venerdì, agosto 10, 2007

Pinuccio Sciola e le sue pietre sonore a Porto Rotondo

Testo e foto di Marella Giovannelli per www.marellagiovannelli.com
“Quando non ero e non era il tempo. Quando il caos dominava l’universo. Quando il magma incandescente celava il mistero della mia formazione. Da allora, il mio tempo è rinchiuso in una crosta durissima. Ho vissuto ere geologiche interminabili, immani cataclismi hanno scosso la mia memoria litica. Porto con emozione i primi segni della civiltà dell’uomo. Il mio tempo non ha tempo”. Con queste parole, lo scultore Pinuccio Sciola, artista magmatico e carismatico per eccellenza, presenta la sua “carta d’identità”. Lo incontriamo a casa di Luigi Donà delle Rose che, attraverso la neo costituita Fondazione di Porto Rotondo, è riuscito a coinvolgere Sciola in un progetto straordinario. Via Riccardo Belli e l’area circostante, una delle zone più centrali e trafficate del villaggio, sarà trasformata in un’opera d’arte a cielo aperto. Prima di parlare di questo progetto con lo scultore, sardo di San Sperate, che tutto il mondo ci invidia, lo guardiamo accarezzare una delle sue famose sculture, attraversata da tagli profondi. Sotto le sue mani, la pietra comincia ad emettere suoni liquidi perché, come ci spiega il maestro Sciola, “la pietra è la spina dorsale del mondo. Il calcare non è altro che acqua fossilizzata per cui la memoria della materia è rimasta all’interno della pietra. Se suono il basalto - aggiunge lo scultore - il suono non ricorda più lo scorrere dell’acqua ma il divampare del fuoco”. Vista la semplicità con la quale Pinuccio Sciola spiega il suo “concerto” con la scultura di pietra-strumento musicale, siamo in tre a chiedergli di farci provare. Per noi è un’esperienza del tutto nuova ma, solo uno su tre, è riuscito, al primo tentativo, a far suonare la pietra.
“ Riprovate, non è difficile - ci consola il maestro. Dipende dall’umidità del palmo delle mani, dal tipo di carezza o di pressione che si esercita sulla scultura. I bambini, ad esempio, sono bravissimi a far cantare le pietre”. La propagazione dei suoni è dovuta alle vibrazioni generate dalle pietre, diventate elastiche, una volta penetrate da lame profonde. La lunghezza dei tagli e la loro posizione sulla pietra “memoria dell’universo”, costituiscono le basi dell’intuizione, tanto geniale quanto poetica, di Pinuccio Sciola. Prima o poi riuscirà a realizzare il suo sogno-auspicio: “La Sardegna è la più bella scultura al centro del Mediterraneo e, dentro questa scultura, devono venire tutti gli scultori più bravi del mondo”. Lo ribadisce oggi, forte di un successo internazionale ormai consolidato e coerente con una formazione che lo ha visto cominciare come autodidatta. Il percorso artistico di Pinuccio Sciola è inusuale, fecondo, prestigioso ed imprevedibile. Scherzando, dice di essere “nato da una pietra” e qualcuno lo ha anche definito lo “scultore-scultura”.
“Da piccolissimo ho iniziato impastando il fango - racconta Sciola - e poi mi incantavo a guardare i muratori e gli scalpellini. La mia è una famiglia di contadini; in casa eravamo in dieci: babbo, mamma e otto fratelli. Io, da sempre, sono stato affascinato dalle pietre che ho cominciato a lavorare sin da bambino. Mi colpito il fatto che avessero suoni diversi e, intanto, già da ragazzino, realizzavo sculture di grandi dimensioni. A diciassette anni sono stato chiamato per il servizio militare; nel foglio per la visita di leva io avevo scritto “Per l’arte, la vita”. In quel periodo, alcuni amici organizzarono una mostra delle mie opere alla Rinascente di Cagliari. Vinsi il primo premio: una borsa di studio che per me, in possesso della sola licenza elementare, segnò una svolta. Ebbi, infatti, la possibilità di frequentare per quattro anni il Liceo Artistico diretto da Foiso Fois. Ottenuto il diploma, mi proposero di insegnare al Liceo, con uno stipendio regolare. Davanti a questa offerta mi sono spaventato perché temevo di non avere più tempo sufficiente da dedicare alla scultura. Ci ho pensato due giorni, al terzo sono praticamente scappato e ho cominciato a viaggiare.
Erano i primi anni Sessanta; sono stato a Orvieto, Roma, Venezia, Ravenna, Firenze. Una ragazza tedesca mi indirizzò all’Accademia Internazionale d’Arte di Salisburgo dove, per cinque estati, frequentai i corsi di Kokoschka, Kirchner, Marcuse, Minguzzi e Vedova. Finiti i corsi, ripresi i miei viaggi; anni di fame e gavetta; ho conosciuto tutte le stazioni d’Europa perché era lì che dormivo, per terra, sui cartoni mentre di giorno visitavo i musei. Vinsi un’altra borsa di studio per la Spagna che, per me, significava la possibilità di poter imparare lo spagnolo per poi andare in Messico, paese che mi attirava come una calamita. Ma, in Spagna, sono rimasto folgorato dalle grotte di Altamira; provai una emozione fortissima che ha sicuramente influenzato il mio percorso creativo”. Pinuccio Sciola sospende il racconto del suo passato per lanciare un’idea da realizzare in Sardegna, “una scultura lunga 240 chilometri, una strada dell’arte con inizio a Cagliari e fine a Porto Torres. Un’opera del genere, oltre a valorizzare il patrimonio paesaggistico, costituirebbe un’attrazione culturale e turistica unica al mondo”. Sciola riprende il filo del discorso, riavvia la “macchina del tempo” e lo ritroviamo nel maggio del 1968, a Parigi. Arricchito da stimoli, fermenti e rapporti allacciati a livello internazionale, lo scultore sardo rientra a San Sperate che trasfigura con i suoi murales, facendolo diventare un paese-museo.
