Mara Malda per www.marellagiovannelli.com
Veronica Berlusconi, solitamente così riflessiva, controllata, riservata, indulgente e paziente, non ne può evidentemente più di una vita coniugale che ha smesso di piacerle da diversi anni. La clamorosa lettera-sfogo da lei spedita a “Repubblica” non può essere considerata alla stregua di una banale scenata di gelosia nei confronti del marito sin troppo cavaliere e sempre più galante, malgrado l’età e gli acciacchi che avanzano. Nella sua biografia, più che autorizzata, concordata insieme all’amica-giornalista-scrittice Maria Latella, Veronica Lario aveva già lanciato la sua Tendenza: un segnale inequivocabile sul desiderio di un futuro diverso, senza Silvio. Nella lettera inviata a “Repubblica”, la signora Berlusconi amplifica ed ufficializza un disagio che certo non è nato, cresciuto e scoppiato per i complimenti volgarotti e le battute, più o meno infelici, con le quali suo marito ha “condito” la cena di gala seguita alla consegna dei Telegatti. Il povero Silvio, notoriamente sensibile, circondato da tante belle e giovani "tope", è andato a ruota libera ma, sua moglie Veronica, ha definito inaccettabili e lesive della sua dignità, frasi tipo “ ... se non fossi già sposato la sposerei subito” e “con te andrei ovunque” . Ha quindi chiesto pubbliche scuse a suo marito che, nel giro di qualche ora, le ha risposto con tanto di nota diffusa da tutte le agenzie di stampa. Silvio Berlusconi, oltre a scusarsi, ammette “un periodo di turbolenza e di affanno”. Il Cavaliere insiste, come tante altre volte, nel cercare the happy end e scrive che “...finirà nella dolcezza come tutte le storie vere”. Alla moglie offesa ricorda che “la tua dignità non c'entra, la custodisco come un bene prezioso nel mio cuore anche quando dalla mia bocca esce la battuta spensierata, il riferimento galante, la bagattella di un momento...” Le scuse pubbliche ricevute dal marito pentito potrebbero non bastare a Veronica, abituata a pesare con estrema attenzione, gesti e parole. Se lei ha deciso di uscire allo scoperto, riservando ad una lettera così privata un destino impietosamente pubblico, il suo gesto ha un retrogusto di vendetta, solitudine ed incomprensione. Una “facciata” matrimoniale apparentemente dorata ed inossidabile può diventare una gabbia anche a cinquant’anni. La stupefacente grafia da monaca benedettina, perfezionata dalla signora Berlusconi nel corso degli anni, forse ha bisogno di un punto e a capo: non più Tendenza ma Rivoluzione Veronica ed Imprevedibile con o senza Silvio.
mercoledì, gennaio 31, 2007
mercoledì, gennaio 24, 2007
Lele Mora: vola, colomba bianca vola...e torna con l’album delle figurine
Testo e foto di Mara Malda per www.marellagiovannelli.com
“Vola, colomba bianca, vola. Diglielo tu che tornerò.....”, così cinguetta Nilla Pizzi dalla home page del sito ufficiale di Lele Mora. E lui, ispirato dalla sua canzone preferita, riaccende i riflettori sulla sua scuderia e su Lelemora medesimo annunciando la prossima commercializzazione di un album con le figurine dei vip.
Sarà diviso in quattro sezioni: la prima è composta da 47 cards (lui le chiama così) fotografiche che riguardano i personaggi “assistiti” dall'agenzia LM Management di Lele Mora complete di schede personali. La “figu” di Valeria Marini potrà essere scambiata con quella di Elisabetta Gregoraci, Aida Yespica, Francesca Lodo, Sabrina Ferilli o Nancy Brilli. L’immaginetta di Loredana Lecciso, forse, competerà, quanto a quotazioni, con quella di Luisa Corna o di Ana Laura Ribas.
Nelle bustine, in vendita nelle edicole dal 5 febbraio a 1 euro, troveranno posto anche “i santini” di Gigi D’Alessio, Costantino, Interrante, Brosio, Apicella e, naturalmente, della ex-santissima Irene Pivetti folgorata da Lele Mora sulla via delle vacanze estive 2006.
La seconda sezione dell’album, dedicata agli “amici di Lele”, comprende 35 cards in un fritto- misto-vip dove spuntano, tra gli altri: Fabrizio Corona, Emilio Fede, Briatore, Pavarotti, Antonio Marano direttore di Raidue, Moira Orfei e, naturalmente, Nilla Pizzi, musa ispiratrice di Lele Mora.
La terza sezione è dedicata alle 48 discoteche “più In” d'Italia, mentre nella quarta ci sono le faccine adesive dei 18 dj di Radio 105, sponsor tecnico dell’album. Per la sua presentazione si sta organizzando un gran galà con spettacolo top-secret, condotto da Irene Pivetti, il prossimo 5 febbraio al teatro Ventaglio Smeraldo di Milano.
Seguirà una raffica di “LM Cards Party” che si terranno, in tutta Italia, nelle 48 discoteche già immortalate nelle figurine. Prevista la distribuzione gratuita di album e bustine; prevedibili le “apparizioni” dei vippazzi & vippetti raffigurati, incarnati e ben pagati.
