Testo e foto nella sezione Mara Malda di www.marellagiovannnelli.com
“Io uso il bagno degli uomini!” Così scrive Isabella Rescalli, in merito alla nota diatriba cessistica Gardini-Luxuria e in risposta ad un mio commento nel quale definivo allucinanti le dichiarazioni rese dall’Elisabetta furiosa & indignata. L’intervento dell’acuta Rescalli, frequentatrice abituale della sezione “Dite la vostra” nel mio www.marellagiovannelli.com, continua così:
“In una delle sue lettere a Lucilio, Seneca scriveva:
".... rivendica il tuo diritto su te stesso e il tempo che fino ad oggi ti veniva portato via o carpito o andava perduto..... Niente ci appartiene, solo il tempo è nostro..."
I servizi igienici degli autogrill italiani hanno la caratteristica di essere quasi sempre liberi nel reparto "uomini" e sempre strapieni nella zona "donne" non già perchè gli uomini facciano la pipì più velocemente di noi, ma perchè non perdono tempo a rifarsi il trucco, a cotonarsi i capelli, a mettersi profumi su profumi (al massimo, ma questo lo consentirei anche alle donne, si lavano i denti).
E così, forte della massima di Seneca che condivido attivamente, senza sentirmi "furba" nemmeno per un istante, mi infilo immancabilmente nel bagno degli uomini, creando solo qualche sguardo interrogativo negli avventori presenti. Mi riesce difficile accettare che nel XXI secolo abbiamo ancora i bagni separati (quanto insegnano gli animali!).
Alla carissima Elisabetta Gardini farei conoscere volentieri le migliaia di donne che ogni giorni vengono picchiate, seviziate e stuprate. Forse darà un significato diverso alle parole "violenza subita".
In quanto a Vladimir Luxuria, indipendentemente dall'idea politica e dal suo schieramento che non condivido, ha tutta la mia ammirazione. Non posso che ammirare una persona che ha la forza di essere fino in fondo ciò che è. (Ecco, per restare fedele al mio modo di scherzare con le parole, avrei dovuto dire: Non posso che ammirare una persona che ha la forza di essere ciò che è... fino all'ultima goccia!).
lunedì, ottobre 30, 2006
venerdì, ottobre 27, 2006
Soru: chi di monnezza ferisce di monnezza perisce
Mara Malda per www.marellagiovannelli.com
Grazie Sardegna ma inviarvi i rifiuti dalla Campania costa troppo. Figuraccia doppia, per Renato Soru cornuto e mazziato. Il suo "atto di solidarietà", tanto contestato dai Sardi, è stato ufficialmente rispedito al mittente perchè, in pratica, si sarebbero accorti che il gioco non vale la candela. Fatti due conti, il pragmatico Guido Bertolaso, Commissario Straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania, ha deciso che non conviene economicamente trasportare i rifiuti campani nell'Isola. Potevano pensarci prima, se la motivazione è davvero questa. Ma, forse, sull'onda delle furiose polemiche, ha fatto scuola (politica) l'immortale Fedro con la sua volpe che, non riuscendo a raggiungere l'uva, disse di non volerla cogliere perchè era ancora acerba.
Cinghiali scatenati e prolifici, urge referendum
Foto e testo di Mara Malda per www.marellagiovannelli.com
L’idea di un referendum popolare sul sistema più adatto per ridurre il numero dei cinghiali, è stata lanciata da Vincenzo Satta, direttore del Parco Nazionale dell’Arcipelago. Gli irsuti animali, dopo aver colonizzato e devastato Caprera, si sono insediati a La Maddalena e sull’isolotto di Spargi. Molti turisti, trovandoli estremamente pittoreschi, un elemento del folklore isolano, danno loro da mangiare e vengono ricompensati con raspose leccatine. Altri, meno fortunati, magari sprovvisti di cibo in spiaggia, se non sono abbastanza veloci, rischiano morsi e graffi.
L’allarme diffuso dal Direttore del Parco di la Maddalena suona come un bollettino di guerra e riferisce di “cinghiali alla ricerca spasmodica di cibo che manifestano la loro aggressività e cancellano ogni altra traccia faunistica concorrente”. Ormai gli incontri ravvicinati uomini-cinghiali non si contano più e, in alcune località di la Maddalena, la gente tiene la spazzatura a casa per non avvicinarsi ai cassonetti circondati da cinghiali affamati. Se ne contano almeno un centinaio e, tra i danni all’ambiente e i rischi per le persone, la situazione continua a peggiorare. Per non suscitare le ire funeste degli animalisti, nessuno osa parlare di abbattimento. Ispirati da Ponzio Pilato, i vertici del Parco hanno proposto un referendum per chiedere ai maddalenini, la soluzione del problema.
Il direttore Satta ha poi raccontato di una coppia di cinghiali illegalmente trasferiti sull’incantevole isola di Santa Maria. Calcolando che questi ungulati si accoppiano due volte l’anno e che ogni parto sono sette/otto nuovi cinghialini, si può capire l’apprensione per l’ ecosistema ricco di fauna e flora di Santa Maria. I rangers del Parco addetti alla cattura sono già in azione e hanno sfrattato con forza diversi animali dalle isole dell'Arcipelago. L'operazione non è stata indolore perchè, non cinghiali
"resistenti" e vendicativi, ma qualche umano non meglio identificato, ha danneggiato le gabbie e squarciato le gomme del furgone-cellulare che li portava via.
Anche a Porto Rotondo, cinghiali scatenati, non in spiaggia o in paese, ma nei parchi e nei giardini privati. Uno dei loro punti di riunione preferiti è la tenuta di Silvio Berlusconi a Punta Lada dove, ogni notte, scavano buche alla ricerca di radici. I cinghiali, incuranti della disperazione del Cavaliere che i fine-settimana arriva e conta i danni, continuano a distruggere i fiori, le piante e persino i funghi che in questo periodo crescono alla Certosa.
L’idea di un referendum popolare sul sistema più adatto per ridurre il numero dei cinghiali, è stata lanciata da Vincenzo Satta, direttore del Parco Nazionale dell’Arcipelago. Gli irsuti animali, dopo aver colonizzato e devastato Caprera, si sono insediati a La Maddalena e sull’isolotto di Spargi. Molti turisti, trovandoli estremamente pittoreschi, un elemento del folklore isolano, danno loro da mangiare e vengono ricompensati con raspose leccatine. Altri, meno fortunati, magari sprovvisti di cibo in spiaggia, se non sono abbastanza veloci, rischiano morsi e graffi.
L’allarme diffuso dal Direttore del Parco di la Maddalena suona come un bollettino di guerra e riferisce di “cinghiali alla ricerca spasmodica di cibo che manifestano la loro aggressività e cancellano ogni altra traccia faunistica concorrente”. Ormai gli incontri ravvicinati uomini-cinghiali non si contano più e, in alcune località di la Maddalena, la gente tiene la spazzatura a casa per non avvicinarsi ai cassonetti circondati da cinghiali affamati. Se ne contano almeno un centinaio e, tra i danni all’ambiente e i rischi per le persone, la situazione continua a peggiorare. Per non suscitare le ire funeste degli animalisti, nessuno osa parlare di abbattimento. Ispirati da Ponzio Pilato, i vertici del Parco hanno proposto un referendum per chiedere ai maddalenini, la soluzione del problema.
Il direttore Satta ha poi raccontato di una coppia di cinghiali illegalmente trasferiti sull’incantevole isola di Santa Maria. Calcolando che questi ungulati si accoppiano due volte l’anno e che ogni parto sono sette/otto nuovi cinghialini, si può capire l’apprensione per l’ ecosistema ricco di fauna e flora di Santa Maria. I rangers del Parco addetti alla cattura sono già in azione e hanno sfrattato con forza diversi animali dalle isole dell'Arcipelago. L'operazione non è stata indolore perchè, non cinghiali
"resistenti" e vendicativi, ma qualche umano non meglio identificato, ha danneggiato le gabbie e squarciato le gomme del furgone-cellulare che li portava via.
Anche a Porto Rotondo, cinghiali scatenati, non in spiaggia o in paese, ma nei parchi e nei giardini privati. Uno dei loro punti di riunione preferiti è la tenuta di Silvio Berlusconi a Punta Lada dove, ogni notte, scavano buche alla ricerca di radici. I cinghiali, incuranti della disperazione del Cavaliere che i fine-settimana arriva e conta i danni, continuano a distruggere i fiori, le piante e persino i funghi che in questo periodo crescono alla Certosa.
giovedì, ottobre 26, 2006
Il Sughero-look di Anna Grindi dalla Gallura nel mondo
Testo e foto di Marella Giovannelli per www.marellagiovannelli.com
Una sera di luglio del 1999, al Country di Porto Rotondo, va in scena la finale nazionale del concorso Elite Model Look. In passerella sfilano anche i primi abiti in sughero, creati dalla stilista gallurese Anna Grindi. Da quel debutto sono passati sette anni e la fibra Suberis, prodotta in Sardegna e brevettata dalla sua creativa e tenace inventrice, ha ormai conquistato il mondo. Con il suo tessuto, ricavato dal sughero, la Grindi, “granitica” quanto la sua terra, è riuscita a realizzare seducenti vestiti da sera con intarsi di coralli, lingerie raffinata e sexy, costumi da bagno e scialli spettacolari.
La boutique aperta quest’anno in Costa Smeralda ha consacrato il successo dell’abbigliamento in sughero. Russi, americani e giapponesi, incantati dalla novità, hanno tempestato di domande la stilista sarda. In effetti, i vari passaggi produttivi-creativi del sughero, dalla quercia alla sottoveste, meritano qualche chiarimento. Questo camaleontico tessuto, straordinariamente versatile, cambia consistenza a seconda dell’utilizzo rivelandosi ideale per scarpe, valigie, cappelli e ombrelli ma anche per biancheria intima, vestiti e persino il giubbotto tipo "chiodo" in sughero pitonato.
Suberis fa traspirare la pelle, non provoca allergie, non si stira e va in lavatrice a 30 gradi. Anna Grindi ha realizzato il suo sogno dopo anni di duro lavoro e ostinate ricerche. Qualche giorno dopo quella prima sfilata dei suoi abiti da sera in sughero, andai ad intervistarla nel suo atelier di Tempio. Questo è un estratto del mio articolo, pubblicato nella Gazzetta di Porto Rotondo, il 10 agosto 1999:“...Un tessuto morbido come la renna, leggero come un velo di cipolla, resistente, impermeabile e termico non poteva non mettere in fermento il mondo della moda perennemente in cerca di idee da proporre sul mercato anche per contrastare le molte forzature imposte dal dilagare delle fibre sintetiche. La scoperta made in Gallura costringerà Spagna e Portogallo, i più forti produttori di sughero, a pagare una Royalty se vorranno emularla. Era febbraio quando Anna Grindi si è presentata al Modit, uno degli appuntamenti più attesi per il settore abbigliamento, e ha tirato fuori dalla borsa pochi metri di tessuto di un delicato color champagne. Per i nomi più importanti della moda è stata come una folgorazione.
Anna Grindi ricorda così quei momenti: “Guardavano la stoffa, poi me, poi ancora la stoffa, la stringevano fra le mani e alla fine mi hanno detto - Signora lei forse non si rende nemmeno conto di che cosa ci sta proponendo. Questo tessuto è una bomba!- Una "bomba" che si lava, si stira e si cuce come un bisso di lino. Quando alcuni guru della moda le hanno chiesto di poter provare qualche pezzo di stoffa di sughero, Anna Grindi non ha esitato. Pochi giorni dopo sono arrivate nel suo atelier di Tempio le prime scarpe e gli ombrelli che, insieme agli abiti da lei realizzati, hanno incantato persino importanti stilisti di New York. Ed ecco come Anna Grindi racconta la sua scoperta:
"Avevo 15 anni quando mia madre mandò i carabinieri a riprendermi in una sartoria perché non volevo più andare a scuola.
Ho continuato a cucire e a tagliare e, a 18 anni, avevo già un mio atelier; poi è arrivato il matrimonio con Tonino Giua Marini, dinastia di sugherieri. Lavorando a stretto contatto con l'alta moda ho toccato con mano tutti i materiali utilizzati, troppo spesso sintetici e mal tollerati. Visto che il sughero era entrato nella mia vita ho cominciato a fantasticare sul suo possibile utilizzo iniziando una lunga serie di esperimenti. Li facevo solitamente di notte, quando i miei familiari dormivano. Liberavo il tavolo, stendevo un foglio di sughero, poco duttile e malleabile; come una maga d'altri tempi lo cospargevo di intrugli nel tentativo di trasformare in tessuto quel materiale nel quale credevo.
Dopo tantissime prove notturne, mortificate da altrettanti insuccessi verificati il mattino dopo, un bellissimo giorno del 1997 sono riuscita nel mio intento. Avevo tra le mani un tessuto di sughero morbido e sono scoppiata a piangere di gioia con mio marito che piangeva pure lui.” Da quel momento è decollata l'avventura di una donna testarda e infaticabile che racconta con distacco, come se fosse la storia di una sua conoscente, la trafila alla Camera di Commercio di Sassari e il giorno in cui ha varcato la soglia del Ministero dell'Industria dove le hanno riconosciuto il brevetto, prima nazionale e poi internazionale.
Una sera di luglio del 1999, al Country di Porto Rotondo, va in scena la finale nazionale del concorso Elite Model Look. In passerella sfilano anche i primi abiti in sughero, creati dalla stilista gallurese Anna Grindi. Da quel debutto sono passati sette anni e la fibra Suberis, prodotta in Sardegna e brevettata dalla sua creativa e tenace inventrice, ha ormai conquistato il mondo. Con il suo tessuto, ricavato dal sughero, la Grindi, “granitica” quanto la sua terra, è riuscita a realizzare seducenti vestiti da sera con intarsi di coralli, lingerie raffinata e sexy, costumi da bagno e scialli spettacolari.
La boutique aperta quest’anno in Costa Smeralda ha consacrato il successo dell’abbigliamento in sughero. Russi, americani e giapponesi, incantati dalla novità, hanno tempestato di domande la stilista sarda. In effetti, i vari passaggi produttivi-creativi del sughero, dalla quercia alla sottoveste, meritano qualche chiarimento. Questo camaleontico tessuto, straordinariamente versatile, cambia consistenza a seconda dell’utilizzo rivelandosi ideale per scarpe, valigie, cappelli e ombrelli ma anche per biancheria intima, vestiti e persino il giubbotto tipo "chiodo" in sughero pitonato.