Coinvolge l’intera comunità con il suo entusiasmo contagioso che travalica i confini dell’isola. Invita i suoi amici artisti che arrivano a San Sperate da Salisburgo e l’eco delle iniziative di Pinuccio Sciola, in quell’angolo assolato della Sardegna, giunge fino all’Unesco. Positiva conseguenza di tanto interesse: il desiderato viaggio in Messico. “Era il 1973 - ricorda Sciola - appena arrivato, mostrai al Segretario dell’Unesco di Città del Messico, le foto delle mie sculture e lui mi disse - Uomo, tu sei un Maya che ha vissuto lontano da qui -. Sentito il mio cognome, saltò sulla sedia e mi accompagnò a vedere la targa della strada intitolata a un certo Xola che i messicani pronunciano Sciola”. Durante quel soggiorno lo scultore sardo incontra il grande muralista Siqueiros dal quale attinge i segreti e il fascino della cultura pre-colombiana. Emozioni potenti, per lui, anche in Perù dove entra in contatto con la cultura degli Incas.
“I Gesuiti mi invitarono a Kenko e, in uno spunzone di roccia, ho visto il dettaglio di una scanalatura perfettamente coincidente con una delle mie sculture. Avevo con me la foto di questa pietra che impressionò moltissimo anche i miei accompagnatori. A Santiago del Cile mi regalarono un biglietto per l’Isola di Pasqua e qui ebbi un’altra, indimenticabile sorpresa. Mi trovavo con un vecchio polinesiano quando, fra i cumuli di pietra con sopra le famose statue, ho visto un vero e proprio nuraghe che, naturalmente, ho fotografato. Persino il decano degli archeologi sardi, Giovanni Lilliu, al quale mostrai l’immagine, disse che si trattava di uno dei “nostri” nuraghi”. Dopo aver dato vita ad una scuola-laboratorio a San Sperate, Pinuccio Sciola, effettua un entusiasmante viaggio di studio in Africa, attraverso la foresta equatoriale, dall’Uganda fino allo Zaire. Nel suo “nomadismo creativo” tra le capitali europee e non solo, conosce tanti protagonisti dell’arte contemporanea; da Aligi Sassu a Giacomo Manzù, da Fritz Wotruba a Henry Moore. Oggi, le opere di Sciola, sono esposte nei più importanti musei del mondo, abbelliscono piazze, chiese e centri storici. Lui, però, non è schiavo, né dell’ambizione, né della presunzione.
Ha capito che “se si eccede in una o nell’altra, si è tagliati fuori” e, a dimostrazione della sua semplicità, non ha un mercante o un agente. Gestisce la sua attività direttamente, con l’aiuto di un collaboratore, “uno solo ma validissimo”. Su Sciola ormai fioccano i riconoscimenti nazionali ed internazionali. Una delle sue sculture sonore è stata installata da Renzo Piano nell’Auditorium della Musica a Roma. Nel 2004, è stato l’unico artista italiano invitato a partecipare alla mostra “L’elogio della natura”, allestita a Parigi, nel Jardin du Luxemburg. Anche i Semi, le Spighe, le Foglie e i Fiori di pietra, sono un omaggio dello scultore alla Terra, la dea Madre con la quale Pinuccio Sciola ha saputo conservare un “filo” diretto e speciale. A ricordarglielo è anche la suoneria del suo cellulare: il chicchirichì di un gallo. Dopo una splendida mostra di sue grandi opere, allestita a Venezia durante l’inaugurazione della Biennale, alcune sculture sonore di Sciola sono state esposte nel sagrato della Basilica di San Francesco ad Assisi. Il suo “Cantico delle pietre” ha emozionato e commosso il pubblico e i frati francescani che hanno scelto una sua opera da mettere accanto alla tomba del Santo. Ma i successi mietuti oltremare non riescono a tenere lontano lo scultore dalla sua Sardegna più di un certo periodo. La sua stessa vitalità creativa, così strettamente legata alla sua terra, diventa dirompente se il progetto è legato all'isola. “Luigino Donà dalle Rose è venuto a trovarmi a San Sperate - ricorda Pinuccio Sciola – e mi ha proposto un intervento nel centro di Porto Rotondo, in via Riccardo Belli. Sto pensando ad una pavimentazione particolare: un tappeto di pietre con dei segni; negli spazi lungo la strada realizzerei dei piccoli salotti monolitici e una serie di sculture sonore”. Il festival Time in Jazz di Berchidda, ad agosto, avrà come “ospiti d’onore” alcune opere di Pinuccio Sciola che, tra i suoi tanti progetti, ne ha uno in cantiere, anche per piazza Montecitorio a Roma. Eppure lui, con la modestia che solo i veri grandi hanno, dice: “Io non credo di aver aperto nuove strade. Ho trovato il modo di dare a una materia, apparentemente muta, un suono, il suo suono”.