Non per niente, Lele Mora ha definito una “bella trovata commerciale” la sua ultima invenzione. Ha quindi sganciato un grappolo di commenti e dichiarazioni ad uso e consumo molto suo, del tipo:
1° “Mi sto ancora chiedendo come mai mi abbiano sbattuto in prima pagina nell’ambito di un'inchiesta per la quale ancora nessun magistrato mi ha chiesto nulla”.
2° “Sono distante da quelle cose e poi tutto si è risolto in una bolla di sapone. Non è successo niente, niente”.
3° “La società è cambiata. Oggi la gente è sempre più attirata dai volti che vede in tv. L'album altro non è che un modo di promuovere un prodotto. Perché oggi siamo tutti dei prodotti”.
“Vola, colomba bianca, vola. Diglielo tu che tornerò.....”, così cinguetta Nilla Pizzi dalla home page del sito ufficiale di Lele Mora. E lui, ispirato dalla sua canzone preferita, riaccende i riflettori sulla sua scuderia e su Lelemora medesimo annunciando la prossima commercializzazione di un album con le figurine dei vip.
Sarà diviso in quattro sezioni: la prima è composta da 47 cards (lui le chiama così) fotografiche che riguardano i personaggi “assistiti” dall'agenzia LM Management di Lele Mora complete di schede personali. La “figu” di Valeria Marini potrà essere scambiata con quella di Elisabetta Gregoraci, Aida Yespica, Francesca Lodo, Sabrina Ferilli o Nancy Brilli. L’immaginetta di Loredana Lecciso, forse, competerà, quanto a quotazioni, con quella di Luisa Corna o di Ana Laura Ribas.
Nelle bustine, in vendita nelle edicole dal 5 febbraio a 1 euro, troveranno posto anche “i santini” di Gigi D’Alessio, Costantino, Interrante, Brosio, Apicella e, naturalmente, della ex-santissima Irene Pivetti folgorata da Lele Mora sulla via delle vacanze estive 2006.
La seconda sezione dell’album, dedicata agli “amici di Lele”, comprende 35 cards in un fritto- misto-vip dove spuntano, tra gli altri: Fabrizio Corona, Emilio Fede, Briatore, Pavarotti, Antonio Marano direttore di Raidue, Moira Orfei e, naturalmente, Nilla Pizzi, musa ispiratrice di Lele Mora.
La terza sezione è dedicata alle 48 discoteche “più In” d'Italia, mentre nella quarta ci sono le faccine adesive dei 18 dj di Radio 105, sponsor tecnico dell’album. Per la sua presentazione si sta organizzando un gran galà con spettacolo top-secret, condotto da Irene Pivetti, il prossimo 5 febbraio al teatro Ventaglio Smeraldo di Milano.
Seguirà una raffica di “LM Cards Party” che si terranno, in tutta Italia, nelle 48 discoteche già immortalate nelle figurine. Prevista la distribuzione gratuita di album e bustine; prevedibili le “apparizioni” dei vippazzi & vippetti raffigurati, incarnati e ben pagati.
Non per niente, Lele Mora ha definito una “bella trovata commerciale” la sua ultima invenzione. Ha quindi sganciato un grappolo di commenti e dichiarazioni ad uso e consumo molto suo, del tipo:
1° “Mi sto ancora chiedendo come mai mi abbiano sbattuto in prima pagina nell’ambito di un'inchiesta per la quale ancora nessun magistrato mi ha chiesto nulla”.
2° “Sono distante da quelle cose e poi tutto si è risolto in una bolla di sapone. Non è successo niente, niente”.
3° “La società è cambiata. Oggi la gente è sempre più attirata dai volti che vede in tv. L'album altro non è che un modo di promuovere un prodotto. Perché oggi siamo tutti dei prodotti”.
venerdì, gennaio 19, 2007
L'incanto perduto di Rebeccu
Testo e foto di Marella Giovannelli per www.marellagiovannelli.com
“C’era una volta Rebeccu con le sue casette scavate nella roccia calcarea, le stradine di pietra e in terra battuta...” Ai turisti che scenderanno dai pullman, per i quali è già pronto un enorme parcheggio all’ingresso del paese, bisognerà descriverlo l’incanto perduto del borgo medioevale.
E' in corso la mutazione di Rebeccu che, da minuscolo e vero villaggio-fantasma si sta trasformando in qualcosa di finto, evocativo di un set cinematografico. In ogni angolo fervono i lavori di restauro e valorizzazione, perchè, grazie ad un finanziamento dell’Unione Europea e al Comune di Bonorva che ha acquistato parte del villaggio, è stato possibile, dopo anni da attesa, far partire una serie di cantieri.
Tutti attualmente impegnati nella riqualificazione delle vecchie case, della chiesa e dei selciati. Forse un giudizio, oggi, può essere prematuro ma quello che già si vede colpisce per la mancanza di un “segno” unitario; l’abbondanza di intonaco e cemento; la sostituzione dei vecchi coppi con tegole nuove o invecchiate; l’abbinamento scoordinato delle pavimentazioni; la forzatura di alcuni interventi e l’impressione generale di “artefatto” che se ne ricava.
Ipotizzabile il risultato finale: una finzione ad uso turistico-commerciale, la cui anima “rubata” dagli uomini, dovrà essere spiegata ad altri uomini. Eppure la magia di Rebeccu era grande; si sperava non dovesse finire mai.