Suberis fa traspirare la pelle, non provoca allergie, non si stira e va in lavatrice a 30 gradi. Anna Grindi ha realizzato il suo sogno dopo anni di duro lavoro e ostinate ricerche. Qualche giorno dopo quella prima sfilata dei suoi abiti da sera in sughero, andai ad intervistarla nel suo atelier di Tempio. Questo è un estratto del mio articolo, pubblicato nella Gazzetta di Porto Rotondo, il 10 agosto 1999:“...Un tessuto morbido come la renna, leggero come un velo di cipolla, resistente, impermeabile e termico non poteva non mettere in fermento il mondo della moda perennemente in cerca di idee da proporre sul mercato anche per contrastare le molte forzature imposte dal dilagare delle fibre sintetiche. La scoperta made in Gallura costringerà Spagna e Portogallo, i più forti produttori di sughero, a pagare una Royalty se vorranno emularla. Era febbraio quando Anna Grindi si è presentata al Modit, uno degli appuntamenti più attesi per il settore abbigliamento, e ha tirato fuori dalla borsa pochi metri di tessuto di un delicato color champagne. Per i nomi più importanti della moda è stata come una folgorazione.
Anna Grindi ricorda così quei momenti: “Guardavano la stoffa, poi me, poi ancora la stoffa, la stringevano fra le mani e alla fine mi hanno detto - Signora lei forse non si rende nemmeno conto di che cosa ci sta proponendo. Questo tessuto è una bomba!- Una "bomba" che si lava, si stira e si cuce come un bisso di lino. Quando alcuni guru della moda le hanno chiesto di poter provare qualche pezzo di stoffa di sughero, Anna Grindi non ha esitato. Pochi giorni dopo sono arrivate nel suo atelier di Tempio le prime scarpe e gli ombrelli che, insieme agli abiti da lei realizzati, hanno incantato persino importanti stilisti di New York. Ed ecco come Anna Grindi racconta la sua scoperta:
"Avevo 15 anni quando mia madre mandò i carabinieri a riprendermi in una sartoria perché non volevo più andare a scuola.
Ho continuato a cucire e a tagliare e, a 18 anni, avevo già un mio atelier; poi è arrivato il matrimonio con Tonino Giua Marini, dinastia di sugherieri. Lavorando a stretto contatto con l'alta moda ho toccato con mano tutti i materiali utilizzati, troppo spesso sintetici e mal tollerati. Visto che il sughero era entrato nella mia vita ho cominciato a fantasticare sul suo possibile utilizzo iniziando una lunga serie di esperimenti. Li facevo solitamente di notte, quando i miei familiari dormivano. Liberavo il tavolo, stendevo un foglio di sughero, poco duttile e malleabile; come una maga d'altri tempi lo cospargevo di intrugli nel tentativo di trasformare in tessuto quel materiale nel quale credevo.
Dopo tantissime prove notturne, mortificate da altrettanti insuccessi verificati il mattino dopo, un bellissimo giorno del 1997 sono riuscita nel mio intento. Avevo tra le mani un tessuto di sughero morbido e sono scoppiata a piangere di gioia con mio marito che piangeva pure lui.” Da quel momento è decollata l'avventura di una donna testarda e infaticabile che racconta con distacco, come se fosse la storia di una sua conoscente, la trafila alla Camera di Commercio di Sassari e il giorno in cui ha varcato la soglia del Ministero dell'Industria dove le hanno riconosciuto il brevetto, prima nazionale e poi internazionale.
lunedì, ottobre 23, 2006
Crudelio Signorini liquida il patinato Alfonso?
strong>Testo e foto di Mara Malda per www.marellagiovannelli.com
Alcuni dei 14 capitoli anonimi dell’ultimo libro del giornalista Alfonso Signorini, neo-direttore del settimanale Chi, sono altrettante frecce velenose o bombette ad orologeria scagliate contro personaggi molto noti. Gli altri 75 vip-ritratti, con tanto di nomi e cognomi, rendono ancora più scottante il privè riservato agli Innominati con scheletri più o meno imbarazzanti negli armadi. Il Signorini duro che tiene i vip per le palle sta creando mal di pancia, insonnia e tachicardia ai diretti interessati. Qualcuno o qualcuna di loro già grida al tradimento e minaccia rappresaglie. Accorato il lamento di un’innominabile che si è riconosciuta tra le diaboliche righe: “Sono annichilita, proprio da Alfonso questo non me lo aspettavo. Sembrava così innocuo!”.
Questa è una selezione di Signorini-perfidie scelte tra le 14 anonime:
DONNE AL POTERE
La legislatura è passata, ma l’amore no. Entrambi sposati da un pezzo, hanno cercato in ogni modo di non pensarci più, ma non ce l’hanno fatta. Si amano. E si incontrano ancora oggi, nonostante gli impegni al governo non siano più gli stessi. Sempre e soltanto all’estero, durante i viaggi di lui. Non li ha mai scoperti nessuno, tranne un giovane steward dell’Alitalia, per caso di riposo nell’albergo di Stoccolma dove i due tubavano indisturbati e che per caso li ha immortalati con il suo telefonino. Oggi quello steward si è dimesso dall’Alitalia e lavora nelle file del partito con un alto potere di rappresentanza. E benedice quel giorno.
ICONE GAYÈ bellissimo. Una delle icone della seduzione maschile. Occhi verdi, sguardo magnetico, addominali scolpiti. Fa l’attore. Ogni volta si accompagna a donne diverse. Ma è gay. Non lo confesserà mai. Neppure sotto tortura. Teme di rovinarsi la fama di seduttore. Deve tutto al suo agente, con cui conviveva fino a pochi giorni fa, fin da quando non era nessuno. L’agente è talmente innamorato di lui da essersi fatto disegnare sulle pareti di cristallo della doccia la sagoma del suo corpo da dio greco. Di recente il nostro attore vola spesso a Palermo. Pare sia innamorato di un dentista moro, molto bello e molto sposato. Non ditelo all’agente: potrebbe prendere a craniate la sua doccia. Come Zinedine Zidane.
LE FORZATE DELLA CHARITYÈ una delle più attive dame di Roma. Forse troppo. Ha una bella famiglia, ma la sua vera passione sono i cavalli. E le donne. Anzi, una donna. Con lei ha vissuto e ancora vive una bellissima storia d’amore. Ma il cognome dell’altra è troppo ingombrante. E così entrambe sono condannate a tenere il loro rapporto nell’ombra, per tutta la vita. Sarà per questo che rendono sempre pubblico il bene che fanno agli altri?
SHOW E DINTORNI
Vive ogni giorno con il terrore di essere scoperta. Eppure se ne accorgono tutti, ma proprio tutti, che è sempre «in pista». Lei cerca di dissimulare, ma a volte, in tv, come alle feste, raggiunge livelli imbarazzanti. La sua borsa del trucco è ad alto livello di rischio. Ultimamente cerca di arginare il vizio bevendo quantità industriali di alcolici. Basterà? Intanto, per cancellare i segni degli stravizi, è già andata a rifarsi la faccia almeno due volte. Sarà per questo che ha perso i connotati?
SIGNORINE GRANDI FIRME
Ha fatto di tutto per diventare direttore. Ma adesso che ce l’ha fatta quando troverà il coraggio di dire alla moglie che si è perdutamente innamorato di Giorgio? Si sono conosciuti in uno studio televisivo a Roma, dove Giorgio, napoletano di 26 anni, faceva l’assistente. Oggi Giorgio si è trasferito a Milano. Campa con i 1.500 euro che lui gli passa di nascosto. Non gli dà tregua, chiamandolo giorno e notte sul telefonino. Minaccia che presto uscirà allo scoperto. E lui, tra un timone e l’altro del giornale, se la fa sotto. Imbruttisce a vista d’occhio. E ha paura. Tanta paura.
SUL VIALE DEL TRAMONTO
Non può più dettar legge come vorrebbe. A causa di un flop molto recente. Evita perfino le sfilate, per non ripetere a vuoto che tutto funziona benissimo. Abituata alle regge, affronta le difficoltà quotidiane in un piccolo ufficio che non ha neppure un armadio decente per i suoi zibellini. A Mediaset le porte per lei sono chiuse da un pezzo. A chi ha fatto un affronto? Già, è questo il problema. Di affronti ne ha fatti parecchi. Ma pensava fosse per un successo...
VEDO E PREVEDO
Fa il giornalista. È molto, molto conosciuto. Tra i più famosi. La madre gli ha insegnato fin da piccolo a leggere i fondi del caffè. Ha cominciato a rendersi conto dei suoi straordinari poteri (ereditati dalla nonna paterna) già alle scuole elementari. I suoi compagni lo prendevano in giro perché non aveva un padre; di sua madre ne dicevano di tutti i colori. E lui si vendicava a modo suo: magari augurava al compagno di banco di perdere il diario del cuore. Cosa che puntualmente avveniva. Un giorno al ginnasio incontrò, come tutte le mattine, la sua insegnante di greco e le disse di tenersi pronta per una prova molto dura. Due giorni dopo il marito morì travolto da un’auto mentre lui era in bicicletta. Pochi sanno dei suoi poteri. Lui non ne parla con nessuno. Ma quando deve firmare un contratto importante con la sua azienda, quando deve riuscire a convincere qualcuno a farsi ospitare in una delle sue trasmissioni, ci riesce sempre. Gli basta concentrarsi e ottiene quello che vuole. Dicono che prima o poi entrerà in politica. Se lui vuole ce la farà. Gli basterà concentrarsi sull’obiettivo.
Alcuni dei 14 capitoli anonimi dell’ultimo libro del giornalista Alfonso Signorini, neo-direttore del settimanale Chi, sono altrettante frecce velenose o bombette ad orologeria scagliate contro personaggi molto noti. Gli altri 75 vip-ritratti, con tanto di nomi e cognomi, rendono ancora più scottante il privè riservato agli Innominati con scheletri più o meno imbarazzanti negli armadi. Il Signorini duro che tiene i vip per le palle sta creando mal di pancia, insonnia e tachicardia ai diretti interessati. Qualcuno o qualcuna di loro già grida al tradimento e minaccia rappresaglie. Accorato il lamento di un’innominabile che si è riconosciuta tra le diaboliche righe: “Sono annichilita, proprio da Alfonso questo non me lo aspettavo. Sembrava così innocuo!”.
Questa è una selezione di Signorini-perfidie scelte tra le 14 anonime:
DONNE AL POTERE
La legislatura è passata, ma l’amore no. Entrambi sposati da un pezzo, hanno cercato in ogni modo di non pensarci più, ma non ce l’hanno fatta. Si amano. E si incontrano ancora oggi, nonostante gli impegni al governo non siano più gli stessi. Sempre e soltanto all’estero, durante i viaggi di lui. Non li ha mai scoperti nessuno, tranne un giovane steward dell’Alitalia, per caso di riposo nell’albergo di Stoccolma dove i due tubavano indisturbati e che per caso li ha immortalati con il suo telefonino. Oggi quello steward si è dimesso dall’Alitalia e lavora nelle file del partito con un alto potere di rappresentanza. E benedice quel giorno.
ICONE GAYÈ bellissimo. Una delle icone della seduzione maschile. Occhi verdi, sguardo magnetico, addominali scolpiti. Fa l’attore. Ogni volta si accompagna a donne diverse. Ma è gay. Non lo confesserà mai. Neppure sotto tortura. Teme di rovinarsi la fama di seduttore. Deve tutto al suo agente, con cui conviveva fino a pochi giorni fa, fin da quando non era nessuno. L’agente è talmente innamorato di lui da essersi fatto disegnare sulle pareti di cristallo della doccia la sagoma del suo corpo da dio greco. Di recente il nostro attore vola spesso a Palermo. Pare sia innamorato di un dentista moro, molto bello e molto sposato. Non ditelo all’agente: potrebbe prendere a craniate la sua doccia. Come Zinedine Zidane.
LE FORZATE DELLA CHARITYÈ una delle più attive dame di Roma. Forse troppo. Ha una bella famiglia, ma la sua vera passione sono i cavalli. E le donne. Anzi, una donna. Con lei ha vissuto e ancora vive una bellissima storia d’amore. Ma il cognome dell’altra è troppo ingombrante. E così entrambe sono condannate a tenere il loro rapporto nell’ombra, per tutta la vita. Sarà per questo che rendono sempre pubblico il bene che fanno agli altri?
SHOW E DINTORNI
Vive ogni giorno con il terrore di essere scoperta. Eppure se ne accorgono tutti, ma proprio tutti, che è sempre «in pista». Lei cerca di dissimulare, ma a volte, in tv, come alle feste, raggiunge livelli imbarazzanti. La sua borsa del trucco è ad alto livello di rischio. Ultimamente cerca di arginare il vizio bevendo quantità industriali di alcolici. Basterà? Intanto, per cancellare i segni degli stravizi, è già andata a rifarsi la faccia almeno due volte. Sarà per questo che ha perso i connotati?
SIGNORINE GRANDI FIRME
Ha fatto di tutto per diventare direttore. Ma adesso che ce l’ha fatta quando troverà il coraggio di dire alla moglie che si è perdutamente innamorato di Giorgio? Si sono conosciuti in uno studio televisivo a Roma, dove Giorgio, napoletano di 26 anni, faceva l’assistente. Oggi Giorgio si è trasferito a Milano. Campa con i 1.500 euro che lui gli passa di nascosto. Non gli dà tregua, chiamandolo giorno e notte sul telefonino. Minaccia che presto uscirà allo scoperto. E lui, tra un timone e l’altro del giornale, se la fa sotto. Imbruttisce a vista d’occhio. E ha paura. Tanta paura.
SUL VIALE DEL TRAMONTO
Non può più dettar legge come vorrebbe. A causa di un flop molto recente. Evita perfino le sfilate, per non ripetere a vuoto che tutto funziona benissimo. Abituata alle regge, affronta le difficoltà quotidiane in un piccolo ufficio che non ha neppure un armadio decente per i suoi zibellini. A Mediaset le porte per lei sono chiuse da un pezzo. A chi ha fatto un affronto? Già, è questo il problema. Di affronti ne ha fatti parecchi. Ma pensava fosse per un successo...
