martedì, gennaio 24, 2006


Il martello della “femina agabbadora” e la memoria degli stazzi
di Marella Giovannelli
Un martello di legno utilizzato dalla “femina agabbadora” incaricata di porre fine alle sofferenze di un malato terminale, è uno dei tanti oggetti presenti nel Museo Etnografico “Galluras”, a Luras, un caratteristico paese distante 8 chilometri da Tempio e una quarantina da Porto Rotondo. Una visita al Museo equivale a uno straordinario viaggio nella memoria della civiltà degli stazzi. Migliaia di reperti della cultura locale sono stati raccolti e perfettamente ambientati in un palazzetto a tre piani, con caratteristica facciata in granito a vista e solai in legno, situato sulla via principale del paese. Il museo, l’unico del genere in Gallura, è impostato sulla fedelissima ricostruzione degli ambienti tipici della civiltà gallurese tra la fine del ‘600 e la prima metà del nostro secolo. Le otto stanze sono perfettamente arredate con mobili, suppellettili, oggetti e attrezzi di lavoro originali dell’epoca. Tutti pezzi autentici scovati dal collezionista Pier Giacomo Pala che ha iniziato, sin da ragazzino, la sua appassionata ricerca. Oggi, il sito internet di "Galluras" attira un numero imponente di navigatori della Rete e migliaia di turisti arrivano nel piccolo centro dell'Alta Gallura al solo scopo di visitare il Museo, in via Nazionale. La vita lavorativa, i momenti di riposo e di festa, il rituale della morte trovano una realistica e suggestiva rappresentazione nei vari ambienti. A cominciare dal cortile dove è collocato un carro di legno a cui si legavano i buoi. Nella camera da letto è riposto un rustico martello di legno d'olivastro stagionato, reso lucido dall'uso. E’ lungo poco meno di 30 centimetri; il manico, corto e robusto consente una presa sicura per assestare un colpo pesante e deciso, inferto da una donna, autorevole e stimata. La “femina agabbadora” infatti, riceveva l'incarico direttamente dai parenti dell'ammalato, mossi da un senso di umana pietà per il familiare moribondo e sofferente, senza ormai alcuna speranza di miglioramento. Era, insomma, una sorta di eutanasia degli stazzi, praticata sino agli anni Trenta nelle campagne galluresi. Oltre a questa agghiacciante testimonianza, il Museo ne contiene moltissime altre, decisamente più tranquillizzanti, come “su cadineri”. Questo era il primo mobile contenitore della casa gallurese risalente alla fine del 1600 e raggruppava diverse funzioni dei mobili odierni. Fungeva infatti da dispensa per la scorta della produzione settimanale del pane, comprendeva anche un vano “antenato” del nostro frigorifero e “sa piattera”, vetrinetta per esporre quanto di meglio si aveva a disposizione: piatti, tazze, tazzine, bicchieri, bicchierini e oggetti pregiati. L'elemento più importante e caratteristico di questo mobile sono “sos calascios”, i cassetti sistemati in alto, una posizione insolita e scomoda che non permetteva ai bambini di potervi accedere. In questo modo venivano custodite gelosamente le posate “buone”, quelle delle grandi occasioni. Sempre nella camera da pranzo si trova la “banca a fogliu”, un funzionale tavolo a libro che permetteva di raddoppiarne con facilità il piano d’appoggio ed era il luogo dell’incontro e della convivialità. L’ospite, infatti, era sempre considerato sacro nella Gallura di un tempo, anche quando non era atteso. La stanza da pranzo aveva il suo centro vitale intorno al camino; le lunghe giornate lavorative si concludevano intorno al fuoco, tra racconti, favole, burle e leggende, raccontate anche da fantasiosi narratori che giravano di casa in casa ricevendo ricompense in natura per i loro “contos de foghile”. Nella cucina del Museo di Luras, piena di utensili in rame, legno e terracotta, sono esposti moltissimi pezzi caratteristici tra cui “su fundheddu” recipiente in terracotta usato per la cottura del pane azzimo in uso sino alla fine dell’Ottocento a Luras. Nella camera da letto si respira un’aria di intima eleganza: il letto in lamiera di ferro risalente alla fine dell’800 è impreziosito da motivi floreali e intarsi in madreperla; lenzuola e coperte sono ricamate a mano. Ma, nella stessa stanza, c’e’ pure il deschetto da calzolaio come si usava nel microcosmo autosufficiente dello stazzo. Particolarmente interessanti gli ambienti dedicati alle attività produttive tipiche della civiltà degli stazzi. Tra i pezzi più interessanti: “sa tumbarella” carro in legno con le sponde alte e chiuse per trasportare carichi di merce sfusa; “sa soppressa”, torchio per l'uva risalente alla fine dei 1600 che è anche il primo modello di pressa in uso in Gallura; il grande telaio che ha quasi quattrocento anni ma non li dimostra. Nel palazzetto in granito si possono anche ammirare mobili e suppellettili di un certo pregio, porcellane raffinate e costumi d'epoca. Quello che colpisce, è l'ambientazione dei reperti, sistemati non in quanto “cose” ma come preziose testimonianze di vite vissute e di una cultura capita ed amata, che si vuole far conoscere all'esterno, nel modo più autentico.