Nel Medioevo, era il centro più popoloso della regione e il capoluogo della curatoria di Costaval nel Giudicato di Torres. Sempre più spopolato, arrivò a contare sei famiglie residenti negli anni Cinquanta e un solo abitante nel gennaio 2007.
Dal 1977, nella piazzetta di Rebeccu, è aperto il ristorante “Su Lumarzu”, piccolo ed accogliente tempio della cucina tipica, che prende il nome da una vicina fonte nuragica.
Il paesino, abbarbicato su una collina che domina la magnifica pianura di Santa Lucia, avrebbe dovuto, grazie ai lavori in corso, recuperare la sua antica bellezza e suggestione insieme ai segni di un’antica civiltà contadina.
A Rebeccu si tramandano diverse leggende come quella sulla principessa Donoria che, scacciata dal padre, re del borgo, nell’abbandonare il villaggio sentenziò, con una maledizione, “Rebeccu, Rebecchei, dae trinta domos non bessei”. (Rebeccu non supererai le trenta case). Secondo un’altra leggenda, il matrimonio tra Eleonora d’Arborea e Brancaleone fu celebrato a Rebeccu, nel “Castello”, una rupe che ancora oggi sovrasta il piccolo borgo. Dai circa centocinquanta abitanti del 1875, il paese è calato sempre di più fino a contarne uno solo: Cicito Solinas che vive in una casetta dove, purtroppo, si sprecano statuine dei nani e infissi di alluminio.
Tziu Cicito vive con Nerina e Pedro, due merli indiani di sei e quindici anni rinchiusi in una grande gabbia di teck. Singolare è la storia di un ritrovamento fatto da Cicito Solinas proprio a Rebeccu, nella terrazza del ristorante.
Sul campanello di una bicicletta appartenuta a Giommaria Delogu che, prima di lui, abitava nella casa al centro del paese, Solinas ha riconosciuto un marchio a lui ben noto. Quella vecchia bici era stata fabbricata nella fabbrica di suo padre, a Bonorva.
Dal belvedere di Rebeccu, il panorama sulla piana di Santa Lucia è un “racconto” fatto di paesaggi meravigliosi e ricco di storia, documentata da centinaia di siti archeologici di estremo interesse, monumenti e fontane nuragiche, resti di strade romane, testimonianze di occupazioni puniche e aragonesi.
La poesia, invece, si ritrova ancora nei ruderi del cimitero sconsacrato e speriamo che, almeno questo, venga risparmiato da un restauro sconsiderato.
“C’era una volta Rebeccu con le sue casette scavate nella roccia calcarea, le stradine di pietra e in terra battuta...” Ai turisti che scenderanno dai pullman, per i quali è già pronto un enorme parcheggio all’ingresso del paese, bisognerà descriverlo l’incanto perduto del borgo medioevale.
E' in corso la mutazione di Rebeccu che, da minuscolo e vero villaggio-fantasma si sta trasformando in qualcosa di finto, evocativo di un set cinematografico. In ogni angolo fervono i lavori di restauro e valorizzazione, perchè, grazie ad un finanziamento dell’Unione Europea e al Comune di Bonorva che ha acquistato parte del villaggio, è stato possibile, dopo anni da attesa, far partire una serie di cantieri.
Tutti attualmente impegnati nella riqualificazione delle vecchie case, della chiesa e dei selciati. Forse un giudizio, oggi, può essere prematuro ma quello che già si vede colpisce per la mancanza di un “segno” unitario; l’abbondanza di intonaco e cemento; la sostituzione dei vecchi coppi con tegole nuove o invecchiate; l’abbinamento scoordinato delle pavimentazioni; la forzatura di alcuni interventi e l’impressione generale di “artefatto” che se ne ricava.
Ipotizzabile il risultato finale: una finzione ad uso turistico-commerciale, la cui anima “rubata” dagli uomini, dovrà essere spiegata ad altri uomini. Eppure la magia di Rebeccu era grande; si sperava non dovesse finire mai.
Nel Medioevo, era il centro più popoloso della regione e il capoluogo della curatoria di Costaval nel Giudicato di Torres. Sempre più spopolato, arrivò a contare sei famiglie residenti negli anni Cinquanta e un solo abitante nel gennaio 2007.
Dal 1977, nella piazzetta di Rebeccu, è aperto il ristorante “Su Lumarzu”, piccolo ed accogliente tempio della cucina tipica, che prende il nome da una vicina fonte nuragica.
Il paesino, abbarbicato su una collina che domina la magnifica pianura di Santa Lucia, avrebbe dovuto, grazie ai lavori in corso, recuperare la sua antica bellezza e suggestione insieme ai segni di un’antica civiltà contadina.
A Rebeccu si tramandano diverse leggende come quella sulla principessa Donoria che, scacciata dal padre, re del borgo, nell’abbandonare il villaggio sentenziò, con una maledizione, “Rebeccu, Rebecchei, dae trinta domos non bessei”. (Rebeccu non supererai le trenta case). Secondo un’altra leggenda, il matrimonio tra Eleonora d’Arborea e Brancaleone fu celebrato a Rebeccu, nel “Castello”, una rupe che ancora oggi sovrasta il piccolo borgo. Dai circa centocinquanta abitanti del 1875, il paese è calato sempre di più fino a contarne uno solo: Cicito Solinas che vive in una casetta dove, purtroppo, si sprecano statuine dei nani e infissi di alluminio.