VEDO E PREVEDO
Fa il giornalista. È molto, molto conosciuto. Tra i più famosi. La madre gli ha insegnato fin da piccolo a leggere i fondi del caffè. Ha cominciato a rendersi conto dei suoi straordinari poteri (ereditati dalla nonna paterna) già alle scuole elementari. I suoi compagni lo prendevano in giro perché non aveva un padre; di sua madre ne dicevano di tutti i colori. E lui si vendicava a modo suo: magari augurava al compagno di banco di perdere il diario del cuore. Cosa che puntualmente avveniva. Un giorno al ginnasio incontrò, come tutte le mattine, la sua insegnante di greco e le disse di tenersi pronta per una prova molto dura. Due giorni dopo il marito morì travolto da un’auto mentre lui era in bicicletta. Pochi sanno dei suoi poteri. Lui non ne parla con nessuno. Ma quando deve firmare un contratto importante con la sua azienda, quando deve riuscire a convincere qualcuno a farsi ospitare in una delle sue trasmissioni, ci riesce sempre. Gli basta concentrarsi e ottiene quello che vuole. Dicono che prima o poi entrerà in politica. Se lui vuole ce la farà. Gli basterà concentrarsi sull’obiettivo.
giovedì, ottobre 19, 2006
Su Lele Mora continuano a piovere tegole sarde
Testo e foto di Mara Malda per www.marellagiovannelli.com
Continuano a piovere tegole sarde sulla testa di Lele Mora. Sembra così lontana la BIT milanese del 2005 quando nello stand della Gallura, l’Assessore al Turismo di Arzachena Gigi Astore gli consegnò una targa premio. Stesso riconoscimento per Flavio Briatore e solenni attestati di apprezzamento e gratitudine per i due ambasciatori-testimonial della Costa Smeralda. Ma dopo anni di feste, fasti e fusti in paillettes, l’aria per Lele Mora, in Sardegna, sembra essere decisamente cambiata.
Già l’estate 2006 ha fatto registrare un impressionante accorciamento del suo codazzo di bellezze in rampa di lancio e tronisti più o meno intronati ma sempre palestrati. Le grane, più grosse, per Lele Mora, sono arrivate a fine agosto con i sigilli al bancone esterno del suo Billionaire Beach a Cala del Faro e il silenziatore alla musica. Ora il Tribunale del riesame di Sassari ha dato ragione ai carabinieri di Porto Cervo. Respinte le eccezioni presentate dagli avvocati, la magistratura ha confermato la liceità del sequestro giudiziario preventivo.
Nel registro degli indagati erano finiti l’amministratore delegato della società che gestisce il Billionaire Beach, la Salberg srl, Luigi Angelo Zavaglio, 40 anni di Brescia e il vice Alessandro Chiapparino, 33 anni di Gela. I reati ipotizzati sono il mancato rispetto dell’ordinanza di chiusura del bar, emessa dai vigili urbani di Arzachena, e il disturbo della quiete pubblica. Le forze dell’ordine erano intervenute dopo le denunce presentate da 107 abitanti del residence di Cala del Faro, esasperati dai decibel sparati dal locale lelemorico. Le verifiche hanno inoltre accertato che, sia il bar sia l’impianto musicale erano privi di autorizzazioni, ovvero abusivi.
La decisione del tribunale sassarese, umiliante coincidenza, arriva solo qualche giorno dopo la “cacciata” di Lele Mora dall’Arzachena Calcio. La sua parabola discendente, da presidente onorario a presidente disonorato, si è consumata nel giro di un paio di mesi. I dirigenti della Polisportiva non gli hanno perdonato una serie di promesse non mantenute e lo hanno estromesso dalla carica, stanchi di aspettare sponsor fantasma e incontri con i club di serie A. L’agente dei vip, grande incassatore, ha seraficamente minimizzato visto che di impegni ne ha già tanti. Più una “ mission impossible”: ridare smalto all’immagine dell’Irreale Vittorio Emanuele di Savoia.
Continuano a piovere tegole sarde sulla testa di Lele Mora. Sembra così lontana la BIT milanese del 2005 quando nello stand della Gallura, l’Assessore al Turismo di Arzachena Gigi Astore gli consegnò una targa premio. Stesso riconoscimento per Flavio Briatore e solenni attestati di apprezzamento e gratitudine per i due ambasciatori-testimonial della Costa Smeralda. Ma dopo anni di feste, fasti e fusti in paillettes, l’aria per Lele Mora, in Sardegna, sembra essere decisamente cambiata.
Già l’estate 2006 ha fatto registrare un impressionante accorciamento del suo codazzo di bellezze in rampa di lancio e tronisti più o meno intronati ma sempre palestrati. Le grane, più grosse, per Lele Mora, sono arrivate a fine agosto con i sigilli al bancone esterno del suo Billionaire Beach a Cala del Faro e il silenziatore alla musica. Ora il Tribunale del riesame di Sassari ha dato ragione ai carabinieri di Porto Cervo. Respinte le eccezioni presentate dagli avvocati, la magistratura ha confermato la liceità del sequestro giudiziario preventivo.
Nel registro degli indagati erano finiti l’amministratore delegato della società che gestisce il Billionaire Beach, la Salberg srl, Luigi Angelo Zavaglio, 40 anni di Brescia e il vice Alessandro Chiapparino, 33 anni di Gela. I reati ipotizzati sono il mancato rispetto dell’ordinanza di chiusura del bar, emessa dai vigili urbani di Arzachena, e il disturbo della quiete pubblica. Le forze dell’ordine erano intervenute dopo le denunce presentate da 107 abitanti del residence di Cala del Faro, esasperati dai decibel sparati dal locale lelemorico. Le verifiche hanno inoltre accertato che, sia il bar sia l’impianto musicale erano privi di autorizzazioni, ovvero abusivi.
La decisione del tribunale sassarese, umiliante coincidenza, arriva solo qualche giorno dopo la “cacciata” di Lele Mora dall’Arzachena Calcio. La sua parabola discendente, da presidente onorario a presidente disonorato, si è consumata nel giro di un paio di mesi. I dirigenti della Polisportiva non gli hanno perdonato una serie di promesse non mantenute e lo hanno estromesso dalla carica, stanchi di aspettare sponsor fantasma e incontri con i club di serie A. L’agente dei vip, grande incassatore, ha seraficamente minimizzato visto che di impegni ne ha già tanti. Più una “ mission impossible”: ridare smalto all’immagine dell’Irreale Vittorio Emanuele di Savoia.
martedì, ottobre 17, 2006
Briatore in politica? No grazie
Testo e foto di Mara Malda in www.marellagiovannelli.com
Lucia Annunziata, con il suo piglio da minaccioso rottweiler, è riuscita a far biascicare a Briatore il suo alto concetto di politica che potrebbe anche scegliere di fare se si dovesse annoiare troppo facendo altro. La speranza è che, tra Formula 1, Billionaire & Gregoraci, il geometra di Cuneo continui a divertirsi per molto tempo ancora.
La voglia di maneggiare il “giocattolo” nuovo della politica, deve essergli venuta questa estate, prima in chiave anti-Soru e quindi circoscritta al caso Sardegna per le tasse sul lusso imposte dal Governatore. Briatore però, con la sua promo-protesta a pagamento strillata sui giornali, ha incassato unanimi pernacchie dai Sardi, compresi quelli contrari a Soru, infastiditi dalla sua ingerenza nelle questioni isolane.
I metodi di BillioFlavio, giustamente avversati dal fiero popolo sardo, hanno invece trovato un bel tappetino rosso alla Certosa. E così Briatore, già fraterno amico di Daniela Santanchè ed Emilio Fede, lo scorso agosto ha scoperto varie affinità con Silvio Berlusconi. Tra i due, ci sono stati scambi di visite e cortesie, con incontri e chiacchierate più o meno riservate, anche d’argomento politico o aspirante tale. Forse Briatore per Berlusconi rappresenta un modello di personaggio vincente sul quale scommettere. Ma quale credibilità può avere chi considera la politica un’alternativa alla noia?
Se Lucia Annunziata fosse stata meno antipaticamente molesta e lo avesse lasciato parlare, Pavon Briatore, invece di annaspare, ci avrebbe regalato Mezz’ora intera di perle oltre a quelle già inanellate, tipo:
“Questa Finanziaria colpisce i poveri che non hanno la struttura del ricco e criminalizza i ricchi, cioè quelli che ce l'hanno fatta, invece di considerarli un esempio per i giovani...E’ il mercato a decidere chi diventa ricco e chi diventa povero...Se fossi un italiano che deve dare il 50% allo stato farei così: se posso pago, altrimenti no E se non ce la facessi a stare in Italia me ne andrei. L'evasione delle tasse non è giustificabile, ma è comprensibile... Chi ha successo non deve essere illegale. Si può avere successo assolutamente nella legalità. Si diventa ricchi con il lavoro... Le tasse vengono evase quando il cittadino pensa che si sia superato il limite. In Inghilterra per esempio sono giuste, infatti lì non c'è evasione. Dovremmo copiare i Paesi che funzionano... I politici attuali in Italia sono scarsi...”
Marco Pannella, nel definire “molto ragionevole ed onesto” l’intervento di Flavio Briatorchiato da Lucia Annunziata, lo ha praticamente sdoganato e benedetto. Per niente colpito dalle profonde motivazioni del manager Renault e Billionaire: “La politica non ti annoia, magari se dovessi annoiarmi ci penserò. Se tra un paio d'anni potessi dare un contributo perchè no? Ci rivediamo e ne parliamo".
Lucia Annunziata, con il suo piglio da minaccioso rottweiler, è riuscita a far biascicare a Briatore il suo alto concetto di politica che potrebbe anche scegliere di fare se si dovesse annoiare troppo facendo altro. La speranza è che, tra Formula 1, Billionaire & Gregoraci, il geometra di Cuneo continui a divertirsi per molto tempo ancora.
La voglia di maneggiare il “giocattolo” nuovo della politica, deve essergli venuta questa estate, prima in chiave anti-Soru e quindi circoscritta al caso Sardegna per le tasse sul lusso imposte dal Governatore. Briatore però, con la sua promo-protesta a pagamento strillata sui giornali, ha incassato unanimi pernacchie dai Sardi, compresi quelli contrari a Soru, infastiditi dalla sua ingerenza nelle questioni isolane.
I metodi di BillioFlavio, giustamente avversati dal fiero popolo sardo, hanno invece trovato un bel tappetino rosso alla Certosa. E così Briatore, già fraterno amico di Daniela Santanchè ed Emilio Fede, lo scorso agosto ha scoperto varie affinità con Silvio Berlusconi. Tra i due, ci sono stati scambi di visite e cortesie, con incontri e chiacchierate più o meno riservate, anche d’argomento politico o aspirante tale. Forse Briatore per Berlusconi rappresenta un modello di personaggio vincente sul quale scommettere. Ma quale credibilità può avere chi considera la politica un’alternativa alla noia?
Se Lucia Annunziata fosse stata meno antipaticamente molesta e lo avesse lasciato parlare, Pavon Briatore, invece di annaspare, ci avrebbe regalato Mezz’ora intera di perle oltre a quelle già inanellate, tipo:
“Questa Finanziaria colpisce i poveri che non hanno la struttura del ricco e criminalizza i ricchi, cioè quelli che ce l'hanno fatta, invece di considerarli un esempio per i giovani...E’ il mercato a decidere chi diventa ricco e chi diventa povero...Se fossi un italiano che deve dare il 50% allo stato farei così: se posso pago, altrimenti no E se non ce la facessi a stare in Italia me ne andrei. L'evasione delle tasse non è giustificabile, ma è comprensibile... Chi ha successo non deve essere illegale. Si può avere successo assolutamente nella legalità. Si diventa ricchi con il lavoro... Le tasse vengono evase quando il cittadino pensa che si sia superato il limite. In Inghilterra per esempio sono giuste, infatti lì non c'è evasione. Dovremmo copiare i Paesi che funzionano... I politici attuali in Italia sono scarsi...”
Marco Pannella, nel definire “molto ragionevole ed onesto” l’intervento di Flavio Briatorchiato da Lucia Annunziata, lo ha praticamente sdoganato e benedetto. Per niente colpito dalle profonde motivazioni del manager Renault e Billionaire: “La politica non ti annoia, magari se dovessi annoiarmi ci penserò. Se tra un paio d'anni potessi dare un contributo perchè no? Ci rivediamo e ne parliamo".
sabato, ottobre 14, 2006
No sex in the city: Mauro Suttora e le diavolesse di New York
Testo di Mara Malda e foto in www.marellagiovannelli.com
Quando il dilettevole diventa utile è ancora meglio...e può nascere un libro come “No sex in the city. Amori e avventure di un italiano a New York”. L’autore è il giornalista-saggista Mauro Suttora e questo suo ultimo lavoro, edito da Cairo Publishing, è un ritratto dissacrante e godibile, in chiave autobiografica, della sua lunga e produttiva esperienza nella Grande Mela.
Il giornalista italiano, durante il suo soggiorno a New York, oltre ad essere inviato della Rizzoli per il settimanale “Oggi”, collaborava con Newsweek e teneva una seguitissima rubrica sul New York Observer. Qui raccontava le abitudini, le manie e le stravaganze delle donne americane viste con l'occhio e vissute sulla pelle del maschio italiano.
Con una notevole dose di auto-ironia, Mauro descrive i suoi incontri ravvicinati con le donne di New York. Esseri leggendari e misteriosi, celebrati in tv dal serial Sex and the City, tornati ora alla ribalta nel film Il Diavolo veste Prada. Di queste “diavolesse” che si muovono tra Manhattan e Park Avenue, Mauro Suttora svela i segreti più intimi: amore, sesso, lavoro, soldi, cucina. E le manie per shopping, manicure, pedicure, ginnastica (anzi: pilates), lotta contro le carte di credito sempre in rosso, gala di beneficenza, telefonate alle amiche, weekend obbligatori agli Hamptons.
Rientrato in Italia, Mauro Suttora ha raccolto e tradotto quelle storie ambientate tra ristoranti alla moda e quartieri ultrachic, limousine e cene di finta charity. Naturale la scelta di ricavarne un libro che racconta una lunga serie di incontri-scontri, equivoci irresistibili ed avventure esilaranti con un gran numero di donne. C'è Liza, bellissima fashion-victim, che scarica Mauro via e-mail per mancanza di tempo; Maria, pantera a parole, ma agnellino quando si passa ai fatti; Paula disposta a tutto ma non a baciare.
Graffiante, a tratti impietoso, quasi sempre agro-dolce, “No sex in the city” è anche la fotografia di un certo tipo di società che vive e lavora nella città più cosmopolita e internazionale del mondo. E, dietro i fasti e le feste di New York, è tangibile la solitudine. “Questa è la città con la più alta concentrazione mondiale di single - spiega Mauro Suttora nel suo blog http://www.maurosuttora.blogspot.com/ - quasi la metà degli abitanti vive da sola. Il consumo dell’antidepressivo Prozac è decuplicato negli ultimi dieci anni. E la sera e nei weekend tutti sono alla ricerca di compagnia, anche occasionale, nei ristoranti come nei parchi".
