornate e le sue nottate fra gare di motonautica; riunioni di lavoro con banchieri e finanzieri arrivati a Porto Rotondo da tutto il mondo per incontrarlo a domicilio; serate blindate al Billionaire e vita da spiaggia con la famiglia. Compresa, naturalmente, mamma Tariko che l’affettuoso Roustam spesso porta anche al ristorante per delle riposanti cenette a due. Altra mamma russa, sempre presente nelle vacanze portorotondine del figlio, è la “boteriana” signora Kantor che ama sfrecciare nel parco di famiglia, a bordo di una macchinina elettrica, uguale a quella utilizzata da Berlusconi per scarrozzare Putin.L’industriale-mecenate-collezionista d’arte Kantor, nel giro di un paio di anni, ha acquistato due ville-gioiello a Punta Lada (pagando la prima 19 e la seconda 23 miliardi di ex lire), poco distanti da quelle dei Berlusconi: Silvio, Paolo e la sorella Antonietta. La prossima estate vedrà una new-entry russa, sempre a Porto Rotondo. Avrà il nome e il volto di un potente finanziere che, il mese scorso, si è accaparrato ad un prezzo molto interessante, una villa a Punta Volpe con lavori di ristrutturazione in corso. L’estate scorsa, a Porto Rotondo, c’è stato anche uno sbarco multiplo di famiglie russe che hanno preso in affitto alcune ville sul mare, tra le più prestigiose. Prezzo minimo: centomila euro al mese. La nuova “colonia” russa disponeva anche di due panfili: il Kijò che supera i 50 metri e il Duke Town di circa 40. Per tutti loro, vita molto tranquilla e familiare tra spiaggia,casa, barca e visite agli amici Un magnate tanto potente quanto misterioso ha voluto l’esclusiva di una mega-villa a Porto Rotondo, sulla scogliera di Punta Volpe per l’intera stagione, a partire da maggio, per i prossimi tre anni. E proprio in questa spettacolare dimora, lo scorso settembre, era ospite Boris Eltsin la cui vacanza è stata malamente interrotta da una rovinosa caduta casalinga con rottura del femore. Per i loro spostamenti in Costa Smeralda i russi non disdegnano l’elicottero, preso in affitto a duemila euro l’ora. Un’occasione di ritrovo, per loro, è anche la messa ortodossa, celebrata ogni giorno da un pope nella chiesa di Liscia di Vacca. La funzione più seguita è quella domenicale che fa registrare il tutto esaurito anche di Ferrari e Mercedes parcheggiate sul sagrato. E, nella chiesa di Porto Cervo, lo scorso 28 agosto, in onore di Stella Maris, la patrona della Costa Smeralda, cattolici e ortodossi hanno festeggiato insieme la santa che protegge i navigatori. Gli operatori locali dicono che “un buon russo si riconosce dall’orologio”. Sono diventati dei veri intenditori; chiusi nei cassetti i “patacconi” di qualche anno fa, ora sfoggiano cronografi complicati Vacheron Costantin o Patek Philippe. Spendono molto anche per scarpe, quadri e gioielli. Apprezzano soprattutto il made in Italy e il loro shopping tour include lunghe soste nelle boutiques di Versace, Missoni, Gucci e Prada, tutte nel cuore di Porto Cervo. Hanno il pallino dell’esclusività e quindi spendono volentieri mille euro a persona per i galà del Cala di Volpe, con cena e concerto a bordo piscina. Tra i vari locali della Costa preferiscono il Billionaire ma, ad andarci, sono soprattutto i russi “in rampa di lancio”. I magnati di primo livello ricevono gli amici a casa propria o in barca. Secondo Carlo Casula, responsabile di Sin Elite, il tour operator che porta il 65% del flusso turistico russo negli alberghi della Costa Smeralda, la domanda è decisamente superiore all’offerta. La clientela russa, come numeri, ha superato quella americana ma i quattro alberghi Starwood (Pitrizza Cala di Volpe, Romazzino e Cervo) hanno, complessivamente, meno di 400 stanze. Per questo è in crescita la richiesta di ville in affitto e in vendita. Una fonte interna della colonia russa lamenta che “ la barriera linguistica e una certa reciproca diffidenza ostacolano l’integrazione dei magnati russi in Costa Smeralda dove, ancora oggi, si riscontrano chiusure e pregiudizi”. E continua dicendo che “ai russi non frega nulla di Lele Mora, veline e calciatori. Non sopportano la stampa scandalistica e preferirebbero divertirsi senza l’incubo di finire, anche casualmente, nel mirino dei fotografi sempre a caccia di vip”. I giovani magnati russi, sperando in un rapido sdoganamento da generalizzazioni e stereotipi che li vorrebbe tutti o quasi in odore di mafia, trascorrono vacanze molto discrete e low-profile all’insegna del “socially correct”. Spiegano che “la Russia si sta stabilizzando e il crollo del regime ha provocato straordinarie opportunità in tantissimi settori dell’economia”. Intanto, anche la middle-class moscovita ha scoperto il nord-Sardegna e, per venire incontro alle richieste in continuo aumento, Sin Elite ha raddoppiato i viaggi charter che, da giugno a settembre, ogni settimana collegano l’aeroporto a Mosca agli scali di Cagliari e di Olbia. Stanno quindi arrivando numerosi imprenditori, commercianti e manager. Invece di alloggiare negli hotels a cinque stelle della Costa Smeralda, spendendo in alta stagione 2mila euro per una stanza doppia, vanno all’hotel di Falco a Cannigione, un quattro-stelle dove una suite costa 210 euro al giorno.
Articolo pubblicato sullo Specchio della Stampa (12 novembre 2005)

domenica, gennaio 29, 2006

Harakiri per Mara Malda
Così scriveva il Corriere della Sera Magazine il 1 settembre 2005. In effetti, viste le minacce di querela ed altre amenità subite la scorsa estate, avevo pensato di far scomparire Mara Malda, pseudonimo ormai "bruciato". Invece ho cambiato idea e continuerò a scrivere e a fotografare, utilizzando anche questa firma. D'altra parte non si può piacere e, soprattutto, compiacere tutti.