Tziu Cicito vive con Nerina e Pedro, due merli indiani di sei e quindici anni rinchiusi in una grande gabbia di teck. Singolare è la storia di un ritrovamento fatto da Cicito Solinas proprio a Rebeccu, nella terrazza del ristorante.
Sul campanello di una bicicletta appartenuta a Giommaria Delogu che, prima di lui, abitava nella casa al centro del paese, Solinas ha riconosciuto un marchio a lui ben noto. Quella vecchia bici era stata fabbricata nella fabbrica di suo padre, a Bonorva.
Dal belvedere di Rebeccu, il panorama sulla piana di Santa Lucia è un “racconto” fatto di paesaggi meravigliosi e ricco di storia, documentata da centinaia di siti archeologici di estremo interesse, monumenti e fontane nuragiche, resti di strade romane, testimonianze di occupazioni puniche e aragonesi.
La poesia, invece, si ritrova ancora nei ruderi del cimitero sconsacrato e speriamo che, almeno questo, venga risparmiato da un restauro sconsiderato.
domenica, gennaio 14, 2007
Da Posada a Berchida: un itinerario fiabesco tra storia e natura
Testo e foto di Marella Giovannelli per www.marellagiovannelli.com
Posada, arroccata in cima ad una rupe calcarea, è dominata dal Castello della Fava. Importante centro all’epoca dei Giudicati, decadde per le numerose incursioni saracene. Il borgo conserva la struttura medioevale con vicoli tortuosi collegati da ripide scalinate, archi e piccole piazze. Le antiche case si arrampicano sul roccione, alto 94 metri. Molte delle vecchie abitazioni in pietra grigia sono state ristrutturate; anche il castello è stato sottoposto ad un intervento di restauro e valorizzazione, una scala in legno porta alla sommità della torre quadrata. L’imponente torrione si affaccia sul mare circondato da pinete, sulla foce del fiume Posada, sullo stagno popolato da aironi e fenicotteri, sul Monte Albo e sulla fertile pianura, ricca di orti, coltivazioni di ortaggi ed agrumeti. La suggestione del centro storico medioevale viene esaltata da un paesaggio spettacolare per la sua varietà e bellezza naturalistica. Il toponimo “Posada” deriva da un'antica parola sarda, di origine spagnola che letteralmente vuol dire “sosta”, “luogo di riposo”. Qui, infatti, c’era una stazione di posta e cambio cavalli per i viaggiatori che, da Olbia si dirigevano verso l'interno della Sardegna e viceversa. Era anche considerato una sorta di nodo di scambio fra trasporto terrestre e marittimo. I Romani, che a San Giovanni avevano il loro Portus Luguidonis, la chiamavano “Pausata” mentre i Sardi la chiamavano “Pasatta”. Il villaggio, per la sua posizione strategica, fu abitato sin dall’età nuragica.
Secondo alcuni storici le sue coste furono utilizzate come approdo dal primo contingente di Shardana (popolo del mare) proveniente dalla Lidia, ricca regione nord occidentale dell'Asia Minore, popolazione da cui avrebbero avuto origine i Tirreni e poi gli Etruschi. Nella ricca e fertile valle alluvionale, attraversata dal rio Posada, sorgeva probabilmente la colonia cartaginese di Feronia, citata da Tolomeo nel II secolo d. C. In epoca giudicale divenne capoluogo della curatoria omonima nel Giudicato di Gallura. In questo periodo venne costruito il Castello della Fava (XII secolo), residenza dei Giudici galluresi, ed il centro abitato fu fortificato da cinte murarie. La virulenza della malaria, favorita dalla presenza dello stagno, causò lo spopolamento del paese intorno al 1345. Posada fece parte del Giudicato d'Arborea fino al 1410 e, nel Castello, passava le sue vacanze anche Eleonora, la Giudicessa condottiera e legislatrice. In seguito fu infeudato dalla Casa di Aragona ai Carroz, conti di Mandas e Terranova (1431) e venne formalmente elevato al rango di baronia. Questo territorio, oltre alla malaria, ai pirati e ai banditi, conobbe anche una terribile carestia nel 1681. La baronia di Posada è stata probabilmente l'ultimo feudo ad essere riscattato dai Savoia intorno al 1860. Secondo un'antica leggenda, nel 1300 una flotta di Saraceni sbarcò sulle coste di Posada. Nel Castello scoppiò il panico: il Giudice si rese conto che non sarebbero stati in grado di combattere l'assedio dei pirati ed ebbe l'idea geniale di ingozzare un piccione con le ultime fave rimaste, ferirlo leggermente e farlo volare in direzione degli accampamenti nemici. Il piccione, come previsto, cadde proprio nelle tende degli invasori che furono subito incuriositi dal suo strano gonfiore. Una volta aperto, trovarono le fave e questo particolare fece credere ai Saraceni che la popolazione aveva abbastanza cibo da nutrire persino i piccioni. Decisero, quindi, di togliere l’assedio e lasciare le coste di Posada. La leggenda narra che gli abitanti festeggiarono per giorni e giorni e che, da allora, il Castello dei Giudici galluresi venne chiamato Castello della Fava.
Sulla strada che da Posada conduce ad Orosei si trova uno dei posti più belli della Sardegna: la spiaggia di Berchida, selvaggia e meravigliosamente intatta, incastonata tra le colline rocciose dell’entroterra, una fitta vegetazione ed un mare trasparente dai colori cangianti e straordinari. Ci si arriva da una stradina sterrata lunga circa 4 km. che riserva continue sorprese come l’insediamento nuragico di Conca Umosa e il villaggio abbandonato di Rempellos.