Poco spazio per l’amore e anche per il sesso a New York. Eppure è sempre la città dove, più di ogni altro posto al mondo, quando ci si alza al mattino non si sa mai bene in quale letto si finirà alla sera. Ma tutta questa promiscuità, alla fine, sembra di scarsa soddisfazione: le statistiche registrano calo del desiderio, aumento di frigidità, Viagra, autoerotismo. I più annoiati si dichiarano bisessuali.
Quando il dilettevole diventa utile è ancora meglio...e può nascere un libro come “No sex in the city. Amori e avventure di un italiano a New York”. L’autore è il giornalista-saggista Mauro Suttora e questo suo ultimo lavoro, edito da Cairo Publishing, è un ritratto dissacrante e godibile, in chiave autobiografica, della sua lunga e produttiva esperienza nella Grande Mela.
Il giornalista italiano, durante il suo soggiorno a New York, oltre ad essere inviato della Rizzoli per il settimanale “Oggi”, collaborava con Newsweek e teneva una seguitissima rubrica sul New York Observer. Qui raccontava le abitudini, le manie e le stravaganze delle donne americane viste con l'occhio e vissute sulla pelle del maschio italiano.
Con una notevole dose di auto-ironia, Mauro descrive i suoi incontri ravvicinati con le donne di New York. Esseri leggendari e misteriosi, celebrati in tv dal serial Sex and the City, tornati ora alla ribalta nel film Il Diavolo veste Prada. Di queste “diavolesse” che si muovono tra Manhattan e Park Avenue, Mauro Suttora svela i segreti più intimi: amore, sesso, lavoro, soldi, cucina. E le manie per shopping, manicure, pedicure, ginnastica (anzi: pilates), lotta contro le carte di credito sempre in rosso, gala di beneficenza, telefonate alle amiche, weekend obbligatori agli Hamptons.
Rientrato in Italia, Mauro Suttora ha raccolto e tradotto quelle storie ambientate tra ristoranti alla moda e quartieri ultrachic, limousine e cene di finta charity. Naturale la scelta di ricavarne un libro che racconta una lunga serie di incontri-scontri, equivoci irresistibili ed avventure esilaranti con un gran numero di donne. C'è Liza, bellissima fashion-victim, che scarica Mauro via e-mail per mancanza di tempo; Maria, pantera a parole, ma agnellino quando si passa ai fatti; Paula disposta a tutto ma non a baciare.
Graffiante, a tratti impietoso, quasi sempre agro-dolce, “No sex in the city” è anche la fotografia di un certo tipo di società che vive e lavora nella città più cosmopolita e internazionale del mondo. E, dietro i fasti e le feste di New York, è tangibile la solitudine. “Questa è la città con la più alta concentrazione mondiale di single - spiega Mauro Suttora nel suo blog http://www.maurosuttora.blogspot.com/ - quasi la metà degli abitanti vive da sola. Il consumo dell’antidepressivo Prozac è decuplicato negli ultimi dieci anni. E la sera e nei weekend tutti sono alla ricerca di compagnia, anche occasionale, nei ristoranti come nei parchi".
Poco spazio per l’amore e anche per il sesso a New York. Eppure è sempre la città dove, più di ogni altro posto al mondo, quando ci si alza al mattino non si sa mai bene in quale letto si finirà alla sera. Ma tutta questa promiscuità, alla fine, sembra di scarsa soddisfazione: le statistiche registrano calo del desiderio, aumento di frigidità, Viagra, autoerotismo. I più annoiati si dichiarano bisessuali.
venerdì, ottobre 13, 2006
La “cacciata” di Lele Mora, presidente onorario estromesso
Testo e foto di Mara Malda per www.marellagiovannelli.com
“Lele Mora, presidente onorario dell’Arzachena Calcio è stato estromesso dalla carica”. Così si legge nel verbale redatto ieri sera dal Consiglio direttivo della Polisportiva Arzachena, firmato dal Presidente Antonio Giorgioni. Il quale, denunciando danno & beffa, pur non volendo aizzare le polemiche, considera ormai chiuso il “caso Mora”.
Praticamente la vicenda, nata e morta a tempo di record, è cominciata a metà dello scorso luglio con Lele Mora che si è auto-candidato a “salvatore della patria” intesa come la Polisportiva Arzachena.
Oltre alla squadra di calcio che milita in serie D c’è da sostenere anche un settore giovanile e una scuola di 280 bambini. “E’ stato Lele Mora a proporsi, dichiarandosi innamorato della Gallura e grato ad Arzachena per averlo sempre ben accolto- spiega il presidente Giorgioni-. Prima ha contattato degli amici comuni, poi abbiamo avuto diversi incontri....e tante promesse”.
Promesse allettanti e variegate che andavano dal coinvolgimento di sponsor prestigiosi, all’organizzazione di partite con un sicuro richiamo mediatico e forti incassi. Lele Mora, ipotizzava incontri spettacolari che avrebbero contribuito a rimettere in sesto le finanze della Polisportiva rilanciandone l’immagine. Grandi club di serie A, la Nazionale Attori e una selezione dei protagonisti del Grande Fratello o dell’Isola dei Famosi, sarebbero tutti sicuramente sbarcati sul campo dell’Arzachena consacrando il successo di una stagione indimenticabile.
Davanti al roseo scenario prospettato dall’altrettanto roseo Lele Mora, il Consiglio Direttivo della Polisportiva, il 16 agosto scorso, ha convocato una conferenza stampa per presentarlo ufficialmente come presidente onorario dell’Arzachena Calcio.
Sembrava che, raccogliere i 300mila euro necessari per l’operatività della struttura, per Lele Mora fosse un gioco da ragazzi. Nelle varie riunioni tenute con i dirigenti della Polisportiva, il neo-presidente onorario continuava spargere tranquillità e sorrisi, parlando di contratti già firmati con sponsor nazionali, personaggi famosi in arrivo e aziende di abbigliamento pronte a sostenere l’Arzachena Calcio su richiesta di Lele Mora. Ma, da agosto ad oggi, nulla di concreto si è mosso, neanche un euro è entrato nelle casse della società e il presidente Antonio Giorgioni, si è sentito preso in giro. Finita l’estate, Lele Mora ha chiuso casa (situata nel comune di Arzachena) e ha cominciato a diventare sempre più evasivo quando veniva raggiunto telefonicamente dai dirigenti della Polisportiva. La mancanza totale di un segnale non di fumo ma d’arrosto e di un effettivo interessamento del presidente onorario per il destino dell’Arzachena Calcio hanno determinato la sua “cacciata”.
Ora Giorgioni e soci devono ricucire una serie di rapporti con affidabili imprenditori locali che si erano defilati proprio a seguito della “invasione di campo” agostana di Lele Mora, personaggio indigesto a molti. Quindi oltre alla beffa il danno che si spera di arginare, una volta smaltito l’effetto Mora.
“Lele Mora, presidente onorario dell’Arzachena Calcio è stato estromesso dalla carica”. Così si legge nel verbale redatto ieri sera dal Consiglio direttivo della Polisportiva Arzachena, firmato dal Presidente Antonio Giorgioni. Il quale, denunciando danno & beffa, pur non volendo aizzare le polemiche, considera ormai chiuso il “caso Mora”.
Praticamente la vicenda, nata e morta a tempo di record, è cominciata a metà dello scorso luglio con Lele Mora che si è auto-candidato a “salvatore della patria” intesa come la Polisportiva Arzachena.
Oltre alla squadra di calcio che milita in serie D c’è da sostenere anche un settore giovanile e una scuola di 280 bambini. “E’ stato Lele Mora a proporsi, dichiarandosi innamorato della Gallura e grato ad Arzachena per averlo sempre ben accolto- spiega il presidente Giorgioni-. Prima ha contattato degli amici comuni, poi abbiamo avuto diversi incontri....e tante promesse”.
Promesse allettanti e variegate che andavano dal coinvolgimento di sponsor prestigiosi, all’organizzazione di partite con un sicuro richiamo mediatico e forti incassi. Lele Mora, ipotizzava incontri spettacolari che avrebbero contribuito a rimettere in sesto le finanze della Polisportiva rilanciandone l’immagine. Grandi club di serie A, la Nazionale Attori e una selezione dei protagonisti del Grande Fratello o dell’Isola dei Famosi, sarebbero tutti sicuramente sbarcati sul campo dell’Arzachena consacrando il successo di una stagione indimenticabile.
Davanti al roseo scenario prospettato dall’altrettanto roseo Lele Mora, il Consiglio Direttivo della Polisportiva, il 16 agosto scorso, ha convocato una conferenza stampa per presentarlo ufficialmente come presidente onorario dell’Arzachena Calcio.
Sembrava che, raccogliere i 300mila euro necessari per l’operatività della struttura, per Lele Mora fosse un gioco da ragazzi. Nelle varie riunioni tenute con i dirigenti della Polisportiva, il neo-presidente onorario continuava spargere tranquillità e sorrisi, parlando di contratti già firmati con sponsor nazionali, personaggi famosi in arrivo e aziende di abbigliamento pronte a sostenere l’Arzachena Calcio su richiesta di Lele Mora. Ma, da agosto ad oggi, nulla di concreto si è mosso, neanche un euro è entrato nelle casse della società e il presidente Antonio Giorgioni, si è sentito preso in giro. Finita l’estate, Lele Mora ha chiuso casa (situata nel comune di Arzachena) e ha cominciato a diventare sempre più evasivo quando veniva raggiunto telefonicamente dai dirigenti della Polisportiva. La mancanza totale di un segnale non di fumo ma d’arrosto e di un effettivo interessamento del presidente onorario per il destino dell’Arzachena Calcio hanno determinato la sua “cacciata”.
Ora Giorgioni e soci devono ricucire una serie di rapporti con affidabili imprenditori locali che si erano defilati proprio a seguito della “invasione di campo” agostana di Lele Mora, personaggio indigesto a molti. Quindi oltre alla beffa il danno che si spera di arginare, una volta smaltito l’effetto Mora.
giovedì, ottobre 12, 2006
Mara Malda recidiva chiude con i funghi
Testo e foto di Mara Malda per www.marellagiovannelli.com
Il richiamo irresistibile dei funghi (annata eccezionale in Sardegna) mi ha convinta a perdere un fantastico bagno ottobrino e a lasciare la spiaggia di Porto Rotondo per andare nei boschi di Priatu.
Armata di cestino con dentro macchina fotografica, coltello e cellulare, vestita con maglia e jeans già strappati, ho impiegato circa mezz’ora per arrivare in Alta Gallura. La zona, nota per l’abbondanza di ovili e porcini reali, è un intrico di querce, corbezzoli e rovi con qualche radura circondata da rocce scolpite in forme bizzarre.
Davanti a una di queste, in tutto e per tutto simile a un mascherone, mi sono incantata e, per fotografarla, non mi sono accorta del cornutissimo marito della placidissima signora mucca da me immortalata poco prima.
Il toro, a passo di carica, mi ha messo in fuga come una lepre. Ho quindi raggiunto un altro boschetto, apparentemente più tranquillo, dove in mancanza di funghi “buoni” ho cominciato a fotografare quelli “matti” tanto per avere un ricordo.
Sola e quindi felice stavo assaporando un bel corbezzolo maturo quando alle mie spalle ho sentito un “Bau Bau” con ringhio incorporato. Un grosso cane pastore, abbandonate le sue pecore, stava avanzando a balzi verso di me, appena scampata dal toro. La mia corsa, questa volta, si è miserevolmente bloccata contro una doppia barriera: muro a secco recintato con del filo spinato. Con il cagnone alle calcagna, infilando il piede tra una pietra e l’altra sono riuscita a scavalcare il muretto ma uno spunzone del fil di ferro mi ha praticamente lasciato in mutande, avendo agganciato un diabolico buco dei miei jeans.
Rientrata a Porto Rotondo in condizioni pietose, senza neanche un fungo e con queste poche foto, scattate tra una disavventura e l’altra, i miei hanno deciso di portarmi a cena fuori. Appena entrata al ristorante Il Portico ho visto all’ingresso un magnifico cesto di porcini reali. Incredibile ma vero: erano stati raccolti nel pomeriggio a Priatu. Io ero nella stessa zona in quelle ore ma, evidentemente, i risultati portati a casa sono stati ben diversi. Con i funghi quindi, ho chiuso perchè quest’ultima disavventura non è la prima.
Lo scorso anno, sempre sola in un bosco della Gallura, mi sono trovata davanti due cacciatori che inseguivano un cinghiale. Un’altra volta mi sono persa con il cellulare muto per assenza di campo e una paura terribile fino a quando (era già buio) sono riuscita a ritrovare la mia macchina.
Il richiamo irresistibile dei funghi (annata eccezionale in Sardegna) mi ha convinta a perdere un fantastico bagno ottobrino e a lasciare la spiaggia di Porto Rotondo per andare nei boschi di Priatu.
Armata di cestino con dentro macchina fotografica, coltello e cellulare, vestita con maglia e jeans già strappati, ho impiegato circa mezz’ora per arrivare in Alta Gallura. La zona, nota per l’abbondanza di ovili e porcini reali, è un intrico di querce, corbezzoli e rovi con qualche radura circondata da rocce scolpite in forme bizzarre.
Davanti a una di queste, in tutto e per tutto simile a un mascherone, mi sono incantata e, per fotografarla, non mi sono accorta del cornutissimo marito della placidissima signora mucca da me immortalata poco prima.
Il toro, a passo di carica, mi ha messo in fuga come una lepre. Ho quindi raggiunto un altro boschetto, apparentemente più tranquillo, dove in mancanza di funghi “buoni” ho cominciato a fotografare quelli “matti” tanto per avere un ricordo.
Sola e quindi felice stavo assaporando un bel corbezzolo maturo quando alle mie spalle ho sentito un “Bau Bau” con ringhio incorporato. Un grosso cane pastore, abbandonate le sue pecore, stava avanzando a balzi verso di me, appena scampata dal toro. La mia corsa, questa volta, si è miserevolmente bloccata contro una doppia barriera: muro a secco recintato con del filo spinato. Con il cagnone alle calcagna, infilando il piede tra una pietra e l’altra sono riuscita a scavalcare il muretto ma uno spunzone del fil di ferro mi ha praticamente lasciato in mutande, avendo agganciato un diabolico buco dei miei jeans.
Rientrata a Porto Rotondo in condizioni pietose, senza neanche un fungo e con queste poche foto, scattate tra una disavventura e l’altra, i miei hanno deciso di portarmi a cena fuori. Appena entrata al ristorante Il Portico ho visto all’ingresso un magnifico cesto di porcini reali. Incredibile ma vero: erano stati raccolti nel pomeriggio a Priatu. Io ero nella stessa zona in quelle ore ma, evidentemente, i risultati portati a casa sono stati ben diversi. Con i funghi quindi, ho chiuso perchè quest’ultima disavventura non è la prima.