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sabato, gennaio 28, 2006


Tavolara: l’isola-regno più piccolo del mondo

di Marella Giovannelli

Sapevate che l'isola di Tavolara è il più piccolo regno dei mondo? Questa è la sua storia, con un pizzico inevitabile di leggenda ma corredata da una documentazione decisamente straordinaria. Sulla vicenda esistono diverse versioni ma io ho scelto la testimonianza di Maddalena Bertoleoni, discendente diretta del re. Alla fine del '700, Giuseppe Bertoleoni sbarcò su quest'isola che, insieme a Capo Figari, fa da suggestivo sipario al golfo esterno di Olbia. Misteriose sono le origini e le attività di questo personaggio, probabilmente nativo dell'Alta Savoia. Sicuramente era un esperto navigatore, possedeva un cutter inglese, conosceva cinque lingue ed amava molto le donne. Durante uno dei suoi lunghi viaggi attraverso il mare, arrivò all'arcipelago di La Maddalena sulle cui isole, a quel tempo, vivevano, in povere capanne, soltanto poche famiglie di pescatori di aragoste arrivati sulle coste della Sardegna da Ponza e Pozzuoli. L'irrequieto Giuseppe si mise a frequentare con assiduità tre ragazze su altrettante isole dell'arcipelago maddalenino senza trascurare la sua grande passione per i viaggi in mare. E così accadde che un giorno, durante le sue escursioni, il giovane Bertoleoni arrivò a Tavolara. Quell'isola maestosa e suggestiva lo affascinò e decise di trasferirsi a vivere sulla striscia di terra ai piedi della grande montagna in mezzo al mare. Sposò una delle sue fidanzate e la giovane coppia si trasferì a Tavolara dove nacquero nove figli al maggiore dei quali fu dato il nome di Paolo. Giuseppe Bertoleoni e la sua famiglia furono i primi abitanti dell'isola che, fino ad allora, era spopolata, frequentata solo da foche monache e capre selvatiche con denti incredibilmente dorati e lucenti. Il mare era molto pescoso ma i Bertoleoni non praticavano soltanto la pesca; avevano greggi di capre maltesi e coltivavano un grande orto. Giuseppe, che aveva costruito sull'isola una casa grande e comoda, raggiungeva molto spesso La Maddalena per fare compere e provvedere alle necessità della sua grande famiglia che cresceva a Tavolara. Intanto a Terranova, l'attuale Olbia, si levavano insistenti reclami e vivaci proteste contro l'occupazione dell'isola. Altrettanto accadeva a La Maddalena per l'occupazione di Santa Maria e Soffi da parte dell'irriducibile Giuseppe Bertoleoni che, pur essendo sposato, aveva continuato la relazione con una delle sue vecchie fiamme creandosi una famiglia anche a Santa Maria. Nonostante i vari spostamenti Giuseppe restò, comunque, a Tavolara, fino alla fine dei suoi giorni, con la moglie ed i numerosi figli che continuarono la solita vita isolana anche dopo la morte dei padre. Capofamiglia divenne il primogenito Paolo che, nel 1836, fu protagonista di un singolare pezzo di storia. Quello, appunto, che pose le basi per la creazione del piccolo regno in mezzo al mare. A quel tempo era re d'Italia Carlo Alberto che, essendosi recato in visita ad Olbia, fu informato delle vicende che riguardavano la famiglia Bertoleoni felicemente dimorante a Tavolara. Incuriosito, il sovrano arrivò nell'isola proprio per conoscere Paolo che, però, quel giorno si trovava a La Maddalena. Carlo Alberto, non volendo rinunciare ad andare sino in fondo alla vicenda, si diresse, allora, con la propria nave verso l'arcipelago ma, arrivato all'altezza dei promontorio di Capo Figari, incrociò il cutter di Paolo Bertoleoni che indirizzò al sovrano il saluto marinaro. I due, quindi, si incontrarono in mezzo al mare, al largo di Golfo Aranci. Dopo una breve conversazione, insieme, si diressero a Tavolara dove Carlo Alberto soggiornò per tre giorni e tre notti, in casa della famiglia Bertoleoni. Una vacanza assolutamente fuori dell'ordinario. Alla battute di pesca e di caccia il re e Paolo alternavano, infatti, lunghe ed amabili conversazioni e pranzi gustosi a base di frutti di mare, aragoste, cernie e pernici. Passati i tre giorni, Carlo Alberto salutò Paolo Bertoleoni, tranquillizzandolo sul suo diritto a restare sull'isola, con queste parole: “Tu non dovrai più preoccuparti. Nomino te, Paolo Bertoleoni, re dell'isola. I tuoi figli saranno principi e le tue figlie le signore dei mare”. Forte di questa ufficiosa quanto amichevole "incoronazione", Paolo Bertoleoni fece costruire il piccolo cimitero che avrebbe ospitato il suo corpo e quello dei suoi discendenti, dotandolo di corone incise sulle lapidi. Dipinse uno stemma regale sulla facciata della propria casa quando undici sindaci sardi vennero a rendergli visita. Del re Bertoleoni, infatti, si parlava in tutta la Sardegna. La storia della sua “incoronazione" aveva varcato addirittura i confini nazionali, tanto che persino la regina Vittoria, a Londra, fu informata dell'esistenza di un'isola, al nord della Sardegna, diventata il più piccolo regno dei mondo per volontà di Carlo Alberto, re d'Italia. E proprio la regina inglese mandò a Tavolara una propria nave per documentare e fotografare la storia del nuovo sovrano e della sua famiglia. Di questo episodio resta un'inoppugnabile documentazione storica. Una fotografia si trova, infatti, ancora a Buckingam Palace e ritrae la famiglia Bertoleoni in abiti da cerimonia e al gran completo, in posa sulla loro isola, felici regnanti senza sudditi. Nel 1886, alla morte di Paolo I, fu proclamata la repubblica ma la monarchia venne restaurata nel 1895 e lo scettro fu affidato a Carlo che regnò fino al 6 novembre 1927. Qualche anno fa i discendenti di re Paolo hanno chiesto il riconoscimento giuridico dei regno di Tavolara mentre sulla splendida isola, diventata Area Marina Protetta il 12 dicembre 1997, vive e lavora la settima generazione della famiglia Bertoleoni.