Posada, arroccata in cima ad una rupe calcarea, è dominata dal Castello della Fava. Importante centro all’epoca dei Giudicati, decadde per le numerose incursioni saracene. Il borgo conserva la struttura medioevale con vicoli tortuosi collegati da ripide scalinate, archi e piccole piazze. Le antiche case si arrampicano sul roccione, alto 94 metri. Molte delle vecchie abitazioni in pietra grigia sono state ristrutturate; anche il castello è stato sottoposto ad un intervento di restauro e valorizzazione, una scala in legno porta alla sommità della torre quadrata. L’imponente torrione si affaccia sul mare circondato da pinete, sulla foce del fiume Posada, sullo stagno popolato da aironi e fenicotteri, sul Monte Albo e sulla fertile pianura, ricca di orti, coltivazioni di ortaggi ed agrumeti. La suggestione del centro storico medioevale viene esaltata da un paesaggio spettacolare per la sua varietà e bellezza naturalistica. Il toponimo “Posada” deriva da un'antica parola sarda, di origine spagnola che letteralmente vuol dire “sosta”, “luogo di riposo”. Qui, infatti, c’era una stazione di posta e cambio cavalli per i viaggiatori che, da Olbia si dirigevano verso l'interno della Sardegna e viceversa. Era anche considerato una sorta di nodo di scambio fra trasporto terrestre e marittimo. I Romani, che a San Giovanni avevano il loro Portus Luguidonis, la chiamavano “Pausata” mentre i Sardi la chiamavano “Pasatta”. Il villaggio, per la sua posizione strategica, fu abitato sin dall’età nuragica.
Secondo alcuni storici le sue coste furono utilizzate come approdo dal primo contingente di Shardana (popolo del mare) proveniente dalla Lidia, ricca regione nord occidentale dell'Asia Minore, popolazione da cui avrebbero avuto origine i Tirreni e poi gli Etruschi. Nella ricca e fertile valle alluvionale, attraversata dal rio Posada, sorgeva probabilmente la colonia cartaginese di Feronia, citata da Tolomeo nel II secolo d. C. In epoca giudicale divenne capoluogo della curatoria omonima nel Giudicato di Gallura. In questo periodo venne costruito il Castello della Fava (XII secolo), residenza dei Giudici galluresi, ed il centro abitato fu fortificato da cinte murarie. La virulenza della malaria, favorita dalla presenza dello stagno, causò lo spopolamento del paese intorno al 1345. Posada fece parte del Giudicato d'Arborea fino al 1410 e, nel Castello, passava le sue vacanze anche Eleonora, la Giudicessa condottiera e legislatrice. In seguito fu infeudato dalla Casa di Aragona ai Carroz, conti di Mandas e Terranova (1431) e venne formalmente elevato al rango di baronia. Questo territorio, oltre alla malaria, ai pirati e ai banditi, conobbe anche una terribile carestia nel 1681. La baronia di Posada è stata probabilmente l'ultimo feudo ad essere riscattato dai Savoia intorno al 1860. Secondo un'antica leggenda, nel 1300 una flotta di Saraceni sbarcò sulle coste di Posada. Nel Castello scoppiò il panico: il Giudice si rese conto che non sarebbero stati in grado di combattere l'assedio dei pirati ed ebbe l'idea geniale di ingozzare un piccione con le ultime fave rimaste, ferirlo leggermente e farlo volare in direzione degli accampamenti nemici. Il piccione, come previsto, cadde proprio nelle tende degli invasori che furono subito incuriositi dal suo strano gonfiore. Una volta aperto, trovarono le fave e questo particolare fece credere ai Saraceni che la popolazione aveva abbastanza cibo da nutrire persino i piccioni. Decisero, quindi, di togliere l’assedio e lasciare le coste di Posada. La leggenda narra che gli abitanti festeggiarono per giorni e giorni e che, da allora, il Castello dei Giudici galluresi venne chiamato Castello della Fava.
Sulla strada che da Posada conduce ad Orosei si trova uno dei posti più belli della Sardegna: la spiaggia di Berchida, selvaggia e meravigliosamente intatta, incastonata tra le colline rocciose dell’entroterra, una fitta vegetazione ed un mare trasparente dai colori cangianti e straordinari. Ci si arriva da una stradina sterrata lunga circa 4 km. che riserva continue sorprese come l’insediamento nuragico di Conca Umosa e il villaggio abbandonato di Rempellos.
sabato, gennaio 13, 2007
Costa Smeralda in vendita? Questione di feeling
Testo e foto di Mara Malda per www.marellagiovannelli.com
"Tom Barrack avrebbe intenzione di vendere la Costa Smeralda”. La voce comincia a circolare e qualcuno non esclude il gran ritorno del Principe Aga Khan galvanizzato dai suoi ultimi “colpi d’ala”.
Meridiana ha chiuso il bilancio 2006 in attivo per il secondo anno consecutivo, registrando un aumento del 15% dei passeggeri. L'azionista Aga Khan si appresta a versare 23 milioni di euro per una ricapitalizzazione.