Lo scorso anno, sempre sola in un bosco della Gallura, mi sono trovata davanti due cacciatori che inseguivano un cinghiale. Un’altra volta mi sono persa con il cellulare muto per assenza di campo e una paura terribile fino a quando (era già buio) sono riuscita a ritrovare la mia macchina.
Cucina o stregoneria? Ai fornelli Rita Denza del “Gallura” di Olbia
Testo e foto in www.marellagiovannelli.com
Da Su Gologone di Oliena con la sua cucina “deleddiana” governata dalla matriarca Pasqua Palimodde, ci spostiamo al ristorante Gallura di Olbia, regno di Rita Denza. Anche quest’anno la guida de L’Espresso ha assegnato alla cucina di questa creativa settantenne il punteggio più alto del Nord-Sardegna. Ma, già da tempo, il piccolo ristorante olbiese è entrato nell’Olimpo della gastronomia internazionale.
Il prestigioso magazine americano Town & Country, dedicato ai “tesori” italiani, nell’aprile 2003, ha riservato allo chef Rita Denza, un articolo lungo tre pagine, firmato da Victor Hazan, il cui nome, insieme a quello della moglie Marcella, è sinonimo negli Stati Uniti di grande cucina italiana.
Gli Hazan “leader opinion” nel campo dell’enogastronomia, oltre ad aver scritto numerosi libri di ricette, diventati dei best-sellers internazionali, hanno aperto varie scuole di cucina negli U.S.A.
L’entusiastico articolo di Victor Hazan sul “Gallura” di Olbia ha la sua premessa nel titolo (The best Restaurant in Italy?) reso appena un po’ più soft dal punto interrogativo. La cucina di Rita Denza, per Hazan “regala una soddisfazione così singolare che averla provata una volta significa non dimenticare mai il suo sapore ed avere sempre il forte desiderio di gustarla ancora”. L’articolo continua con un’interessante biografia di Rita “nata a Roma in una famiglia i cui uomini sono stati tutti dei cuochi illustri. Suo nonno era l’ultimo dei monsùs napoletani, così le famiglie aristocratiche usavano chiamare i loro maestri cucinieri quando Napoli era governata dai Borboni”.
Una parte è riservata al “rituale gastronomico” descritto in tutti i suoi aspetti. Particolarmente significativo questo passaggio: “….Come altri cuochi molto esigenti, Rita lavora esclusivamente con ingredienti locali. Per lei è sicuramente un vantaggio che questi siano i prodotti del mare, dei campi e dei boschi della Sardegna. Il gusto delle aragoste, degli anemoni, delle cozze, degli scampi, delle spigole e delle triglie di scoglio, è insuperabile. Ogni prodotto della terra che entra nella sua cucina - i maialetti, i capretti, le erbe di campo, le verdure fresche, i funghi selvatici, i formaggi, le varie qualità di miele - potrebbe rappresentare l’ideale platonico della sua specie.
Eppure non si può spiegare l’ineffabile seduzione della cucina di Rita solo con l’eccellenza dei suoi ingredienti, esattamente come il capolavoro di un artista non dipende solo dalla qualità dei colori spremuti dai tubetti…” Divertente la parte in cui Victor Hazan descrive la preparazione delle varie pietanze, cercando di “carpire” i segreti di Rita Denza: “Lo scorso autunno mi ha permesso di starle accanto in cucina.
Io speravo di catturare un’idea del suo metodo, ma ciò che ho visto oppone resistenza ad essere definito un metodo…Lei compone i suoi piatti utilizzando i vari ingredienti in modo apparentemente improvvisato. Infatti, mentre cucina, Rita non sembra seguire una sequenza prestabilita, malgrado i risultati dimostrino che sa esattamente quello che sta facendo…Anche se domani apporterà qualche variazione alla ricetta, si ripeterà il miracolo di equilibrio, leggerezza, sapore, aroma e consistenza. Continuavo ad osservarla e mi chiedevo – Ma questa è cucina o stregoneria?”
Da Su Gologone di Oliena con la sua cucina “deleddiana” governata dalla matriarca Pasqua Palimodde, ci spostiamo al ristorante Gallura di Olbia, regno di Rita Denza. Anche quest’anno la guida de L’Espresso ha assegnato alla cucina di questa creativa settantenne il punteggio più alto del Nord-Sardegna. Ma, già da tempo, il piccolo ristorante olbiese è entrato nell’Olimpo della gastronomia internazionale.
Il prestigioso magazine americano Town & Country, dedicato ai “tesori” italiani, nell’aprile 2003, ha riservato allo chef Rita Denza, un articolo lungo tre pagine, firmato da Victor Hazan, il cui nome, insieme a quello della moglie Marcella, è sinonimo negli Stati Uniti di grande cucina italiana.
Gli Hazan “leader opinion” nel campo dell’enogastronomia, oltre ad aver scritto numerosi libri di ricette, diventati dei best-sellers internazionali, hanno aperto varie scuole di cucina negli U.S.A.
L’entusiastico articolo di Victor Hazan sul “Gallura” di Olbia ha la sua premessa nel titolo (The best Restaurant in Italy?) reso appena un po’ più soft dal punto interrogativo. La cucina di Rita Denza, per Hazan “regala una soddisfazione così singolare che averla provata una volta significa non dimenticare mai il suo sapore ed avere sempre il forte desiderio di gustarla ancora”. L’articolo continua con un’interessante biografia di Rita “nata a Roma in una famiglia i cui uomini sono stati tutti dei cuochi illustri. Suo nonno era l’ultimo dei monsùs napoletani, così le famiglie aristocratiche usavano chiamare i loro maestri cucinieri quando Napoli era governata dai Borboni”.
Una parte è riservata al “rituale gastronomico” descritto in tutti i suoi aspetti. Particolarmente significativo questo passaggio: “….Come altri cuochi molto esigenti, Rita lavora esclusivamente con ingredienti locali. Per lei è sicuramente un vantaggio che questi siano i prodotti del mare, dei campi e dei boschi della Sardegna. Il gusto delle aragoste, degli anemoni, delle cozze, degli scampi, delle spigole e delle triglie di scoglio, è insuperabile. Ogni prodotto della terra che entra nella sua cucina - i maialetti, i capretti, le erbe di campo, le verdure fresche, i funghi selvatici, i formaggi, le varie qualità di miele - potrebbe rappresentare l’ideale platonico della sua specie.
Eppure non si può spiegare l’ineffabile seduzione della cucina di Rita solo con l’eccellenza dei suoi ingredienti, esattamente come il capolavoro di un artista non dipende solo dalla qualità dei colori spremuti dai tubetti…” Divertente la parte in cui Victor Hazan descrive la preparazione delle varie pietanze, cercando di “carpire” i segreti di Rita Denza: “Lo scorso autunno mi ha permesso di starle accanto in cucina.
Io speravo di catturare un’idea del suo metodo, ma ciò che ho visto oppone resistenza ad essere definito un metodo…Lei compone i suoi piatti utilizzando i vari ingredienti in modo apparentemente improvvisato. Infatti, mentre cucina, Rita non sembra seguire una sequenza prestabilita, malgrado i risultati dimostrino che sa esattamente quello che sta facendo…Anche se domani apporterà qualche variazione alla ricetta, si ripeterà il miracolo di equilibrio, leggerezza, sapore, aroma e consistenza. Continuavo ad osservarla e mi chiedevo – Ma questa è cucina o stregoneria?”
mercoledì, ottobre 11, 2006
Dal sottosuolo altre sorprese nell’antica piazza romana di Olbia
Testo e foto in www.marellagiovannelli.com
La conferma ufficiale è arrivata dagli archeologi Rubens D’Oriano e Giuseppe Pisanu. E’ una piazza romana l’ultimo “tesoro” scoperto nelle immediate vicinanze del porto vecchio di Olbia. Su quel lastricato rinvenuto nel sottosuolo avvenivano i primi contatti e scambi non solo commerciali ma anche culturali e umani tra la città e gli "stranieri". L’importante ritrovamento è avvenuto durante i lavori per il rifacimento della rete idrica. La zona interessata agli scavi è situata davanti all’attuale Municipio di Corso Umberto e, già dall'età di Cesare e Augusto (seconda metà del I sec. d. C.), questa parte della città era caratterizzata da edifici imponenti e colonnati.
Negli ultimi decenni del I sec. d. C., con la dinastia Flavia (imperatori Vespasiano, Tito e Domiziano), venne realizzata la piazza lastricata ora tornata alla luce. A nord, era arricchita da un monumento circolare di cui resta la base, probabile sede di una statua di divinità o di un importante personaggio pubblico. A sud e a est (cioè verso il porto) comparivano invece delle botteghe, una delle quali ospitava un impianto di lavorazione dei murici (bocconi) per l'estrazione della porpora. Questo era il colorante per tessuti più ricercato e pregiato dell'antichità. L’imperatore vestiva di porpora e la scoperta, documentata da moltissimi frammenti di murici, è molto significativa per la ricostruzione dell'economia di Olbia antica.
Qui esistono prove della estrazione della porpora già nella fase punica (nell'antichità era famosa la porpora di Fenici e Cartaginesi). Evidentemente gli stagni tuttora circostanti la città erano anche allora una risorsa importante. Un ultimo dettaglio: più previdenti e più attenti di noi, gli antichi esiliavano le produzioni inquinanti al di fuori o ai margini degli abitati. Anche quello ora rinvenuto non fa eccezione nel rispetto delle disposizioni che individuavano proprio la porpora tra le lavorazioni maleodoranti. Secondo gli archeologi la piazza lastricata è andata in disuso alla metà del V sec. d. C. esattamente quando i Vandali affondarono la flotta i cui relitti sono stati ritrovati nello scavo del tunnel tra il luglio del 1999 e il dicembre del 2001.
Quell’attacco devastante alla città causò la fine di Olbia romana. Il “tassello” della piazza si incastra perfettamente in questo “puzzle” storico e documenta anche la sopravvivenza dell’abitato nei secoli successivi dell'Alto Medioevo (VI-X d.C.). In quella fase il nome si trasformò in Fausiana e la comunità sicuramente conduceva un’esistenza più stentata e difficile se paragonata al glorioso passato dell’Olbia romana. Tra gli indizi utili, gli archeologi hanno evidenziato un piano di calpestio e una canaletta di scolo, che si sovrappongono e in parte danneggiano le botteghe poste a est della piazza lastricata e ormai abbandonate.
Evidentemente, anche se l'abitato era notevolmente ridotto rispetto a quello romano, esso gravitava sul suo approdo. In effetti, al porto di Olbia, riparato e protetto dai venti, il più vicino alle coste della penisola, sono legate le alterne fortune della città che nel corso dei suoi 2500 anni di storia è stata distrutta e ricostruita varie volte ma, più o meno, sempre sugli stessi luoghi.
La conferma ufficiale è arrivata dagli archeologi Rubens D’Oriano e Giuseppe Pisanu. E’ una piazza romana l’ultimo “tesoro” scoperto nelle immediate vicinanze del porto vecchio di Olbia. Su quel lastricato rinvenuto nel sottosuolo avvenivano i primi contatti e scambi non solo commerciali ma anche culturali e umani tra la città e gli "stranieri". L’importante ritrovamento è avvenuto durante i lavori per il rifacimento della rete idrica. La zona interessata agli scavi è situata davanti all’attuale Municipio di Corso Umberto e, già dall'età di Cesare e Augusto (seconda metà del I sec. d. C.), questa parte della città era caratterizzata da edifici imponenti e colonnati.
Negli ultimi decenni del I sec. d. C., con la dinastia Flavia (imperatori Vespasiano, Tito e Domiziano), venne realizzata la piazza lastricata ora tornata alla luce. A nord, era arricchita da un monumento circolare di cui resta la base, probabile sede di una statua di divinità o di un importante personaggio pubblico. A sud e a est (cioè verso il porto) comparivano invece delle botteghe, una delle quali ospitava un impianto di lavorazione dei murici (bocconi) per l'estrazione della porpora. Questo era il colorante per tessuti più ricercato e pregiato dell'antichità. L’imperatore vestiva di porpora e la scoperta, documentata da moltissimi frammenti di murici, è molto significativa per la ricostruzione dell'economia di Olbia antica.
Qui esistono prove della estrazione della porpora già nella fase punica (nell'antichità era famosa la porpora di Fenici e Cartaginesi). Evidentemente gli stagni tuttora circostanti la città erano anche allora una risorsa importante. Un ultimo dettaglio: più previdenti e più attenti di noi, gli antichi esiliavano le produzioni inquinanti al di fuori o ai margini degli abitati. Anche quello ora rinvenuto non fa eccezione nel rispetto delle disposizioni che individuavano proprio la porpora tra le lavorazioni maleodoranti. Secondo gli archeologi la piazza lastricata è andata in disuso alla metà del V sec. d. C. esattamente quando i Vandali affondarono la flotta i cui relitti sono stati ritrovati nello scavo del tunnel tra il luglio del 1999 e il dicembre del 2001.
Quell’attacco devastante alla città causò la fine di Olbia romana. Il “tassello” della piazza si incastra perfettamente in questo “puzzle” storico e documenta anche la sopravvivenza dell’abitato nei secoli successivi dell'Alto Medioevo (VI-X d.C.). In quella fase il nome si trasformò in Fausiana e la comunità sicuramente conduceva un’esistenza più stentata e difficile se paragonata al glorioso passato dell’Olbia romana. Tra gli indizi utili, gli archeologi hanno evidenziato un piano di calpestio e una canaletta di scolo, che si sovrappongono e in parte danneggiano le botteghe poste a est della piazza lastricata e ormai abbandonate.
Evidentemente, anche se l'abitato era notevolmente ridotto rispetto a quello romano, esso gravitava sul suo approdo. In effetti, al porto di Olbia, riparato e protetto dai venti, il più vicino alle coste della penisola, sono legate le alterne fortune della città che nel corso dei suoi 2500 anni di storia è stata distrutta e ricostruita varie volte ma, più o meno, sempre sugli stessi luoghi.
lunedì, ottobre 09, 2006
A Su Gologone matriarche in cucina con Grazia Deledda...e Madonna
Le foto e il testo di Marella Giovannelli in www.marellagiovannelli.com
Pasqua Palimodde, insieme alla figlia Giovanna, è il cuore pulsante, il motore creativo dell’ Hotel-Ristorante “Su Gologone” di Oliena, fondato dal marito Peppeddu, scomparso qualche anno fa. La vestale della cucina barbaricina continua a sorprendere. Recentemente ha lanciato un’iniziativa per la riscoperta dei “menu deleddiani”, alla quale hanno aderito altri ristoratori di Oliena. La signora Pasqua ha riletto le opere della scrittrice nuorese, ricopiando diligentemente le ricette riportate nei suoi libri. Sono piatti dal sapore genuino e antico che hanno entusiasmato tutti quelli che li hanno gustati.