giovedì, gennaio 26, 2006


Le antiche navi di Olbia: un tesoro nel tunnel

di Marella Giovannelli

Nessuno poteva immaginare l’importanza del tesoro nascosto nel fango delle trincee di scavo per la realizzazione del tunnel di Olbia. Gli archeologi sapevano di dover sorvegliare la zona interessata ai lavori dato che si andava ad intervenire nell'area portuale antica. Ma il primo luglio del 1999 si trovarono davanti a una scoperta straordinaria. Quella mattina, cominciarono ad affiorare notevoli quantità di ceramiche e legni di navi. Da allora, e fino al dicembre del 2001, è stato tutto un susseguirsi di ritrovamenti con un bilancio finale che ha attirato l’attenzione del mondo scientifico e dei media internazionali e nazionali. In totale sono stati recuperati 24 relitti di navi, di cui due dell'epoca di Nerone, 16 risalenti al periodo dell'invasione vandalica e due, importantissimi, dell'età giudicale. Ritrovati anche tre alberi di nave, di cui uno lungo otto metri; cinque timoni; strutture ed attrezzature di un cantiere navale romano più una straordinaria quantità di materiale archeologico, sistemato in 600 casse, a documentare 25 secoli di storia della città. La scoperta è stata definita eccezionale anche per il suo rilevante significato storico. I relitti recuperati nel tunnel sono i resti, la memoria e la prova di un evento traumatico e drammatico: l’affondamento ad opera dei Vandali di una flotta ormeggiata nell’antico porto di Olbia. E’ la fotografia di un momento che rappresenta una delle svolte fondamentali della storia dell'Occidente: la fine dell'Impero Romano. Accade raramente che uno scavo archeologico possa fare luce su un evento della grande storia, quella che, per intenderci, si studia a scuola. Ebbene, questo è accaduto nel porto di Olbia. Gli stessi scavi hanno riportato alla luce decine di migliaia di reperti: lucerne, ceramica fine da mensa, anfore, monete, anelli, ancore, pesi, frammenti di ambra, corna di animali, vasi di legno, strumenti di lavoro, statuette di divinità egizie e greche, oggetti di toeletta, uno zaffiro, un askòs ovvero un vaso per liquidi pregiati a forma di tonno, un brucia-profumi a forma di pigna, una testina di terracotta greca prodotta ad Olbia nel VI sec.a.C., un anello raffigurante un'eclisse di sole, una collana di pasta vitrea, un disco in terracotta di epoca romana raffigurante un complesso scenario trionfale, vasi con fregi e decori, una coppa corinzia a rilevo con scena di battaglia tra Greci e Barbari, un bicchiere con viso umano, brocche di ceramica invetriata, un sacchetto di monete concrezionate, due o tre frammenti di crani umani e tantissime ossa di animali. Attualmente sono in corso le operazioni di restauro dei relitti e dei reperti archeologici rinvenuti nel cantiere del tunnel, ultimato ed aperto al traffico il 6 luglio 2003. Per l’esposizione al pubblico bisognerà aspettare la sistemazione degli scafi nel nuovissimo Museo Archeologico dove sarà allestito uno spazio speciale riservato al tesoro del tunnel.

Le immagini dei relitti e reperti sono visionabili nel sito del Comune di Olbia.
http://www.comune.olbia.ss.it/bassa%20risoluzione/altre/index.htm

