Testo e foto di Marella Giovannelli per www.marellagiovannelli.com
“Un ragazzo corre per le vie del paese suonando una tromba insieme alla banda”: con questo flashback autobiografico Paolo Fresu apre il suo sito internet che detta “le istruzioni per l'uso” di un personaggio carismatico.
Cerco di tenerle a mente durante la chiacchierata a cena, con lui e i suoi compagni di concerto, allo Yacht Club di Porto Rotondo, subito dopo la splendida esecuzione di Porgy and Bess. Schivo e gentile, Paolo Fresu non si sofferma più di tanto sul ricordo del premio ricevuto all'Olympia di Parigi nel 1998 o di quello come miglior musicista jazz europeo nel 1996. Dice che la musica gli piaceva fin da bambino; “ un'armonica a bocca, poi la chitarra, quindi la tromba, scelta semplicemente perché ne possedevamo una in casa”. La sua umiltà è pari alla voglia di mettersi sempre in gioco. Parla della sua intensa attività artistica tra spostamenti e ritorni a Berchidda, il paese dove è nato. Qui ha dato vita ad un fenomeno ormai consolidato, che ha il suo centro vitale in Time in Jazz, realtà culturale d'avanguardia, con l'interazione tra differenti forme artistiche come la pittura, la musica, la letteratura.
Si dichiara orgoglioso della sua sardità che, come un'ombra lo segue discreta o scomoda anche dall’altra parte del mondo. E questo orgoglio spesso si fonde in contaminazioni che aprono nuovi linguaggi musicali. Víve tra Parigi, Bologna e Berchidda; tiene concerti nei quattro continenti ma, ancora oggi, dice: “Il mio unico viaggio è quello che va da Olbia a Civitavecchia. Tutte le altre distanze sono inferiori o trascurabili”. Non si è mai atteggiato a ragazzo prodigio malgrado gli esordi precoci, anzi precisa che “alle prime lezioni dicevano tutti che suonavo benino ma semplicemente perchè non c'erano trombettisti e quindi non avevamo paragoni...”
Paolo Fresu ha una presenza scenica, a dir poco, magnetica. Suona seduto, quasi raggomitolato sullo strumento. “Non è un atteggiamento studiato allo specchio ma una posizione che mi fa stare meglio, più a mio agio con il palco, lo strumento e il pubblico. Prima faccio un'accurata ricerca della sedia; spesso mi propongono sedie bellissime ma quello che io cerco non è l'estetica; può anche non essere bella ma mi deve accogliere bene. Rannicchiato, raggomitolato, appollaiato: i termini per definire la mia postura sono vari e suggestivi. La mia potrebbe essere anche una sorta di posizione fetale con la tromba rivolta verso il basso, quasi un’introversione che, a tratti, si apre verso l'alto. A un certo punto della mia carriera ho scoperto che preferivo suonare seduto e ho continuato a farlo”.
Per ricordare il suo freschissimo matrimonio, ha fatto arrivare al nostro tavolo un grande vassoio pieno di dolci sardi preparati in casa dai suoi parenti e racconta: “Mi sono sposato il 14 giugno a Berchidda, ho fatto un viaggio di nozze-lavoro in Marocco tra Rabat, Fez, Marrakesh, il deserto del Sahara e Quarzazate. Ho tenuto concerti in tutti questi splendidi posti".
Poi un salto nel passato frugando tra i ricordi:" A sette anni suonavo la chitarra e l’armonica; mio padre era un pastore contadino, mia madre una casalinga. Babbo è anche un poeta in limba, ama la cultura e la musica, segue tutti i miei spettacoli e mi ha sempre aiutato. Io ho iniziato a suonare la tromba a undici anni nella banda del paese, mio fratello suonava la tromba príma di me; era quindi uno strumento che vedevo in casa. Ero la mascotte della banda e mi sono commosso quando, al mio matrimonio, è arrivata al gran completo; ha suonato per noi durante la festa, alla quale ha partecipato tutto il paese.