Sono piaciuti molto gli gnocchi grossi come le mandorle conditi con i pomodori secchi e raccontati in "Cenere". Buona anche la pasta con le noci, ricetta tratta dal “Il vecchio della montagna”, ma il “piatto principe deleddiano” secondo Pasqua Palimodde è il “Filindeu”. Le donne lo preparavano per distribuirlo ai poveri, una volta alla settimana, nella Chiesa delle Grazie situata al centro di Nuoro. Ancora oggi, in occasione della festa di San Francesco a Lula, si impone l’offerta di “su filindeu” a tutti i pellegrini.
La signora Palimodde racconta: “Fare il “filindeu” ancora oggi è un rito. La pasta è fatta di sola semola, acqua e sale. Poi viene lavorata moltissimo sino a farla filare. Dopo si stende al sole su un piano di sughero e si lascia essiccare sino a quando non diventa come un tessuto croccante. Si conserva a pezzi, in casa, a temperatura ambiente. Il “filindeu” si cuoce nel brodo di carne o di pecora, dove io faccio sciogliere un po’ di concentrato di pomodoro”.
Questa minestra squisita va servita con del pecorino grattugiato. Se Pasqua è la regina, sua figlia Giovanna è la principessa di un luogo-mito come ormai è “Su Gologone”. A lei spetta il compito di continuare la tradizione; ma è anche una pittrice di talento, cresciuta tra le opere d’arte raccolte dal padre , grande collezionista dei maestri sardi, tutte esposte nello straordinario ristorante-museo, uno dei locali-simbolo dell’ospitalità sarda. Nel 2001, Madonna, impegnata a Cala Gonone, nelle riprese del film “Swept Away”, ha trascorso una ventina di giorni a “Su Gologone”, insieme al marito, alla figlia e alla troupe.
La cantante-attrice americana, pur osservando una dieta severa, è diventata un’estimatrice del vino rosso Corrasi e ha assaggiato tutte le specialità della cucina barbaricina, compresi i maccheroni di “busa” , ancora fatti a mano con il ferro da calza, il sanguinaccio e le fave con il lardo, naturalmente preparati seguendo le ricette tratte dal libro “Marianna Sirca” del Premio Nobel Grazia Deledda.
Madonna, entusiasta anche per l’efficace tutela della sua privacy, prima di ripartire ha ringraziato personalmente lo staff dell'albergo, salutando Giovanna Palimodde con queste parole: “Goodbye, Su Gologone es mi casa” . La pop-star americana, oltre a gustare le antiche ricette, ha ammirato le meravigliose opere d’arte di grandi artisti sardi esposte nelle varie sale a loro dedicate. E sono autentici capolavori firmati da pittori, ceramisti e scultori del livello di Giuseppe Biasi , Melkiorre e Federico Melis, Francesco Ciusa, Salvatore Fancello, le sorelle Altara, Liliana Cano, Antonio Corriga e tanti altri.
Il percorso gastronomico e artistico proposto dalle matriarche Pasqua e Giovanna affascina e coinvolge tutti gli ospiti che arrivano a Su Gologone. Il lunghissimo elenco comprende Richard Gere, Peter Gabriel , Antonello Venditti, Laura Morante, Vittorio Sgarbi e Francesco Cossiga. La festa dei sensi continua anche nelle vasche da bagno dell’hotel dove si può scegliere il colore dell’acqua e sottoporsi ad un’insolita e benefica seduta di cromoterapia.
Pasqua Palimodde, insieme alla figlia Giovanna, è il cuore pulsante, il motore creativo dell’ Hotel-Ristorante “Su Gologone” di Oliena, fondato dal marito Peppeddu, scomparso qualche anno fa. La vestale della cucina barbaricina continua a sorprendere. Recentemente ha lanciato un’iniziativa per la riscoperta dei “menu deleddiani”, alla quale hanno aderito altri ristoratori di Oliena. La signora Pasqua ha riletto le opere della scrittrice nuorese, ricopiando diligentemente le ricette riportate nei suoi libri. Sono piatti dal sapore genuino e antico che hanno entusiasmato tutti quelli che li hanno gustati.
Sono piaciuti molto gli gnocchi grossi come le mandorle conditi con i pomodori secchi e raccontati in "Cenere". Buona anche la pasta con le noci, ricetta tratta dal “Il vecchio della montagna”, ma il “piatto principe deleddiano” secondo Pasqua Palimodde è il “Filindeu”. Le donne lo preparavano per distribuirlo ai poveri, una volta alla settimana, nella Chiesa delle Grazie situata al centro di Nuoro. Ancora oggi, in occasione della festa di San Francesco a Lula, si impone l’offerta di “su filindeu” a tutti i pellegrini.
La signora Palimodde racconta: “Fare il “filindeu” ancora oggi è un rito. La pasta è fatta di sola semola, acqua e sale. Poi viene lavorata moltissimo sino a farla filare. Dopo si stende al sole su un piano di sughero e si lascia essiccare sino a quando non diventa come un tessuto croccante. Si conserva a pezzi, in casa, a temperatura ambiente. Il “filindeu” si cuoce nel brodo di carne o di pecora, dove io faccio sciogliere un po’ di concentrato di pomodoro”.
Questa minestra squisita va servita con del pecorino grattugiato. Se Pasqua è la regina, sua figlia Giovanna è la principessa di un luogo-mito come ormai è “Su Gologone”. A lei spetta il compito di continuare la tradizione; ma è anche una pittrice di talento, cresciuta tra le opere d’arte raccolte dal padre , grande collezionista dei maestri sardi, tutte esposte nello straordinario ristorante-museo, uno dei locali-simbolo dell’ospitalità sarda. Nel 2001, Madonna, impegnata a Cala Gonone, nelle riprese del film “Swept Away”, ha trascorso una ventina di giorni a “Su Gologone”, insieme al marito, alla figlia e alla troupe.
La cantante-attrice americana, pur osservando una dieta severa, è diventata un’estimatrice del vino rosso Corrasi e ha assaggiato tutte le specialità della cucina barbaricina, compresi i maccheroni di “busa” , ancora fatti a mano con il ferro da calza, il sanguinaccio e le fave con il lardo, naturalmente preparati seguendo le ricette tratte dal libro “Marianna Sirca” del Premio Nobel Grazia Deledda.
Madonna, entusiasta anche per l’efficace tutela della sua privacy, prima di ripartire ha ringraziato personalmente lo staff dell'albergo, salutando Giovanna Palimodde con queste parole: “Goodbye, Su Gologone es mi casa” . La pop-star americana, oltre a gustare le antiche ricette, ha ammirato le meravigliose opere d’arte di grandi artisti sardi esposte nelle varie sale a loro dedicate. E sono autentici capolavori firmati da pittori, ceramisti e scultori del livello di Giuseppe Biasi , Melkiorre e Federico Melis, Francesco Ciusa, Salvatore Fancello, le sorelle Altara, Liliana Cano, Antonio Corriga e tanti altri.
Il percorso gastronomico e artistico proposto dalle matriarche Pasqua e Giovanna affascina e coinvolge tutti gli ospiti che arrivano a Su Gologone. Il lunghissimo elenco comprende Richard Gere, Peter Gabriel , Antonello Venditti, Laura Morante, Vittorio Sgarbi e Francesco Cossiga. La festa dei sensi continua anche nelle vasche da bagno dell’hotel dove si può scegliere il colore dell’acqua e sottoporsi ad un’insolita e benefica seduta di cromoterapia.
venerdì, ottobre 06, 2006
Squali bianchi di Sardegna: non favola ma scienza
Tutte le foto e il testo in www.marellagiovannelli.com
Lo squalo bianco, the great White Shark scientificamente noto come Carcharodon carcharias, è stato al centro del progetto S.L.E.D. (Sardinian Large Elasmobranch Database) promosso e condotto da ricercatori dell’Istituto di Scienze Naturali e Biologia Marina di Olbia, dell’Università degli Studi di Sassari e del Laboratorio di Ricerche e Studi DNAquA. Le foto qui pubblicate, fanno parte dell’indagine svolta dal 2002 al 2005 e finalizzata al reperimento di evidenze più o meno recenti relative alla presenza di squali bianchi nei mari della Sardegna. L’esame dei reperti e del materiale raccolto (mascelle e denti, documenti, prove fotografiche e testimonianze attendibili) ha portato alla registrazione di 15 segnalazioni di squali bianchi nelle acque sarde: 2 catture storiche (anteriori al 1900) e 13 casi recenti. Questi ultimi comprendono 10 catture in tonnara, 1 evidenza di predazione su tartaruga marina e 2 avvistamenti, tutti avvenuti negli ultimi 35 anni, ad eccezione di una cattura avvenuta a Capo Testa risalente al 1959. La determinazione del sesso è stata possibile nel 20% delle segnalazioni per le quali si è trattato di maschi adulti in tutti i casi. La localizzazione delle segnalazioni riguarda le coste nord-occidentali della Sardegna (9 casi) e quelle sudoccidentali (6 casi, compresi quelli storici). La frequenza delle osservazioni è maggiore in inverno e primavera, pur risultando comunque sporadica e strettamente connessa (86.67% tot. casi) alla pesca tradizionale del tonno. Il 33.33% delle segnalazioni relative alla Sardegna è concentrato nel decennio 1970-1979, quota che rappresenta il 16.92% di tutte le segnalazioni note di squalo bianco nel Mediterraneo nello stesso periodo. La ricerca è stata effettuata da Benedetto Cristo, Tiziano Storai, Luca Zinzula, Marco Zuffa e Antonello Floris, con metodi innovativi. Dopo un primo controllo delle 24 specie di squali (appartenenti a 12 famiglie) che vivono nei mari sardi, sono iniziate le indagini storiche, mai svolte prima d’ora, sulla presenza dello squalo bianco.
Alcune scoperte sono state sensazionali come il rinvenimento, in una collezione privata, di tre mascelle di squali catturati a Capo Testa in epoche diverse, con denti superiori ai 5 centimetri. Altre segnalazioni riguardano le isole sulcitane (i primi due casi storici, nella tonnara dell’Isola Piana nel 1879 e 1882; l’ultimo, una “predazione su tartaruga” nel 1997). Altre ancora si riferiscono a Capo Testa (dal 1959 fino al 1996, anno nel quale si segnala un attacco a un’imbarcazione). E poi ci sono quelle relative a Stintino, Porto Conte, Santa Caterina di Pittinuri e Torre delle Stelle (ultimo avvistamento in mare, non distante dalla costa, nel 2001). Rilevati anche esemplari superiori ai 6 metri, catturati a Capo Testa (1975) e Stintino (1999). Tutto ciò senza contare quegli esemplari sfuggiti alla ricerca o rimasti sconosciuti alle cronache. Nessuna evidenza di attacchi ad esseri umani è stata riscontrata dai ricercatori che vedono nella biodiversità degli organismi presenti nel mare della Sardegna, squali compresi, una risorsa da tutelare nell' ambito di un progetto complessivo riguardante tutto il bacino del Mediterraneo.
Lo squalo bianco, the great White Shark scientificamente noto come Carcharodon carcharias, è stato al centro del progetto S.L.E.D. (Sardinian Large Elasmobranch Database) promosso e condotto da ricercatori dell’Istituto di Scienze Naturali e Biologia Marina di Olbia, dell’Università degli Studi di Sassari e del Laboratorio di Ricerche e Studi DNAquA. Le foto qui pubblicate, fanno parte dell’indagine svolta dal 2002 al 2005 e finalizzata al reperimento di evidenze più o meno recenti relative alla presenza di squali bianchi nei mari della Sardegna. L’esame dei reperti e del materiale raccolto (mascelle e denti, documenti, prove fotografiche e testimonianze attendibili) ha portato alla registrazione di 15 segnalazioni di squali bianchi nelle acque sarde: 2 catture storiche (anteriori al 1900) e 13 casi recenti. Questi ultimi comprendono 10 catture in tonnara, 1 evidenza di predazione su tartaruga marina e 2 avvistamenti, tutti avvenuti negli ultimi 35 anni, ad eccezione di una cattura avvenuta a Capo Testa risalente al 1959. La determinazione del sesso è stata possibile nel 20% delle segnalazioni per le quali si è trattato di maschi adulti in tutti i casi. La localizzazione delle segnalazioni riguarda le coste nord-occidentali della Sardegna (9 casi) e quelle sudoccidentali (6 casi, compresi quelli storici). La frequenza delle osservazioni è maggiore in inverno e primavera, pur risultando comunque sporadica e strettamente connessa (86.67% tot. casi) alla pesca tradizionale del tonno. Il 33.33% delle segnalazioni relative alla Sardegna è concentrato nel decennio 1970-1979, quota che rappresenta il 16.92% di tutte le segnalazioni note di squalo bianco nel Mediterraneo nello stesso periodo. La ricerca è stata effettuata da Benedetto Cristo, Tiziano Storai, Luca Zinzula, Marco Zuffa e Antonello Floris, con metodi innovativi. Dopo un primo controllo delle 24 specie di squali (appartenenti a 12 famiglie) che vivono nei mari sardi, sono iniziate le indagini storiche, mai svolte prima d’ora, sulla presenza dello squalo bianco.
Alcune scoperte sono state sensazionali come il rinvenimento, in una collezione privata, di tre mascelle di squali catturati a Capo Testa in epoche diverse, con denti superiori ai 5 centimetri. Altre segnalazioni riguardano le isole sulcitane (i primi due casi storici, nella tonnara dell’Isola Piana nel 1879 e 1882; l’ultimo, una “predazione su tartaruga” nel 1997). Altre ancora si riferiscono a Capo Testa (dal 1959 fino al 1996, anno nel quale si segnala un attacco a un’imbarcazione). E poi ci sono quelle relative a Stintino, Porto Conte, Santa Caterina di Pittinuri e Torre delle Stelle (ultimo avvistamento in mare, non distante dalla costa, nel 2001). Rilevati anche esemplari superiori ai 6 metri, catturati a Capo Testa (1975) e Stintino (1999). Tutto ciò senza contare quegli esemplari sfuggiti alla ricerca o rimasti sconosciuti alle cronache. Nessuna evidenza di attacchi ad esseri umani è stata riscontrata dai ricercatori che vedono nella biodiversità degli organismi presenti nel mare della Sardegna, squali compresi, una risorsa da tutelare nell' ambito di un progetto complessivo riguardante tutto il bacino del Mediterraneo.
mercoledì, ottobre 04, 2006
Paolo Fresu: con la sua tromba da Berchidda nel mondo
Testo e foto di Marella Giovannelli per www.marellagiovannelli.com
“Un ragazzo corre per le vie del paese suonando una tromba insieme alla banda”: con questo flashback autobiografico Paolo Fresu apre il suo sito internet che detta “le istruzioni per l'uso” di un personaggio carismatico.