martedì, gennaio 24, 2006


Il martello della “femina agabbadora” e la memoria degli stazzi
di Marella Giovannelli
Un martello di legno utilizzato dalla “femina agabbadora” incaricata di porre fine alle sofferenze di un malato terminale, è uno dei tanti oggetti presenti nel Museo Etnografico “Galluras”, a Luras, un caratteristico paese distante 8 chilometri da Tempio e una quarantina da Porto Rotondo. Una visita al Museo equivale a uno straordinario viaggio nella memoria della civiltà degli stazzi. Migliaia di reperti della cultura locale sono stati raccolti e perfettamente ambientati in un palazzetto a tre piani, con caratteristica facciata in granito a vista e solai in legno, situato sulla via principale del paese. Il museo, l’unico del genere in Gallura, è impostato sulla fedelissima ricostruzione degli ambienti tipici della civiltà gallurese tra la fine del ‘600 e la prima metà del nostro secolo. Le otto stanze sono perfettamente arredate con mobili, suppellettili, oggetti e attrezzi di lavoro originali dell’epoca. Tutti pezzi autentici scovati dal collezionista Pier Giacomo Pala che ha iniziato, sin da ragazzino, la sua appassionata ricerca. Oggi, il sito internet di "Galluras" attira un numero imponente di navigatori della Rete e migliaia di turisti arrivano nel piccolo centro dell'Alta Gallura al solo scopo di visitare il Museo, in via Nazionale. La vita lavorativa, i momenti di riposo e di festa, il rituale della morte trovano una realistica e suggestiva rappresentazione nei vari ambienti. A cominciare dal cortile dove è collocato un carro di legno a cui si legavano i buoi. Nella camera da letto è riposto un rustico martello di legno d'olivastro stagionato, reso lucido dall'uso. E’ lungo poco meno di 30 centimetri; il manico, corto e robusto consente una presa sicura per assestare un colpo pesante e deciso, inferto da una donna, autorevole e stimata. La “femina agabbadora” infatti, riceveva l'incarico direttamente dai parenti dell'ammalato, mossi da un senso di umana pietà per il familiare moribondo e sofferente, senza ormai alcuna speranza di miglioramento. Era, insomma, una sorta di eutanasia degli stazzi, praticata sino agli anni Trenta nelle campagne galluresi. Oltre a questa agghiacciante testimonianza, il Museo ne contiene moltissime altre, decisamente più tranquillizzanti, come “su cadineri”. Questo era il primo mobile contenitore della casa gallurese risalente alla fine del 1600 e raggruppava diverse funzioni dei mobili odierni. Fungeva infatti da dispensa per la scorta della produzione settimanale del pane, comprendeva anche un vano “antenato” del nostro frigorifero e “sa piattera”, vetrinetta per esporre quanto di meglio si aveva a disposizione: piatti, tazze, tazzine, bicchieri, bicchierini e oggetti pregiati. L'elemento più importante e caratteristico di questo mobile sono “sos calascios”, i cassetti sistemati in alto, una posizione insolita e scomoda che non permetteva ai bambini di potervi accedere. In questo modo venivano custodite gelosamente le posate “buone”, quelle delle grandi occasioni. Sempre nella camera da pranzo si trova la “banca a fogliu”, un funzionale tavolo a libro che permetteva di raddoppiarne con facilità il piano d’appoggio ed era il luogo dell’incontro e della convivialità. L’ospite, infatti, era sempre considerato sacro nella Gallura di un tempo, anche quando non era atteso. La stanza da pranzo aveva il suo centro vitale intorno al camino; le lunghe giornate lavorative si concludevano intorno al fuoco, tra racconti, favole, burle e leggende, raccontate anche da fantasiosi narratori che giravano di casa in casa ricevendo ricompense in natura per i loro “contos de foghile”. Nella cucina del Museo di Luras, piena di utensili in rame, legno e terracotta, sono esposti moltissimi pezzi caratteristici tra cui “su fundheddu” recipiente in terracotta usato per la cottura del pane azzimo in uso sino alla fine dell’Ottocento a Luras. Nella camera da letto si respira un’aria di intima eleganza: il letto in lamiera di ferro risalente alla fine dell’800 è impreziosito da motivi floreali e intarsi in madreperla; lenzuola e coperte sono ricamate a mano. Ma, nella stessa stanza, c’e’ pure il deschetto da calzolaio come si usava nel microcosmo autosufficiente dello stazzo. Particolarmente interessanti gli ambienti dedicati alle attività produttive tipiche della civiltà degli stazzi. Tra i pezzi più interessanti: “sa tumbarella” carro in legno con le sponde alte e chiuse per trasportare carichi di merce sfusa; “sa soppressa”, torchio per l'uva risalente alla fine dei 1600 che è anche il primo modello di pressa in uso in Gallura; il grande telaio che ha quasi quattrocento anni ma non li dimostra. Nel palazzetto in granito si possono anche ammirare mobili e suppellettili di un certo pregio, porcellane raffinate e costumi d'epoca. Quello che colpisce, è l'ambientazione dei reperti, sistemati non in quanto “cose” ma come preziose testimonianze di vite vissute e di una cultura capita ed amata, che si vuole far conoscere all'esterno, nel modo più autentico.