La recentissima acquisizione del 29,9% di Eurofly porterà Meridiana a sviluppare il proprio business sul mercato internazionale, visto che quello domestico è depresso. Piace a molti l’idea che la Costa Smeralda possa tornare “alle origini”, complice l’entusiasmo scemato di Barrack e lo slancio ritrovato del fondatore Aga Khan.
Tempo fa, un giornalista chiese a Barrack: “Ha mai desiderato vendere le sue proprietà e lasciare la Sardegna?”. La risposta del finanziere americano era stata molto ferma: “Not at all. In Costa Smeralda noi davvero ci sentiamo a casa e siamo orgogliosi di aver dato lavoro a 4mila famiglie. Ma il merito va all’Aga Khan: è stato lui, geniale, ad inventare questo posto creando uno stile di vita sul mare, dove nessuno andava”.
Ma, dopo gli ultimi incontri-scontri, il feeling tra il paziente Tom Barrack, sempre molto diplomatico, e Renato Soru, Governatore dei Sardi e della Sardegna (sempre meno diplomatico) si sarebbe incrinato. Forse tanto da far nascere in Barrack l’idea di mettere in vendita la Costa Smeralda.
Intanto i nostalgici scommettono sul “primo amore che non si scorda mai” con l’Aga Khan, tornato in auge, pronto a riprendersi la sua “creatura” perchè, in fondo, Soru passa e la Costa Smeralda resta.
"Tom Barrack avrebbe intenzione di vendere la Costa Smeralda”. La voce comincia a circolare e qualcuno non esclude il gran ritorno del Principe Aga Khan galvanizzato dai suoi ultimi “colpi d’ala”.
Meridiana ha chiuso il bilancio 2006 in attivo per il secondo anno consecutivo, registrando un aumento del 15% dei passeggeri. L'azionista Aga Khan si appresta a versare 23 milioni di euro per una ricapitalizzazione.
La recentissima acquisizione del 29,9% di Eurofly porterà Meridiana a sviluppare il proprio business sul mercato internazionale, visto che quello domestico è depresso. Piace a molti l’idea che la Costa Smeralda possa tornare “alle origini”, complice l’entusiasmo scemato di Barrack e lo slancio ritrovato del fondatore Aga Khan.
Tempo fa, un giornalista chiese a Barrack: “Ha mai desiderato vendere le sue proprietà e lasciare la Sardegna?”. La risposta del finanziere americano era stata molto ferma: “Not at all. In Costa Smeralda noi davvero ci sentiamo a casa e siamo orgogliosi di aver dato lavoro a 4mila famiglie. Ma il merito va all’Aga Khan: è stato lui, geniale, ad inventare questo posto creando uno stile di vita sul mare, dove nessuno andava”.
Ma, dopo gli ultimi incontri-scontri, il feeling tra il paziente Tom Barrack, sempre molto diplomatico, e Renato Soru, Governatore dei Sardi e della Sardegna (sempre meno diplomatico) si sarebbe incrinato. Forse tanto da far nascere in Barrack l’idea di mettere in vendita la Costa Smeralda.
Intanto i nostalgici scommettono sul “primo amore che non si scorda mai” con l’Aga Khan, tornato in auge, pronto a riprendersi la sua “creatura” perchè, in fondo, Soru passa e la Costa Smeralda resta.
martedì, gennaio 09, 2007
Lele Mora: intanto la Polizia lo premia
Testo e foto in Mara Malda per www.marellagiovannelli.com
Non bastava aver imbottito di Sara Tommasi, Ana Laura Ribas, Costantino Vitagliano e Daniele Interrante, il “XII Megashow per la Pace - Befana delle Forze di Polizia”. Presidente dell’Api è l’ispettore della Digos Carmine Abagnale, consigliere comunale indipendente eletto con Forza Italia che, nel suo sito mostra un’evidente inclinazione a farsi fotografare con personaggi più o meno noti ma ignoti mai.
Per l’Epifania ha organizzato (come si può leggere nel portale dell’Associazione poliziotti italiani) una “kermesse dedicata a grandi e piccini che, unitamente all’intento di far trascorrere un pomeriggio divertente ai figli degli operatori della sicurezza e ai bambini milanesi, ha come obiettivo quello di rinsaldare i vincoli di stima, amicizia, rispetto e collaborazione tra cittadini e forze dell’ordine”. La variegata lista degli ospiti invitati per la Befana della Polizia, oltre alle quattro ciliegine lelemoriche (Tommasi-Ribas-Vitagliano-Interrante) comprendeva anche Francesco Baccini e il Mago Ermy, Francesco Arca e Tullio De Piscopo, Alessia Ventura e Umberto Smaila, Maurizio Ferrini e Pino Biaggioli più Jerry Calà, I Bravo di Augusto Righetti, Luca Viraghi, Danilo Vizzini di Zelig ed altri non meglio identificati.
Durante lo spettacolo, presentato da Cesare Cadeo, Iuliana Ierugan, Cristiano Gatti, Chiara Maiocchi e Camilla Vaira, è stato anche consegnato un "riconoscimento ai rappresentati della grande famiglia delle Forze dell’Ordine, agli agenti della Polizia Locale e dei vigili del Fuoco che si sono contraddistinti per il loro impegno professionale". Poi è arrivata l’ora del cavolo a merenda per la Befana della Polizia, evidentemente fan irriducibile di Lele Mora e della sua “scuderia”.