Cerco di tenerle a mente durante la chiacchierata a cena, con lui e i suoi compagni di concerto, allo Yacht Club di Porto Rotondo, subito dopo la splendida esecuzione di Porgy and Bess. Schivo e gentile, Paolo Fresu non si sofferma più di tanto sul ricordo del premio ricevuto all'Olympia di Parigi nel 1998 o di quello come miglior musicista jazz europeo nel 1996. Dice che la musica gli piaceva fin da bambino; “ un'armonica a bocca, poi la chitarra, quindi la tromba, scelta semplicemente perché ne possedevamo una in casa”. La sua umiltà è pari alla voglia di mettersi sempre in gioco. Parla della sua intensa attività artistica tra spostamenti e ritorni a Berchidda, il paese dove è nato. Qui ha dato vita ad un fenomeno ormai consolidato, che ha il suo centro vitale in Time in Jazz, realtà culturale d'avanguardia, con l'interazione tra differenti forme artistiche come la pittura, la musica, la letteratura.
Si dichiara orgoglioso della sua sardità che, come un'ombra lo segue discreta o scomoda anche dall’altra parte del mondo. E questo orgoglio spesso si fonde in contaminazioni che aprono nuovi linguaggi musicali. Víve tra Parigi, Bologna e Berchidda; tiene concerti nei quattro continenti ma, ancora oggi, dice: “Il mio unico viaggio è quello che va da Olbia a Civitavecchia. Tutte le altre distanze sono inferiori o trascurabili”. Non si è mai atteggiato a ragazzo prodigio malgrado gli esordi precoci, anzi precisa che “alle prime lezioni dicevano tutti che suonavo benino ma semplicemente perchè non c'erano trombettisti e quindi non avevamo paragoni...”
Paolo Fresu ha una presenza scenica, a dir poco, magnetica. Suona seduto, quasi raggomitolato sullo strumento. “Non è un atteggiamento studiato allo specchio ma una posizione che mi fa stare meglio, più a mio agio con il palco, lo strumento e il pubblico. Prima faccio un'accurata ricerca della sedia; spesso mi propongono sedie bellissime ma quello che io cerco non è l'estetica; può anche non essere bella ma mi deve accogliere bene. Rannicchiato, raggomitolato, appollaiato: i termini per definire la mia postura sono vari e suggestivi. La mia potrebbe essere anche una sorta di posizione fetale con la tromba rivolta verso il basso, quasi un’introversione che, a tratti, si apre verso l'alto. A un certo punto della mia carriera ho scoperto che preferivo suonare seduto e ho continuato a farlo”.
Per ricordare il suo freschissimo matrimonio, ha fatto arrivare al nostro tavolo un grande vassoio pieno di dolci sardi preparati in casa dai suoi parenti e racconta: “Mi sono sposato il 14 giugno a Berchidda, ho fatto un viaggio di nozze-lavoro in Marocco tra Rabat, Fez, Marrakesh, il deserto del Sahara e Quarzazate. Ho tenuto concerti in tutti questi splendidi posti".
Poi un salto nel passato frugando tra i ricordi:" A sette anni suonavo la chitarra e l’armonica; mio padre era un pastore contadino, mia madre una casalinga. Babbo è anche un poeta in limba, ama la cultura e la musica, segue tutti i miei spettacoli e mi ha sempre aiutato. Io ho iniziato a suonare la tromba a undici anni nella banda del paese, mio fratello suonava la tromba príma di me; era quindi uno strumento che vedevo in casa. Ero la mascotte della banda e mi sono commosso quando, al mio matrimonio, è arrivata al gran completo; ha suonato per noi durante la festa, alla quale ha partecipato tutto il paese.
A me piace la tradizione, trovo sia giusto condividere un pensiero collettivo con la comunità alla quale appartengo. Per la cerimonia ho scelto un abbigliamento piuttosto sobrio e Sonia indossava il classico abito bianco. L'altare era sistemato tra i graniti, la macchia mediterranea e le querce. La sorpresa è arrivata dal cielo quando, da un elicottero, è caduta una pioggia di petali dei fiori raccolti dalla gente del paese che ha riempito due enormi secchi per farci questo regalo. Tornando indietro nel tempo, dalla banda del paese sono passato ai complessi di musica leggera fino all’ incontro con il jazz a Sassari. Poi è arrivato il periodo degli studi al Conservatorio di Sassari e di Cagliari e del corso internazionale dí Jazz a Siena dove insegno dal 1985. La prima volta che mi sono reso conto di aver raggiunto un traguardo importante è stato nel ‘96 quando ho vinto il Django d'Or a Parigi come miglior musicista europeo. La Sardegna è una terra di grande fascino che sta crescendo su tantí fronti; penso al turismo, alla nuova consapevolezza e all'orgoglio delle proprie radici, alla ricerca del confronto con altre realtà e alla riscoperta delle tradizioni più antiche della nostra gente. La nostra non è mai stata un'isola statica anzi ha un’apertura che molti ci invidiano”.
Paolo Fresu ammette qualche difficoltà di rapporto con un solo elemento... quello marino: “In effetti, non so nuotare e non amo il mare. Il mio ricordo legato a questo elemento non è particolarmente piacevole. Quando ero piccolo, partivamo da Berchidda in auto per raggiungere le spíagge di Olbia. Dopo un tragítto abbastanza lungo si arrivava finalmente a destinazione ed era già l'ora di pranzo; vista la distanza portavamo il cibo da casa e, dato che dopo mangiato non potevamo fare il bagno, lo facevamo prima con il risultato che tutto poi sapeva di sale, dalla pastasciutta all'anguria. Anche per un fatto climatico preferisco la montagna al mare e poi mi piace moltissimo viaggiare”.
Paolo Fresu è comunque realistico quando parla di turismo e di scelte alternative: “Trovo che ipotizzare un tipo di turismo diverso da quello balneare, sulle coste sarde, sía abbastanza utopistico. I turisti che vengono da queste parti voglíono il mare e tutto ciò che gravita intorno ad esso. Penso sia del tutto naturale che la maggior parte di persone arrivi in Costa, consumi le vacanze godendosi il mare e poi riparta senza velleità culturali. In questi ultimi tempi, però, sta prendendo sempre più piede il cosiddetto “turismo intelligente” e considero le località costiere luoghi-vetrina con potenzialità enormi per far conoscere meglio le varie realtà dell’interno dell'Isola. Queste offrono alternative molto valide dal punto di vista paesaggistico, culturale ed artistico. Un esempio arriva proprio dal Festival di Berchidda, una mia creatura, nata nel 1988; oltre ad essere un evento artistico importante ed un fatto di costume è diventato anche un veicolo economico trainante per il mio paese. Lo scorso anno abbiamo ospitato 30.000 persone; non male per un centro di 3.000 abitanti".
L'eclettismo di Paolo Fresu nasce dalla sua inesauribile curiosità e dalla sua straordinaria voglia di sperimentazione; dirige diversi gruppi composti da un numero variabile di artisti; dice di “sentirsi attratto da tutte le culture musicali forti” e trova il tempo anche per le buone letture. Tra i suoi autori preferítí cí sono Kafka, Rilke e Marquez. Utilizza molto Internet e si definisce “un mailista il quale trova che il miglior modo di comunicare oggi sia attraverso la posta elettronica”. I gusti a tavola? Si dichiara onnivoro e ama tutti i prodotti “made in Sardinia”. Su questo si sbilancia volentieri visto che "in Sardegna abbiamo prodotti di assoluta eccellenza: un elemento di forza sul quale puntare ed investire”. Paolo Fresu, nato il 10 febbraio 1962, è considerato oggi uno dei migliori musicisti jazz del mondo ma conserva intatto il legame con la sua gente e la sua terra. Sensibile e attento, curioso e appassionato, non si pone né limiti né confini. Si è esibito nei più importanti Festival italiani e stranieri suonando in tutti i continenti ed in luoghi prestigiosi quali l’Olimpya e la Salle Pleyel di Parigi, il "Blue Note" di New York e Milano, la Konzerthall di Vienna. La sua carriera forse è così speciale proprio perché, al centro di tutto, l'artista mette i rapporti umani e l'orgoglio della propria identità. Vissuto però in modo aperto, propositivo e ricettivo perché “la strada giusta è quella di reinventare la propria sardità ed immetterla nel circuito globale. Preservare le proprie origini è un valore aggiunto”.
Articolo di Marella Giovannelli pubblicato sulla Gazzetta di Porto Rotondo del luglio 2003
“Un ragazzo corre per le vie del paese suonando una tromba insieme alla banda”: con questo flashback autobiografico Paolo Fresu apre il suo sito internet che detta “le istruzioni per l'uso” di un personaggio carismatico.
Cerco di tenerle a mente durante la chiacchierata a cena, con lui e i suoi compagni di concerto, allo Yacht Club di Porto Rotondo, subito dopo la splendida esecuzione di Porgy and Bess. Schivo e gentile, Paolo Fresu non si sofferma più di tanto sul ricordo del premio ricevuto all'Olympia di Parigi nel 1998 o di quello come miglior musicista jazz europeo nel 1996. Dice che la musica gli piaceva fin da bambino; “ un'armonica a bocca, poi la chitarra, quindi la tromba, scelta semplicemente perché ne possedevamo una in casa”. La sua umiltà è pari alla voglia di mettersi sempre in gioco. Parla della sua intensa attività artistica tra spostamenti e ritorni a Berchidda, il paese dove è nato. Qui ha dato vita ad un fenomeno ormai consolidato, che ha il suo centro vitale in Time in Jazz, realtà culturale d'avanguardia, con l'interazione tra differenti forme artistiche come la pittura, la musica, la letteratura.
Si dichiara orgoglioso della sua sardità che, come un'ombra lo segue discreta o scomoda anche dall’altra parte del mondo. E questo orgoglio spesso si fonde in contaminazioni che aprono nuovi linguaggi musicali. Víve tra Parigi, Bologna e Berchidda; tiene concerti nei quattro continenti ma, ancora oggi, dice: “Il mio unico viaggio è quello che va da Olbia a Civitavecchia. Tutte le altre distanze sono inferiori o trascurabili”. Non si è mai atteggiato a ragazzo prodigio malgrado gli esordi precoci, anzi precisa che “alle prime lezioni dicevano tutti che suonavo benino ma semplicemente perchè non c'erano trombettisti e quindi non avevamo paragoni...”
Paolo Fresu ha una presenza scenica, a dir poco, magnetica. Suona seduto, quasi raggomitolato sullo strumento. “Non è un atteggiamento studiato allo specchio ma una posizione che mi fa stare meglio, più a mio agio con il palco, lo strumento e il pubblico. Prima faccio un'accurata ricerca della sedia; spesso mi propongono sedie bellissime ma quello che io cerco non è l'estetica; può anche non essere bella ma mi deve accogliere bene. Rannicchiato, raggomitolato, appollaiato: i termini per definire la mia postura sono vari e suggestivi. La mia potrebbe essere anche una sorta di posizione fetale con la tromba rivolta verso il basso, quasi un’introversione che, a tratti, si apre verso l'alto. A un certo punto della mia carriera ho scoperto che preferivo suonare seduto e ho continuato a farlo”.
Per ricordare il suo freschissimo matrimonio, ha fatto arrivare al nostro tavolo un grande vassoio pieno di dolci sardi preparati in casa dai suoi parenti e racconta: “Mi sono sposato il 14 giugno a Berchidda, ho fatto un viaggio di nozze-lavoro in Marocco tra Rabat, Fez, Marrakesh, il deserto del Sahara e Quarzazate. Ho tenuto concerti in tutti questi splendidi posti".
Poi un salto nel passato frugando tra i ricordi:" A sette anni suonavo la chitarra e l’armonica; mio padre era un pastore contadino, mia madre una casalinga. Babbo è anche un poeta in limba, ama la cultura e la musica, segue tutti i miei spettacoli e mi ha sempre aiutato. Io ho iniziato a suonare la tromba a undici anni nella banda del paese, mio fratello suonava la tromba príma di me; era quindi uno strumento che vedevo in casa. Ero la mascotte della banda e mi sono commosso quando, al mio matrimonio, è arrivata al gran completo; ha suonato per noi durante la festa, alla quale ha partecipato tutto il paese.
A me piace la tradizione, trovo sia giusto condividere un pensiero collettivo con la comunità alla quale appartengo. Per la cerimonia ho scelto un abbigliamento piuttosto sobrio e Sonia indossava il classico abito bianco. L'altare era sistemato tra i graniti, la macchia mediterranea e le querce. La sorpresa è arrivata dal cielo quando, da un elicottero, è caduta una pioggia di petali dei fiori raccolti dalla gente del paese che ha riempito due enormi secchi per farci questo regalo. Tornando indietro nel tempo, dalla banda del paese sono passato ai complessi di musica leggera fino all’ incontro con il jazz a Sassari. Poi è arrivato il periodo degli studi al Conservatorio di Sassari e di Cagliari e del corso internazionale dí Jazz a Siena dove insegno dal 1985. La prima volta che mi sono reso conto di aver raggiunto un traguardo importante è stato nel ‘96 quando ho vinto il Django d'Or a Parigi come miglior musicista europeo. La Sardegna è una terra di grande fascino che sta crescendo su tantí fronti; penso al turismo, alla nuova consapevolezza e all'orgoglio delle proprie radici, alla ricerca del confronto con altre realtà e alla riscoperta delle tradizioni più antiche della nostra gente. La nostra non è mai stata un'isola statica anzi ha un’apertura che molti ci invidiano”.
Paolo Fresu ammette qualche difficoltà di rapporto con un solo elemento... quello marino: “In effetti, non so nuotare e non amo il mare. Il mio ricordo legato a questo elemento non è particolarmente piacevole. Quando ero piccolo, partivamo da Berchidda in auto per raggiungere le spíagge di Olbia. Dopo un tragítto abbastanza lungo si arrivava finalmente a destinazione ed era già l'ora di pranzo; vista la distanza portavamo il cibo da casa e, dato che dopo mangiato non potevamo fare il bagno, lo facevamo prima con il risultato che tutto poi sapeva di sale, dalla pastasciutta all'anguria. Anche per un fatto climatico preferisco la montagna al mare e poi mi piace moltissimo viaggiare”.