domenica, gennaio 22, 2006


Porto Rotondo delle mie brame
di Marella Giovannelli

Porto Rotondo tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta faceva gola a personaggi bene inseriti nella ragnatela vischiosa formata da interessi mafiosi e camorristici, trame occulte, speculazioni protette dalla P2 e dai servizi segreti deviati. Divenne un punto d’incontro per tanti ambigui trafficanti, finanzieri, faccendieri ed aspiranti tali. Il giudice istruttore Otello Lupacchini, a suo tempo, ha riaperto il fascicolo sulle vacanze estive di Roberto Calvi e le sue frequentazioni a Porto Rotondo nel 1981. Solo in parte sono stati chiariti i misteri degli incontri, delle alleanze e delle strategie criminali in vacanza nell’esclusivo villaggio turistico. Molti dei residenti e degli operatori di Porto Rotondo ricordano fatti e curiosità legati a quelle presenze, allora molto poco inquietanti. Ci hanno anche permesso di ritrovarne le tracce, senza voler entrare nella ingarbugliata matassa dei relativi casi giudiziari. Dalla fine degli anni Sessanta, proprietario di gran parte dei terreni di Porto Rotondo era il finanziere italo-svizzero Ravello legato all’imprenditore di Torralba Flavio Carboni e a Domenico Balducci, uomo di fiducia di Pippo Calò, in stretto contatto con il piduista Francesco Pazienza, faccendiere in odore di servizi segreti. Florent Lay Ravello, fiutati i tempi bui, si dileguò e vendette la sua splendida villa alla fine degli anni Settanta. Nel 1978 era sbarcato a Porto Rotondo il costruttore siciliano Luigi Faldetta; al suo seguito, gran parte delle maestranze edili e due inseparabili amici. Uno era Domenico Balducci, l’altro un signore distinto che sembrava un generale in pensione. Si presentava come l’antiquario Mario Agliarolo ed era un ottimo cliente dei ristoranti e dei locali notturni oltre che delle varie agenzie e centri servizi. Pagava solo in contanti e solo anni dopo si è saputo il suo vero nome: Pippo Calò, cassiere di Cosa Nostra. I siciliani, con la loro impresa il cui nome era “Mediterranea” costruirono un residence composto da quattro blocchi di villette a Punta Ira sulla spiaggia preferita dai Furstenberg, dagli Swarovski e dai proprietari dei pneumatici Michelin. Ma Pippo Calò e soci avevano messo le mani anche sull’esclusiva Punta Volpe. Fra le ville di importanti industriali italiani e stranieri e quelle di cantanti e attori famosi, si fecero costruire le residenze estive le famiglie Calò, Balducci e Cercola. In questi ultimi anni le loro proprietà sono state vendute, sempre con molta discrezione, vista la complessità e delicatezza di simili transazioni immobiliari.
Nel 1979 l’impresa “Mediterranea”, amministratore Luigi Faldetta, acquistò da una società toscana rustici e licenze del villaggio di Punta Volpe. Intanto, un punto d’incontro importante per il clan e i vari amici, era diventato Villa Monastero che ha avuto poi , tra i suoi proprietari il costruttore Cabassi, il commercialista di tangentisti di rango Pompeo Locatelli e Paolo Berlusconi che ha ribattezzato la villa “Dolce Drago”. Nell’assoluta privacy del Monastero sul mare di Punta Lada, si incontrarono nel 1981 Roberto Calvi e Flavio Carboni. Secondo i giudici romani che indagano sulle molteplici attività criminose della Banda della Magliana, la villa era frequentata anche da altri esponenti dell’organizzazione malavitosa. Tra gli altri, fanno i nomi di Danilo Abbruciati e di Ernesto Diotiallevi che solo di recente ha venduto la sua casa di Porto Rotondo. Roberto Calvi fu ospitato al Monastero ma frequentava volentieri anche l’hotel Sporting. Nel 1982, i siciliani svendettero la società di Punta Volpe ad un noto impresario del Nord Italia e subito dopo esplose il caso giudiziario che probabilmente salvò Porto Rotondo dal diventare terra di conquista di Cosa Nostra e di delinquenti comuni nobilitati faccendieri. E a Porto Rotondo li ricordano ancora: clienti facoltosi, valigette piene di contanti per ogni pagamento, cortesi, eleganti, disinvolti habituées dei ritrovi alla moda. Sempre attenti a non sconfinare dal loro ristretto e fidato clan che nascondeva attività criminali agganciate a tutti i settori della malavita organizzata. Il clan come tale, ormai è stato smantellato; alcuni morti, altri ammazzati, altri ancora in carcere o in attesa di rientrarvi. A Porto Rotondo ci sono quindi state infiltrazioni legate al malaffare o al crimine organizzato. Impossibili da dimenticare o negare anche se, dagli anni Ottanta ad oggi, si sono susseguite iniziative turistiche ed immobiliari che hanno “ripulito la facciata”. Nel corso degli ultimi anni, la presenza del Premier Berlusconi ha catalizzato sul villaggio l’attenzione dei media nazionali ed internazionali. I suoi frequenti soggiorni, sia estivi che invernali alla Certosa di Punta Lada, hanno notevolmente appannato il ricordo di altre stagioni e altri protagonisti. A metà degli anni Ottanta, ad esempio, nel villaggio
tenevano banco i sofisticati bridge di Lucio Magri che girava in Rolls Royce, insieme a Marta Marzotto, per le stradine del paese; le ruspanti partite a scopa di De Mita con scorta al Country per la figlia Antonia; le partite a tennis di un Claudio Martelli tira-tardi e canterino; le cene radical-chic di de Benedetti e Scalfari. E, oggi come ieri, Porto Rotondo, continua ad accogliere regine di cuori e re di denari, veri potenti e presunti tali, nuovi e vecchi faccendieri.

mercoledì, gennaio 18, 2006


L’odore della Luna

“Magnificent desolation”: in queste due parole c’era tutta la meraviglia dell’astronauta Edwin “Buzz” Aldrin , il secondo uomo sbarcato sulla Luna, dopo Neil Armstrong. Sulla targa sistemata su una delle zampe della parte inferiore del LEM rimasto sulla Luna, c’è ancora la scritta : "Qui uomini del pianeta Terra per la prima volta scesero sul suolo lunare - 20 luglio 1969 - In nome di tutta l'Umanità".
Con il passare degli anni, il ricordo di quel traguardo storico, ha perso molto del suo fascino. Usurato dal tempo e “guastato” dai seguaci della Moon Conspiracy che propugnano la teoria del falso clamoroso, giocato a tutto il pianeta da parte dell'Amministrazione americana. Per i sostenitori della tesi del complotto, l'uomo non hai mai ha messo piede sulla luna. Nessuna conquista epocale e spaziale ma solo una truffa colossale e terrestre con tutte le scene del famoso sbarco girate in uno studio televisivo appositamente allestito nella "base militare segreta" - la famosa Area 51 (già al centro di un'altra teoria del complotto, quella sugli UFO).
Nel settembre 1994 ho intervistato Edwin Aldrin in vacanza a Porto Rotondo. Da quel nostro incontro sono passati dodici anni ma ricordo ancora l’emozione, a tratti amara, delle sue risposte. Rievocando i momenti dell’allunaggio Aldrin disse:

“Ho provato un grandissimo orgoglio. Eravamo coscienti dell'importanza e della difficoltà della nostra missione che richiedeva tutto il nostro impegno e la massima concentrazione. Ma sapevamo che al nostro rientro avremmo trovato la gioia e l'entusiasmo del mondo”.

D - A seguito della vostra impresa, siete entrati nella storia. Come vive questa consapevolezza?