Al “XII Megashow per la Pace”, tanto per non farsi mancare nulla, l'Associazione poliziotti italiani ha consegnato un premio anche all’agente, non speciale ma Mora. La motivazione? Irresistibile nella sostanza e nella forma: “…Per aver nel corso degli anni contribuito alla scoperta di numerosi talenti dello spettacolo accrescendo il prestigio stilistico, nel nostro Paese, nel mondo…”.
Non bastava aver imbottito di Sara Tommasi, Ana Laura Ribas, Costantino Vitagliano e Daniele Interrante, il “XII Megashow per la Pace - Befana delle Forze di Polizia”. Presidente dell’Api è l’ispettore della Digos Carmine Abagnale, consigliere comunale indipendente eletto con Forza Italia che, nel suo sito mostra un’evidente inclinazione a farsi fotografare con personaggi più o meno noti ma ignoti mai.
Per l’Epifania ha organizzato (come si può leggere nel portale dell’Associazione poliziotti italiani) una “kermesse dedicata a grandi e piccini che, unitamente all’intento di far trascorrere un pomeriggio divertente ai figli degli operatori della sicurezza e ai bambini milanesi, ha come obiettivo quello di rinsaldare i vincoli di stima, amicizia, rispetto e collaborazione tra cittadini e forze dell’ordine”. La variegata lista degli ospiti invitati per la Befana della Polizia, oltre alle quattro ciliegine lelemoriche (Tommasi-Ribas-Vitagliano-Interrante) comprendeva anche Francesco Baccini e il Mago Ermy, Francesco Arca e Tullio De Piscopo, Alessia Ventura e Umberto Smaila, Maurizio Ferrini e Pino Biaggioli più Jerry Calà, I Bravo di Augusto Righetti, Luca Viraghi, Danilo Vizzini di Zelig ed altri non meglio identificati.
Durante lo spettacolo, presentato da Cesare Cadeo, Iuliana Ierugan, Cristiano Gatti, Chiara Maiocchi e Camilla Vaira, è stato anche consegnato un "riconoscimento ai rappresentati della grande famiglia delle Forze dell’Ordine, agli agenti della Polizia Locale e dei vigili del Fuoco che si sono contraddistinti per il loro impegno professionale". Poi è arrivata l’ora del cavolo a merenda per la Befana della Polizia, evidentemente fan irriducibile di Lele Mora e della sua “scuderia”.
Al “XII Megashow per la Pace”, tanto per non farsi mancare nulla, l'Associazione poliziotti italiani ha consegnato un premio anche all’agente, non speciale ma Mora. La motivazione? Irresistibile nella sostanza e nella forma: “…Per aver nel corso degli anni contribuito alla scoperta di numerosi talenti dello spettacolo accrescendo il prestigio stilistico, nel nostro Paese, nel mondo…”.
lunedì, gennaio 01, 2007
Bosa, segni particolari: antica, fluviale e variopinta
Testo e foto di Marella Giovannelli per www.marellagiovannelli.com
Bosa: antica, fluviale e variopinta, dominata dal castello dei Malaspina, è una cittadina di mare, fiume, barche da pesca, orti, casette e palazzi medioevali. Oggi è uno dei più importanti centri turistici della Sardegna ma, anche fuori stagione, ha tanto da offrire, essendo un centro abitato da secoli e vivace tutto l’anno. I residenti oggi sono circa ottomila.
Spettacolare è la passeggiata lungo il corso del fiume Temo caratterizzato, sulla riva sinistra, dalla presenza delle ottocentesche concerie, rimaste attive fino al 1962 e dichiarate monumento nazionale di archeologia industriale con un decreto del 1989. Nella zona bassa del città vecchia si trovano le cantine dove è possibile gustare l’ambrata e corposa Malvasia tipica di questa zona.
Tra vicoli e portici si è sviluppato il coloratissimo centro storico, uno dei più grandi della Sardegna. La floridezza dei traffici mercantili del passato ha i suoi “segni” architettonici nell’imponenza delle chiese e dei vecchi palazzi nobiliari del Corso, nell’eleganza di piazze e caffè. Pittoresco è il quartiere de "Sa Costa" cresciuto sul borgo medioevale del colle di Serravalle dove sorge il castello dei Malaspina.
Il rosso, l'indaco e il giallo delle case si sposano meravigliosamente bene con una tavolozza di altri colori: il rosa dei tufi e delle trachiti dei costoni, il verde brillante dei campi coltivati, il blu del mare e il grigio azzurro del fiume, sulle cui sponde crescono le palme. Un antico ponte in trachite rossa (la pietra-regina di Bosa) e un altro, decisamente più moderno, collegano il quartiere delle concerie,"sas conzas", al centro storico dominato dal Castello. Ad aumentare la suggestione di uno scenario già fiabesco, sono gli avvoltoi grifoni che volteggiano sulla torre.
Ulivi e querce secolari, folti vigneti, ricchi agrumeti e campi di carciofi degradano dolcemente verso la marina e le spiagge. Oltre ai grifoni, nel cielo di Bosa volano aquile e falchi mentre nei boschi dei dintorni vivono martore, gatti selvatici e cinghiali. Una iscrizione fenicia del IX secolo a.C. documenta l'origine di Bosa, fondata probabilmente dal leggendario Sardus Pater.