Paolo Fresu è comunque realistico quando parla di turismo e di scelte alternative: “Trovo che ipotizzare un tipo di turismo diverso da quello balneare, sulle coste sarde, sía abbastanza utopistico. I turisti che vengono da queste parti voglíono il mare e tutto ciò che gravita intorno ad esso. Penso sia del tutto naturale che la maggior parte di persone arrivi in Costa, consumi le vacanze godendosi il mare e poi riparta senza velleità culturali. In questi ultimi tempi, però, sta prendendo sempre più piede il cosiddetto “turismo intelligente” e considero le località costiere luoghi-vetrina con potenzialità enormi per far conoscere meglio le varie realtà dell’interno dell'Isola. Queste offrono alternative molto valide dal punto di vista paesaggistico, culturale ed artistico. Un esempio arriva proprio dal Festival di Berchidda, una mia creatura, nata nel 1988; oltre ad essere un evento artistico importante ed un fatto di costume è diventato anche un veicolo economico trainante per il mio paese. Lo scorso anno abbiamo ospitato 30.000 persone; non male per un centro di 3.000 abitanti".
L'eclettismo di Paolo Fresu nasce dalla sua inesauribile curiosità e dalla sua straordinaria voglia di sperimentazione; dirige diversi gruppi composti da un numero variabile di artisti; dice di “sentirsi attratto da tutte le culture musicali forti” e trova il tempo anche per le buone letture. Tra i suoi autori preferítí cí sono Kafka, Rilke e Marquez. Utilizza molto Internet e si definisce “un mailista il quale trova che il miglior modo di comunicare oggi sia attraverso la posta elettronica”. I gusti a tavola? Si dichiara onnivoro e ama tutti i prodotti “made in Sardinia”. Su questo si sbilancia volentieri visto che "in Sardegna abbiamo prodotti di assoluta eccellenza: un elemento di forza sul quale puntare ed investire”. Paolo Fresu, nato il 10 febbraio 1962, è considerato oggi uno dei migliori musicisti jazz del mondo ma conserva intatto il legame con la sua gente e la sua terra. Sensibile e attento, curioso e appassionato, non si pone né limiti né confini. Si è esibito nei più importanti Festival italiani e stranieri suonando in tutti i continenti ed in luoghi prestigiosi quali l’Olimpya e la Salle Pleyel di Parigi, il "Blue Note" di New York e Milano, la Konzerthall di Vienna. La sua carriera forse è così speciale proprio perché, al centro di tutto, l'artista mette i rapporti umani e l'orgoglio della propria identità. Vissuto però in modo aperto, propositivo e ricettivo perché “la strada giusta è quella di reinventare la propria sardità ed immetterla nel circuito globale. Preservare le proprie origini è un valore aggiunto”.
Articolo di Marella Giovannelli pubblicato sulla Gazzetta di Porto Rotondo del luglio 2003
martedì, ottobre 03, 2006
Sardegna insolita
Testo di Marella Giovannelli per www.marellagiovannelli.com
In Sardegna esiste un mondo segreto ed affascinante, spesso lontano dagli itinerari turistici più reclamizzati, ma non per questo meno importante e ricco di emozioni. Vi suggeriamo alcune località che meritano di essere visitate per le loro attrattive, magari insolite ma, proprio per questo, capaci di regalare nuove suggestioni e piacevoli sorprese. Tra Padru e Alà dei Sardi, a circa 35 chilometri da Porto Rotondo, vi sorprenderà Pedra Bianca, un piccolo villaggio tra i più pittoreschi di tutta l’Isola. Arroccato su cime rocciose che si affacciano su una splendida valle, è uno dei siti più panoramici e caratteristici della regione. I tetti rossi delle vecchie abitazioni costruite in granito senza intonaco, si intravedono tra rocce e gruppi di lecci, cisti, rovi e corbezzoli. La località, definita "il tetto pietroso" della Sardegna, ha origini nella seconda metà del Settecento e, dalla sua singolare posizione, si può ammirare un panorama mozzafiato a 360 gradi.
Gli appassionati di escursioni, magari a cavallo o in mountain bike, si troveranno immersi in una fitta vegetazione tra sorgenti e grotte misteriose. Le rocce hanno forme bizzarre, spesso legate a leggende popolari, come quella di "Su Demoniu", che attribuisce alla mano del diavolo, o meglio al suo dito infuocato, il disegno su una parete rocciosa, della testa di un cervo, pecore e attrezzi da lavoro. La maggior parte delle abitazioni conserva il vecchio camino, fulcro della vita domestica del passato, provvisto nella parte antistante, di uno spazio apposito per sedersi durante le fredde serate d'inverno. Un’altra gita fiabesca è quella alla grotta di Ispingoli, tra Dorgali e Orosei. Un sistema di illuminazione e di scale si snoda intorno a cascate di stalagmiti e stalattiti dalle forme e dai colori più vari.
La colonna più lunga, alta 38 metri ha pochi rivali in Europa ed unisce la volta con la base della grotta. Sin dai tempi più antichi veniva utilizzata dall'uomo come rifugio e, fino a qualche decennio fa, offriva ancora riparo ai pastori. La temperatura mite e costante rende gradevole la visita ma il pezzo forte della passeggiata in grotta è la sensazionale visione dell’Abisso delle Vergini. E’ un imbuto stretto e profondo comunicante con le diramazioni sotterranee della caverna che si sviluppa per circa 12 chilometri. Fiumiciattoli e ruscelli attraversano perennemente questo ramo della grotta aperto solo a speleologi esperti. Alla base dell'Abisso sono stati ritrovati dei monili in pasta vitrea di fattura fenicia (esposti nel museo archeologico di Dorgali) e resti ossei attribuiti a giovani donne. Sulla base di questi ritrovamenti è nata la leggenda dei sacrifici umani perpetrati dai Fenici per ingraziarsi gli dei.
Visione insolita, di straordinaria bellezza, è Perda Longa ( pietra lunga), monumento naturale situato nello splendido scenario della costa a falesie di Baunei, a nord di Santa Maria Navarrese. Questa roccia, per la sua forma così caratteristica, veniva chiamata dagli antichi naviganti, “Guglia”, “Aguglia” o “Agugliastra” che, nel tempo, si sarebbe trasformato in Ogliastra e quindi nel nome del territorio. Perda Longa è un avamposto roccioso sul mare, dislocato ad un’altezza inferiore rispetto alla retrostante bastionata calcareo-dolomitica, dalla quale si sarebbe isolato per processi di erosione marina e atmosferica e per intensi fenomeni carsici. Cespugli e alberelli contorti vegetano nelle fessure del monumento di pietra, parzialmente sezionato in tre elementi: uno verso terra, uno centrale maggiore (128 m) ed uno più piccolo e sottile a mare. Sardegna insolita è anche quella della Giara di Gesturi dove, a fine estate, tornano a pascolare i tipici cavallini selvatici che vivono liberi nell'altopiano da tempo immemorabile.
Qui hanno trovato le condizioni ideali per conservare la loro particolare tipologia e sono gli ultimi superstiti di una razza che, in un lontano passato, popolava l'intera isola. Piccoli e di colore bruno scuro, molto resistenti alla fatica, sono snelli, hanno una lunga criniera e dei dolcissimi occhi a mandorla. Con tutta probabilità il loro arrivo in Sardegna è da ricondurre all'epoca pre-romana: forse furono importati dalla Numidia ad opera dei Cartaginesi. I cavallini non sono l’unica attrattiva della Giara, costituita da roccia basaltica di origine vulcanica e ricoperta da tutte le specie della vegetazione tipica della macchia mediterranea. Tra le antiche capanne dei pastori ed una ventina di siti archeologici disseminati sul territorio, vivono anche cinghiali, lepri, martore, volpi e gatti selvatici più il geotritone sardo (un anfibio presente solo in Sardegna) e il Lepidurus, un crostaceo arcaico che vive cibandosi di piante acquatiche ed è immutato da circa 200 milioni di anni. Il fascino della Giara, caratterizzata, fra l’altro, dalla presenza di alcuni laghetti, è reso ancora più forte dalla presenza, ai suoi piedi, del complesso nuragico di Barumini (Su Nuraxi) dichiarato nel 1997 dall'UNESCO patrimonio dell'umanità. Oggi il gigante di pietra appare ripulito e restaurato in tutta la sua monumentalità ma era completamente coperto dal fango quando, negli anni Cinquanta, venne scavato dall’archeologo Giovanni Lilliu, oggi novantenne. La sua è stata una scoperta eccezionale, con un trionfale ritorno al passato, anche personale. Infatti, da bambino, il piccolo Giovanni si calava, da una specie di buco, proprio nelle viscere di quella fangosa collina. E, convinto che fosse una grotta, dava la caccia alle civette con i suoi compagni di gioco.
Marella Giovannelli per la Gazzetta di Porto Rotondo settembre 2006
In Sardegna esiste un mondo segreto ed affascinante, spesso lontano dagli itinerari turistici più reclamizzati, ma non per questo meno importante e ricco di emozioni. Vi suggeriamo alcune località che meritano di essere visitate per le loro attrattive, magari insolite ma, proprio per questo, capaci di regalare nuove suggestioni e piacevoli sorprese. Tra Padru e Alà dei Sardi, a circa 35 chilometri da Porto Rotondo, vi sorprenderà Pedra Bianca, un piccolo villaggio tra i più pittoreschi di tutta l’Isola. Arroccato su cime rocciose che si affacciano su una splendida valle, è uno dei siti più panoramici e caratteristici della regione. I tetti rossi delle vecchie abitazioni costruite in granito senza intonaco, si intravedono tra rocce e gruppi di lecci, cisti, rovi e corbezzoli. La località, definita "il tetto pietroso" della Sardegna, ha origini nella seconda metà del Settecento e, dalla sua singolare posizione, si può ammirare un panorama mozzafiato a 360 gradi.
Gli appassionati di escursioni, magari a cavallo o in mountain bike, si troveranno immersi in una fitta vegetazione tra sorgenti e grotte misteriose. Le rocce hanno forme bizzarre, spesso legate a leggende popolari, come quella di "Su Demoniu", che attribuisce alla mano del diavolo, o meglio al suo dito infuocato, il disegno su una parete rocciosa, della testa di un cervo, pecore e attrezzi da lavoro. La maggior parte delle abitazioni conserva il vecchio camino, fulcro della vita domestica del passato, provvisto nella parte antistante, di uno spazio apposito per sedersi durante le fredde serate d'inverno. Un’altra gita fiabesca è quella alla grotta di Ispingoli, tra Dorgali e Orosei. Un sistema di illuminazione e di scale si snoda intorno a cascate di stalagmiti e stalattiti dalle forme e dai colori più vari.
La colonna più lunga, alta 38 metri ha pochi rivali in Europa ed unisce la volta con la base della grotta. Sin dai tempi più antichi veniva utilizzata dall'uomo come rifugio e, fino a qualche decennio fa, offriva ancora riparo ai pastori. La temperatura mite e costante rende gradevole la visita ma il pezzo forte della passeggiata in grotta è la sensazionale visione dell’Abisso delle Vergini. E’ un imbuto stretto e profondo comunicante con le diramazioni sotterranee della caverna che si sviluppa per circa 12 chilometri. Fiumiciattoli e ruscelli attraversano perennemente questo ramo della grotta aperto solo a speleologi esperti. Alla base dell'Abisso sono stati ritrovati dei monili in pasta vitrea di fattura fenicia (esposti nel museo archeologico di Dorgali) e resti ossei attribuiti a giovani donne. Sulla base di questi ritrovamenti è nata la leggenda dei sacrifici umani perpetrati dai Fenici per ingraziarsi gli dei.
Visione insolita, di straordinaria bellezza, è Perda Longa ( pietra lunga), monumento naturale situato nello splendido scenario della costa a falesie di Baunei, a nord di Santa Maria Navarrese. Questa roccia, per la sua forma così caratteristica, veniva chiamata dagli antichi naviganti, “Guglia”, “Aguglia” o “Agugliastra” che, nel tempo, si sarebbe trasformato in Ogliastra e quindi nel nome del territorio. Perda Longa è un avamposto roccioso sul mare, dislocato ad un’altezza inferiore rispetto alla retrostante bastionata calcareo-dolomitica, dalla quale si sarebbe isolato per processi di erosione marina e atmosferica e per intensi fenomeni carsici. Cespugli e alberelli contorti vegetano nelle fessure del monumento di pietra, parzialmente sezionato in tre elementi: uno verso terra, uno centrale maggiore (128 m) ed uno più piccolo e sottile a mare. Sardegna insolita è anche quella della Giara di Gesturi dove, a fine estate, tornano a pascolare i tipici cavallini selvatici che vivono liberi nell'altopiano da tempo immemorabile.
Qui hanno trovato le condizioni ideali per conservare la loro particolare tipologia e sono gli ultimi superstiti di una razza che, in un lontano passato, popolava l'intera isola. Piccoli e di colore bruno scuro, molto resistenti alla fatica, sono snelli, hanno una lunga criniera e dei dolcissimi occhi a mandorla. Con tutta probabilità il loro arrivo in Sardegna è da ricondurre all'epoca pre-romana: forse furono importati dalla Numidia ad opera dei Cartaginesi. I cavallini non sono l’unica attrattiva della Giara, costituita da roccia basaltica di origine vulcanica e ricoperta da tutte le specie della vegetazione tipica della macchia mediterranea. Tra le antiche capanne dei pastori ed una ventina di siti archeologici disseminati sul territorio, vivono anche cinghiali, lepri, martore, volpi e gatti selvatici più il geotritone sardo (un anfibio presente solo in Sardegna) e il Lepidurus, un crostaceo arcaico che vive cibandosi di piante acquatiche ed è immutato da circa 200 milioni di anni. Il fascino della Giara, caratterizzata, fra l’altro, dalla presenza di alcuni laghetti, è reso ancora più forte dalla presenza, ai suoi piedi, del complesso nuragico di Barumini (Su Nuraxi) dichiarato nel 1997 dall'UNESCO patrimonio dell'umanità. Oggi il gigante di pietra appare ripulito e restaurato in tutta la sua monumentalità ma era completamente coperto dal fango quando, negli anni Cinquanta, venne scavato dall’archeologo Giovanni Lilliu, oggi novantenne. La sua è stata una scoperta eccezionale, con un trionfale ritorno al passato, anche personale. Infatti, da bambino, il piccolo Giovanni si calava, da una specie di buco, proprio nelle viscere di quella fangosa collina. E, convinto che fosse una grotta, dava la caccia alle civette con i suoi compagni di gioco.
Marella Giovannelli per la Gazzetta di Porto Rotondo settembre 2006