“Il ricordo di noi tre, primi uomini sulla Luna, si è appannato velocemente nella memoria della gente e non è stata coltivato il ricordo di quella impresa. L’entusiasmo è rimasto nelle parole non nei fatti. Io mi sto impegnando al massimo nella ricerca di nuove strategie per raggiungere Marte valutando anche scelte economiche alternative; ad esempio riutilizzare le navicelle interplanetarie. Ma prima di andare su Marte bisognerebbe incrementare le spedizioni sulla Luna e riuscire a realizzare voli spaziali più sicuri e meno costosi”.

D ‑ Come ricorda oggi il momento in cui la bandiera americana venne da voi piantata sul suolo lunare?

“Ci fu una motivazione fondamentale che spinse gli Americani ad andare sulla Luna: battere i russi. Da questa nostra vittoria cominciò il processo di sgretolamento dell’Impero sovietico”.

D - Ricorda qualche odore della Luna?

“Si, quando raccolsi le pietre e le portai sulla navicella sprigionarono un curioso odore, come di polvere da sparo”.

‑ Siete stati ricevuti ed onorati da tutti i capi di Governo. Quale incontro ricorda con più emozione?

“Il Papa Paolo VI che ci paragonò ai tre Re Magi. Anche il loro fu un lungo viaggio guardando le stelle”.

D ‑ E’ stata esclusa ogni possibilità di vita sulla Luna?

“Non c'è alcun tipo di vita sulla Luna. E’ quindi straordinario quanto riportato recentemente dal satellite Clementine: avrebbe individuato dei ghiaccio nel polo sud della Luna. Aspettiamo con ansia una seconda missione dei Clementine che verifichi questa scoperta”.

D – E sull’esistenza degli Ufo?

“Posso anche credere nella possibilità di altre forme di vita nello spazio, ma non credo negli Ufo. Sto appunto lavorando ad una sceneggiatura, ambientata migliaia di anni fa. Creature con facce di animali arrivate da altri pianeti ma è tutto un lavoro di fantasia, fantascienza”.

D - Quando viaggia sulla Terra riesce a provare emozione ed entusiasmo?

“Pensate che questa è la prima volta che vengo in Sardegna e sono rimasto incantato, stupito dalla bellezza di questi luoghi. Non avrei mai immaginato che esistesse un posto così bello sulla Terra”.

D- Quale dei suoi sogni vorrebbe vedere realizzato?

“Un programma serio di esplorazione spaziale, sia per la ripresa dei viaggi sulla Luna, sia per il progetto Marte. Questo potrebbe cambiare il futuro dell'umanità. Dobbiamo guardare al futuro per il bene e nell'interesse di tutti”.

La moglie di Aldrin è una piccola signora dai tratti venusiani, vivacissima, loquace ed entusiasta della Costa Smeralda. Prima di partire non dimentica di lasciarmi un biglietto da visita: sfondo bianco, lo stemma blu ed oro che raffigura l'Apollo Il e la scritta Buzz Aldrin‑Astronauta”.

