Testo e foto
http://www.marellagiovannelli.com/pubblicazioni/260-gli-aristocratici-mostri-fotografati-da-diane-arbus-un-inno-all-essenza-dell-individuo
Questa riflessione di Diane Arbus ha guidato praticamente tutta la sua attività non convenzionale e trasgressiva di fotografa che amava far emergere la normalità dei “diversi”, troppo spesso sbrigativamente liquidati come “mostri”.
Diane, morta suicida a quarantotto anni nel 1971, era nata nel 1923 a New York da una ricca famiglia ebrea, i Nemerov, di origine polacca. Comincio a lavorare nel campo della moda insieme al marito Allan Arbus ma, la fine del matrimonio, segnò una svolta definitiva anche per la carriera della giovane Diane.
Abbandonate le riviste patinate, cominciò una sua personalissima ricerca i cui risultati, ancora adesso, appaiono controtendenza e fuori dal coro. Esplora i sobborghi poveri, frequenta circhi e locali malfamati, è affascinata da un mondo oscuro popolato da “meraviglie della natura”.
Le straordinarie foto della Arbus documentano la quotidianità, spesso sorprendente, di esseri emarginati per la loro diversità o deformità. I suoi “freaks” non vengono mai ritratti come caricature o fenomeni da baraccone perché l’acuta sensibilità della fotografa non si ferma all’aspetto fisico.
Diane Arbus, nei suoi scatti, riesce a cogliere tutta l’umanità rinchiusa nel corpo-gabbia di persone solo esternamente diverse. Le espressioni, i sorrisi e gli sguardi dei soggetti fotografati (nani, giganti, travestiti, inquietanti figure di tutte le età) comunicano emozioni inattese. Testimoniano una voglia di vivere più forte della vergogna e il desiderio di una normalità troppo spesso negata. Le fotografie di Diane Arbus, a suo tempo, furono giudicate scandalose e sovversive.
Chi le guardava veniva spiazzato dalla mancanza di patetismo e morbosità; inconcepibile ritrarre la domestica serenità dei “mostri”, i loro giochi, i frammenti di vite diverse e, per questo, speciali. Le opere della grande fotografa americana, più che un elogio alla bruttezza, rappresentano un inno alla sostanza, all’essenza dell’individuo, imprigionata oggi come ieri dal culto della bellezza e della forma.
Diane, morta suicida a quarantotto anni nel 1971, era nata nel 1923 a New York da una ricca famiglia ebrea, i Nemerov, di origine polacca. Comincio a lavorare nel campo della moda insieme al marito Allan Arbus ma, la fine del matrimonio, segnò una svolta definitiva anche per la carriera della giovane Diane.
Abbandonate le riviste patinate, cominciò una sua personalissima ricerca i cui risultati, ancora adesso, appaiono controtendenza e fuori dal coro. Esplora i sobborghi poveri, frequenta circhi e locali malfamati, è affascinata da un mondo oscuro popolato da “meraviglie della natura”.
Le straordinarie foto della Arbus documentano la quotidianità, spesso sorprendente, di esseri emarginati per la loro diversità o deformità. I suoi “freaks” non vengono mai ritratti come caricature o fenomeni da baraccone perché l’acuta sensibilità della fotografa non si ferma all’aspetto fisico.
Diane Arbus, nei suoi scatti, riesce a cogliere tutta l’umanità rinchiusa nel corpo-gabbia di persone solo esternamente diverse. Le espressioni, i sorrisi e gli sguardi dei soggetti fotografati (nani, giganti, travestiti, inquietanti figure di tutte le età) comunicano emozioni inattese. Testimoniano una voglia di vivere più forte della vergogna e il desiderio di una normalità troppo spesso negata. Le fotografie di Diane Arbus, a suo tempo, furono giudicate scandalose e sovversive.
Chi le guardava veniva spiazzato dalla mancanza di patetismo e morbosità; inconcepibile ritrarre la domestica serenità dei “mostri”, i loro giochi, i frammenti di vite diverse e, per questo, speciali. Le opere della grande fotografa americana, più che un elogio alla bruttezza, rappresentano un inno alla sostanza, all’essenza dell’individuo, imprigionata oggi come ieri dal culto della bellezza e della forma.