A me piace la tradizione, trovo sia giusto condividere un pensiero collettivo con la comunità alla quale appartengo. Per la cerimonia ho scelto un abbigliamento piuttosto sobrio e Sonia indossava il classico abito bianco. L'altare era sistemato tra i graniti, la macchia mediterranea e le querce. La sorpresa è arrivata dal cielo quando, da un elicottero, è caduta una pioggia di petali dei fiori raccolti dalla gente del paese che ha riempito due enormi secchi per farci questo regalo. Tornando indietro nel tempo, dalla banda del paese sono passato ai complessi di musica leggera fino all’ incontro con il jazz a Sassari. Poi è arrivato il periodo degli studi al Conservatorio di Sassari e di Cagliari e del corso internazionale dí Jazz a Siena dove insegno dal 1985. La prima volta che mi sono reso conto di aver raggiunto un traguardo importante è stato nel ‘96 quando ho vinto il Django d'Or a Parigi come miglior musicista europeo. La Sardegna è una terra di grande fascino che sta crescendo su tantí fronti; penso al turismo, alla nuova consapevolezza e all'orgoglio delle proprie radici, alla ricerca del confronto con altre realtà e alla riscoperta delle tradizioni più antiche della nostra gente. La nostra non è mai stata un'isola statica anzi ha un’apertura che molti ci invidiano”.
Paolo Fresu ammette qualche difficoltà di rapporto con un solo elemento... quello marino: “In effetti, non so nuotare e non amo il mare. Il mio ricordo legato a questo elemento non è particolarmente piacevole. Quando ero piccolo, partivamo da Berchidda in auto per raggiungere le spíagge di Olbia. Dopo un tragítto abbastanza lungo si arrivava finalmente a destinazione ed era già l'ora di pranzo; vista la distanza portavamo il cibo da casa e, dato che dopo mangiato non potevamo fare il bagno, lo facevamo prima con il risultato che tutto poi sapeva di sale, dalla pastasciutta all'anguria. Anche per un fatto climatico preferisco la montagna al mare e poi mi piace moltissimo viaggiare”.
Paolo Fresu è comunque realistico quando parla di turismo e di scelte alternative: “Trovo che ipotizzare un tipo di turismo diverso da quello balneare, sulle coste sarde, sía abbastanza utopistico. I turisti che vengono da queste parti voglíono il mare e tutto ciò che gravita intorno ad esso. Penso sia del tutto naturale che la maggior parte di persone arrivi in Costa, consumi le vacanze godendosi il mare e poi riparta senza velleità culturali. In questi ultimi tempi, però, sta prendendo sempre più piede il cosiddetto “turismo intelligente” e considero le località costiere luoghi-vetrina con potenzialità enormi per far conoscere meglio le varie realtà dell’interno dell'Isola. Queste offrono alternative molto valide dal punto di vista paesaggistico, culturale ed artistico. Un esempio arriva proprio dal Festival di Berchidda, una mia creatura, nata nel 1988; oltre ad essere un evento artistico importante ed un fatto di costume è diventato anche un veicolo economico trainante per il mio paese. Lo scorso anno abbiamo ospitato 30.000 persone; non male per un centro di 3.000 abitanti".
L'eclettismo di Paolo Fresu nasce dalla sua inesauribile curiosità e dalla sua straordinaria voglia di sperimentazione; dirige diversi gruppi composti da un numero variabile di artisti; dice di “sentirsi attratto da tutte le culture musicali forti” e trova il tempo anche per le buone letture. Tra i suoi autori preferítí cí sono Kafka, Rilke e Marquez. Utilizza molto Internet e si definisce “un mailista il quale trova che il miglior modo di comunicare oggi sia attraverso la posta elettronica”. I gusti a tavola? Si dichiara onnivoro e ama tutti i prodotti “made in Sardinia”. Su questo si sbilancia volentieri visto che "in Sardegna abbiamo prodotti di assoluta eccellenza: un elemento di forza sul quale puntare ed investire”. Paolo Fresu, nato il 10 febbraio 1962, è considerato oggi uno dei migliori musicisti jazz del mondo ma conserva intatto il legame con la sua gente e la sua terra. Sensibile e attento, curioso e appassionato, non si pone né limiti né confini. Si è esibito nei più importanti Festival italiani e stranieri suonando in tutti i continenti ed in luoghi prestigiosi quali l’Olimpya e la Salle Pleyel di Parigi, il "Blue Note" di New York e Milano, la Konzerthall di Vienna. La sua carriera forse è così speciale proprio perché, al centro di tutto, l'artista mette i rapporti umani e l'orgoglio della propria identità. Vissuto però in modo aperto, propositivo e ricettivo perché “la strada giusta è quella di reinventare la propria sardità ed immetterla nel circuito globale. Preservare le proprie origini è un valore aggiunto”.
Articolo di Marella Giovannelli pubblicato sulla Gazzetta di Porto Rotondo del luglio 2003