Intervista di Marella Giovannelli
Pubblicata sulla Nuova Sardegna del 2/09/1994

sabato, gennaio 14, 2006


Il mistero di Atlantide
Le famose colonne d’Ercole, associate nell’immaginario collettivo dell’Occidente alla rocca di Gibilterra, devono essere spostate verso la strozzatura fra Sicilia, Malta, Libia e Tunisia. È lì che gli antichi Greci avrebbero collocato i confini occidentali del loro mondo. E la Sardegna, terra di nuraghi sommersi sotto cumuli di fango, non sarebbe altro che la mitica isola di Atlantide. Uno tsunami, molto più forte di quello che ha colpito il sud-est asiatico nel dicembre 2004, sarebbe all’origine della scomparsa della civiltà nuragica. Questa in estrema sintesi è la tesi “rivoluzionaria” sostenuta da Sergio Frau nel suo libro “Le Colonne d’Ercole. Un’inchiesta”. Settecento pagine di documentazioni e comparazioni, un clamoroso successo editoriale per un’ipotesi, frutto di una sorprendente ed approfondita ricerca storica. Per Frau “le vere Colonne d'Ercole - quelle originali, di cui ci parla per primo il poeta Pindaro, all'inizio del V secolo a.C. - erano lì, al Canale di Sicilia, dove Omero mette tutti i suoi mostri; dove i Greci non osavano; dove tutti i testimoni più antichi ci parlano di bassi fondali assassini e senza vento; dove l'Etna - quando fa il matto - erutta fuoco e sparge terrore; dove ancora oggi centinaia di disperati si giocano la vita nel sogno di arrivare da noi, nel Paradiso dei Ricchi...Slittarono poi a Gibilterra, quelle prime Colonne, alla fine del III secolo a.C. - poco dopo la caduta di Cartagine - per continuare a fare quel che avevano sempre fatto: il Limite del Mondo Conosciuto... Ma sono solo Colonne di Eratostene, però, quelle! Non Colonne d'Ercole. Fu infatti il Gran Bibliotecario di Alessandria - il Padre della Moderna Geografia - a piazzarle laggiù, riciclandole per aggiornare al meglio le nuove mappe... Fu così che la Geografia criptò la Storia. E inghiottì la Sardegna”. Quando ho saputo che Sergio Frau era ad Olbia per ricevere il premio “Amistade” gli ho chiesto un incontro per poter soddisfare le mie tante curiosità sulla sua ricerca che, restituendo la parola agli Antichi, ha trasformato il Mito in Storia. Le conclusioni di Frau hanno suscitato grande interesse, trovando sempre maggior credito negli ambienti specialistici, anche internazionali. A cominciare dall’Unesco che, a Parigi, ha ospitato la mostra Atlantikà e un convegno di altissimo livello, eventi strettamente collegati alla scoperta di Sergio Frau. Dal secondo millennio sino alla fine del primo millennio avanti Cristo l’isola-cerniera ebbe un ruolo di primo piano nei collegamenti, incontri e scambi del Mediterraneo. Frau esordisce dicendo: “La mia è la storia di un dubbio, nato il giorno in cui mi sono imbattuto in due cartine geografiche pubblicate nel 1999 dall'Accademico dei Lincei Vittorio Castellani che mostrano com’era il Mediterraneo prima della glaciazione. A quell’epoca la Sicilia e la Tunisia erano separate solo da uno stretto. Quello per me è stato il flash. Mi sono chiesto quando e chi avesse messo le Colonne d’Ercole a Gibilterra. Siamo sicuri che il limite fosse quello? Io sono partito da questo dubbio che mi ha obbligato a seguire un percorso autonomo. Appurato che il primo posizionamento delle Colonne d’ Ercole era nel canale di Sicilia, tutto il puzzle della geografia antica è tornato al suo posto. Ora mi danno ragione esperti di cartografia, ellenismo e geografia alessandrina”. E, rileggendo in modo analitico soprattutto i grandi autori greci, Frau ha risolto persino l’enigma di Atlantide: altro non sarebbe che la Sardegna, passata attraverso quello che Omero e Platone, poeticamente, chiamavano Schiaffo di Poseidone. Per lo scrittore-giornalista il problema della Sardegna, anzi delle due Sardegne è sotto l’occhio di tutti. Perchè vi è una parte dell’isola, preistorica ma intatta, con degli impianti monumentali del secondo millennio a.C ancora in piedi, tipo i Nuraghe Losa di Abbasanta o S.Antine di Torralba. Calando di quota, invece, al livello del Campidano e di altre zone, troviamo dei giganti abbattuti o intrappolati sotto il fango. “L’esempio più clamoroso è Barumini. Oggi lo vediamo ben ripulito e restaurato in tutta la sua monumentalità. Ma era completamente coperto dal fango come racconta il suo scopritore Giovanni Lilliu, oggi novantenne, che si calava in una specie di buco nella collina, convinto che fosse una grotta, a cacciare le civette con i suoi compagni di gioco quando era bambino”. L’inchiesta di Frau ha preso un altro, importante spunto dall’esistenza di una Sardegna nuragica marinara, storicamente conclamata. “Gli antichi Sardi –aggiunge Frau- i Shardana, erano navigatori abilissimi. Li abbiamo trovati in Egitto ma ci sono segnali nuragici anche a Creta e a Cipro. Lo studioso ricorda che una cintura di nuraghi blindava l’isola a mare, “penso che quella Sardegna-Manhattan del II millennio avanti Cristo, con le sue decine di migliaia di torri-grattacielo che facevano fantasticare l'intero Mediterraneo, florida, vivace e popolata, possa averla vinta solo la natura. Dei drappelli di Fenici non erano sicuramente in grado di spaventare a morte i Sardi fino a spingerli tutti in Barbagia. Dalle antiche testimonianze emerge il ricordo di un’isola fantastica in Occidente, al di là delle Colonne d’Ercole, quindi praticamente nell’Oceano di Omero che era il Mediterraneo occidentale, visto che lui non immaginava l’ Atlantico di oggi. Numerosi autori citano questa grande isola al tramonto del mondo greco e anatolico , ferita a morte da un cataclisma marino, quello “Schiaffo di Poseidone” che avrebbe spazzato via tanti nuraghi nel Campidano, provocando il collasso di una civiltà . Quando si esce dal canale di Sicilia, la prima grande isola che trovi è la Sardegna. E Platone racconta che “al di là delle Colonne c’era un’isola straordinaria, sacra ad Atlante, fratello di Prometeo, piena di vita, ricca di metalli, con edifici fantastici, più di ventimila torri, le eterne primavere, acque calde, navigatori esperti e i vecchi più vecchi del mondo. Da quella isola puoi arrivare ad altre isole, il continente che tutto circonda”. E poi pensiamo quanto fosse rischioso per gli Antichi il passaggio nelle Colonne d’Ercole. Di fatto, questo coincide con il vero punto pericoloso del Mediterraneo, ovvero quella zona “assassina” del canale di Sicilia dove ancora oggi si muore. Non ha senso pensare a Gibilterra dove, quando sei arrivato, il peggio è ormai passato. La mia ipotesi, suffragata da cinquanta studiosi contemporanei, tra i più importanti della cultura internazionale, spiega tantissime cose che sembravano incomprensibili. Proprio nel canale di Sicilia passava il confine tra il mondo greco e quello fenicio punico. Cioè, da Malta in poi, i Greci non sapevano proprio dove andare. Insomma, ormai l’onere della prova: dire che le Colonne d’Ercole sono state sempre a Gibilterra, tocca agli altri, non a me. Inoltre, alla luce della mia rivisitazione storico-geografica, acquistano un senso compiuto, riconducibile alla Sardegna, anche i racconti di Pindaro, Erodoto, Aristotele, Dicearco, Esiodo, Strabone, Ramses III, Ezechiele, Euripide, Quinto Curzio e Plutarco, oltre ai già citati Omero e Platone. Sono tutti tasselli che, fino ad oggi erano sempre sembrati strani e che, invece, uscendo dal canale di Sicilia, diventano normali, realistici”. E come muore una Sardegna che era eccezionale nel secondo millennio e poi diventa terra infetta e di conquista nel primo millennio? Perchè il nuraghe si trasforma in posto sacro tanto da costruirgli intorno dei luoghi cerimoniali? Secondo Sergio Frau lo “Schiaffo di Poseidone”, la furia devastatrice del mare, lascia un grande rimpianto per la bella vita di prima e la malaria, arrivata all’improvviso, è stata uno degli amarissimi frutti di quel cataclisma. “Anche perchè, è impensabile che ci sia stato un popolo che costruiva tutti quei nuraghe in una zona così malsana”. A, questo proposito cita Massimo Pallottino che nel suo La Sardegna nuragica scrive: “L’immagine dei fierissimi e semiselvaggi abitatori di caverne, che i Romani snidavano con i cani feroci, non si può confondere con quella dei ricchi e pacifici edificatori delle tholoi di Isili o di Ballao o dei sapienti artefici dei bronzi di Uta...” Nel suo libro, Sergio Frau ripete più di una volta che “la Sardegna, per i Greci risulta antica. L’Isola è già antica per gli antichi”. Ed è vista prima come un Paradiso e poi un Inferno. Un concetto, quello della doppia visione, espresso anche dall’archeologo Michel Gras quando scrive: “La tradizione classica vuole nella Sardegna una terra inospitale che volta le spalle all’Italia. Questa tradizione ne ha soppiantata un’altra più antica che faceva dell’isola un fertile Eldorado”. Quindi c’è sempre questa doppia marcia della Sardegna. Una terra fertilissima e meravigliosa che poi diventa un luogo di malaria. Il terribile cataclisma interruppe la storia dell’Isola; la popolazione si rifugiò in parte nella Barbagia e in parte sulle alture dell’Italia Centrale, dando origine agli Etruschi. “Osservate bene i bronzetti nuragici- fa notare Frau- sono incredibili per il livello di civiltà che fotografano. Nello scudo hanno 4 pugnali, i paramani fino alle prime nocche delle dita e i gambali che proteggono le ginocchia. Sono delle armature che sarebbero tecnologicamente efficaci ed avanzate persino nel Medioevo. E gli stessi bronzetti che in Sardegna si trovano nei luoghi sacri, sono stati rinvenuti nelle tombe etrusche, accanto al morto, come a rappresentare un segnale etnico. Ne sono stati trovati centinaia nella penisola, insieme a vasi di tipo sardo e ad altri reperti marinari. Questo fa pensare, insieme alle fonti antiche, che i primi Tirreni, termine che deriva da Tyrsenoi “costruttori di torri” abitassero in Sardegna mentre dopo il cataclisma li ritroviamo sulle alture a Orte, Orvieto, Arezzo e Perugia: tutti posti molto distanti dal mare”.
Intervista di Marella Giovannelli a Sergio Frau