Ma non si hanno notizie certe fino all'età romana, quando l'antica Bosa sorgeva vicino al fiume, nei pressi dell'attuale chiesa di S.Pietro, costruita nel 1062. La città si sviluppò a partire dagli inizi del XII secolo, in seguito all'edificazione del Castello di Serravalle dei Marchesi Malaspina, sotto il quale si formò e crebbe il piccolo borgo medioevale.
Alla fine del '300 Bosa si organizzò come un comune fino a ricevere la possibilità di coniare moneta; nell'800, divenuto capoluogo di provincia, conobbe un progressivo sviluppo economico e fu famosa per la sua fiorente industria conciaria. Il Temo, unico corso d' acqua navigabile della Sardegna, può essere percorso per circa nove chilometri. Una passeggiata lungo il fiume è sufficiente per capire quanto sia praticata la pesca, soprattutto quella all’aragosta.
Decine e decine di barche, reti, nasse, attrezzi del mestiere e pescherie non lasciano dubbi su quale sia l’attività trainante dell’economia bosana. Una visita non frettolosa merita “Sa Costa”, il rione medioevale delle tradizioni popolari gelosamente conservate, degli altari votivi allestiti dalle famiglie e delle feste religiose celebrate con grande devozione dai bosani.
Ma questo è anche il quartiere delle scalinate e delle case stregate. Leggende e racconti tramandati da generazioni narrano di passaggi segreti che portano fino al castello e di oscuri labirinti da cui provengono lamenti di disperazione di donne e di bimbi morti da secoli ma ancora senza pace.
Bosa: antica, fluviale e variopinta, dominata dal castello dei Malaspina, è una cittadina di mare, fiume, barche da pesca, orti, casette e palazzi medioevali. Oggi è uno dei più importanti centri turistici della Sardegna ma, anche fuori stagione, ha tanto da offrire, essendo un centro abitato da secoli e vivace tutto l’anno. I residenti oggi sono circa ottomila.
Spettacolare è la passeggiata lungo il corso del fiume Temo caratterizzato, sulla riva sinistra, dalla presenza delle ottocentesche concerie, rimaste attive fino al 1962 e dichiarate monumento nazionale di archeologia industriale con un decreto del 1989. Nella zona bassa del città vecchia si trovano le cantine dove è possibile gustare l’ambrata e corposa Malvasia tipica di questa zona.
Tra vicoli e portici si è sviluppato il coloratissimo centro storico, uno dei più grandi della Sardegna. La floridezza dei traffici mercantili del passato ha i suoi “segni” architettonici nell’imponenza delle chiese e dei vecchi palazzi nobiliari del Corso, nell’eleganza di piazze e caffè. Pittoresco è il quartiere de "Sa Costa" cresciuto sul borgo medioevale del colle di Serravalle dove sorge il castello dei Malaspina.
Il rosso, l'indaco e il giallo delle case si sposano meravigliosamente bene con una tavolozza di altri colori: il rosa dei tufi e delle trachiti dei costoni, il verde brillante dei campi coltivati, il blu del mare e il grigio azzurro del fiume, sulle cui sponde crescono le palme. Un antico ponte in trachite rossa (la pietra-regina di Bosa) e un altro, decisamente più moderno, collegano il quartiere delle concerie,"sas conzas", al centro storico dominato dal Castello. Ad aumentare la suggestione di uno scenario già fiabesco, sono gli avvoltoi grifoni che volteggiano sulla torre.
Ulivi e querce secolari, folti vigneti, ricchi agrumeti e campi di carciofi degradano dolcemente verso la marina e le spiagge. Oltre ai grifoni, nel cielo di Bosa volano aquile e falchi mentre nei boschi dei dintorni vivono martore, gatti selvatici e cinghiali. Una iscrizione fenicia del IX secolo a.C. documenta l'origine di Bosa, fondata probabilmente dal leggendario Sardus Pater.
Ma non si hanno notizie certe fino all'età romana, quando l'antica Bosa sorgeva vicino al fiume, nei pressi dell'attuale chiesa di S.Pietro, costruita nel 1062. La città si sviluppò a partire dagli inizi del XII secolo, in seguito all'edificazione del Castello di Serravalle dei Marchesi Malaspina, sotto il quale si formò e crebbe il piccolo borgo medioevale.
Alla fine del '300 Bosa si organizzò come un comune fino a ricevere la possibilità di coniare moneta; nell'800, divenuto capoluogo di provincia, conobbe un progressivo sviluppo economico e fu famosa per la sua fiorente industria conciaria. Il Temo, unico corso d' acqua navigabile della Sardegna, può essere percorso per circa nove chilometri. Una passeggiata lungo il fiume è sufficiente per capire quanto sia praticata la pesca, soprattutto quella all’aragosta.
Decine e decine di barche, reti, nasse, attrezzi del mestiere e pescherie non lasciano dubbi su quale sia l’attività trainante dell’economia bosana. Una visita non frettolosa merita “Sa Costa”, il rione medioevale delle tradizioni popolari gelosamente conservate, degli altari votivi allestiti dalle famiglie e delle feste religiose celebrate con grande devozione dai bosani.
Ma questo è anche il quartiere delle scalinate e delle case stregate. Leggende e racconti tramandati da generazioni narrano di passaggi segreti che portano fino al castello e di oscuri labirinti da cui provengono lamenti di disperazione di donne e di bimbi morti da secoli ma ancora senza pace.