giovedì, gennaio 12, 2006

Il faro e le maree

Cerco tracce di te
nelle maree alte e basse
dei miei pensieri.
Avvolta
nella tua rete di stelle
trovo il calore
di un nido di passione
senza tempo e confini.
Scopro la luce
del tuo faro d’amore
isola nell’isola
del mio tutto
e del mio niente.
Mi regali l’alfabeto
di una felicità inattesa
la favola nuova
di baci mai stanchi
e carezze mai sazie.
Altre impronte
di dolore e rabbia
insofferenza e noia
annegano
nel pulviscolo del tuo sole.
di Marella Giovannelli

mercoledì, gennaio 11, 2006

Autunno nel bosco

Nell’incanto
delle mie emozioni ritrovate
sgorgano libere
risate e lacrime.
Il cuore profondo del bosco
mi avvolge
tra suoni e colori
in libertà selvatica e dolce.
Il popolo di pietra
mi accoglie
nel silenzio vibrante
dei guerrieri di un tempo
diventati granito e muschio.
Le mie certezze
ancora intatte
tra le rocce scavate
da misteri antichi
sussurrati dal mare e dal vento.
Parlo con i tronchi millenari
e mi lascio accarezzare
pungere e graffiare
da foglie e rovi.
Felice e stordita
dalla forza di profumi e canti
riposo sul bordo del torrente
i miei occhi rivolti al sole
felci ed asfodeli tra le mani.

di Marella Giovannelli

lunedì, gennaio 09, 2006

Mara Malda in azione

Ecco Mara Malda in azione. Armata di penna, taccuino, cellulare...e bicchiere, si aggira in uno scenario tipicamente estivo: una delle tante feste in Costa Smeralda. In questa foto non si vede (la tiene nascosta da qualche parte) la sua inseparabile macchina fotografica. A fine settembre, il presepe mondano si smonta ma restano le immagini e qualche conseguenza, non sempre positiva, di tante incursioni maramalde. Infatti, i cosiddetti Vip, generalmente, si prendono molto, troppo sul serio. Amano essere adulati & patinati; si circondano di "fedelissimi" e tendono a fare branco, naturalmente ristretto ed esclusivo. Da questo tipo di considerazione, qualche settimana fa, è nata la poesia
"Estate nel paradiso perduto"

In estate
nel paradiso perduto
della mia terra
geneticamente modificata
ad uso e consumo
del mercato e della stampa
impetuoso scorre
il fiume di neve bianca.
Vizi pubblici
da esibire in branco
nella Corte dei Miracoli
studiati a tavolino.
Sciami di elfi glabri e fatine seminude
guidati da Re Magi in processione
salgono sulla giostra del Pavone Brizzolato.
Nella villa del Pifferaio-Burattinaio
nidificano gli esemplari più belli
da rivendere e mostrare
dietro percentuale.
Alla Fiera della Vanità
sono tutti in posa
mai per qualcuno
sempre per qualcosa.
Compratori e venditori
adulatori e imbonitori
sfoderano sorrisi
da sfingi e mummie.
Mai una risata o un pianto
privi di agenti chimici
l'isteria è ancora meglio
fa più divina creatura
tra storie d'amore confezionate
misteri ingloriosi
e carni esotiche pronta cassa.
di Marella Giovannelli

www.marellagiovannelli.com



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