martedì, dicembre 25, 2007

Il giostraio a riposo raccoglie tutte le poesie di Marella Giovannelli




“Il giostraio a riposo” è il titolo del nuovo libro (Edizioni Della Torre di Cagliari) che raccoglie tutte le poesie di Marella Giovannelli. Il progetto grafico e le illustrazioni originali sono dell’artista Lino Pes. Il volume, stampato dalla Tipografia Gallizzi di Sassari, da alcuni giorni è in distribuzione nelle librerie della Sardegna.
Può essere acquistato anche on line cliccando sul sito http://www.librisardi.it/.
I quattro elementi del Giostraio sono spiegati, nelle prime pagine, dalla introduzione dell'autrice e dalla prefazione dello scrittore Bachisio Bandinu.
Introduzione di Marella Giovannelli
Hanno uno strano modo di nascere le mie poesie. Loro semplicemente arrivano, senza alcun preavviso. Sono ospiti esigenti perché si presentano senza invito, spesso in disordine e, quando bussano alla mia porta, pretendono che io le accolga immediatamente. Devo quindi interrompere qualsiasi mia attività e “fermare l’attimo”. Spesso sono pensieri talmente veloci ed inattesi da richiedere un intervento e mezzi di emergenza. Tra i più usati: la carta recuperata in auto mentre sono al volante, il cellulare-registratore e la sabbia-lavagna. Altre volte accade che i versi non siano così irruenti. Sono sempre loro a decidere il momento ma, quando si formano, sono calmi, indulgenti e sfilano nella mia testa come le immagini di un film. Non ho ancora capito se è nel mio cuore o nella mia mente il cassetto da cui, ogni tanto, fa capolino la poesia. La chiave la tiene lei e la usa in modo imprevedibile. Inutile cercare di stanarla; deve essere sempre lei a farsi viva. Riconosco il suo arrivo, prepotente e capriccioso che, all’improvviso, travolge e trasforma i miei pensieri, i miei ricordi e le mie emozioni. Spesso rincorre i miei miraggi e vizia le mie fantasie. Allora mi ritrovo a scrivere, stupita e spiazzata, cercando di dare forma, punteggiatura e titolo a qualcosa di fugace che, solo per qualche minuto, può essere trattenuta e fermata: la poesia. A dimostrazione di quanto sia dispettosa, capita che grandi gioie da me vissute non mi abbiano ispirato alcun verso. Invece altri episodi, molto dolorosi, della mia esistenza si sono trasformati in composizioni. Grazie alle inattese visite della poesia sono riuscita a liberarmi dagli incubi, ad assaporare i miei sogni, a convivere con le mie illusioni e, soprattutto, con le mie delusioni. Per questo ho deciso di selezionare e raccogliere in un unico libro le mie poesie, liberamente illustrate con segni arcaici dal mio concittadino, il pittore Lino Pes. Non c’è un ordine cronologico ma i Quattro Elementi che costituiscono la materia del nostro universo: Fuoco, Terra, Acqua ed Aria mi sono sembrati i compagni di viaggio più adatti per seguire il percorso de “Il giostraio a riposo”. Questo personaggio, protagonista di una mia poesia, per me rappresenta tante cose. Intanto dedico il mio lavoro “A chi sulla giostra è appena salito, a chi ancora gira e a chi è già sceso”. Ognuno di noi, ad un certo punto della vita, per motivi diversi, può sentirsi un giostraio a riposo. E’ un’immagine che associo anche a luoghi, visti magari fuori stagione o in orari particolari. Mi è successo a Porto Rotondo guardando il mare d’inverno, a Olbia tra “…bambini e vecchi come fiori al sole nei vicoli di risate e negli angoli del pianto”, davanti alle vecchie miniere di Ingurtosu o sotto un “sortilegio d’albero” del Monte Arci. In questi posti e in altri ancora si è riposato il mio giostraio.
Prefazione di Bachisio Bandinu
Da dove vengono le parole della poesia e dove vanno? Vengono dall’invenzione e dal lavoro della memoria: pellicola impressionata di una esperienza vissuta dentro, che sollecita la pulsione della scrittura. Marella Giovannelli riannoda i fili della creazione poetica intorno agli elementi primordiali dell’acqua e del fuoco, della terra e dell’aria. Così i versi tracciano i linguaggi del corpo nella relazione col sole e col mare, con la pietra e col vento. Un corpo attraversato dai moti del cuore e dalle affezioni dell’animo. La poesia viene da un altrove e abita la parole nella sua dimora più intima, a un tempo familiare ed enigmatica. L’aria, il soffio, il vento. E’ la dimensione del volo e del sogno, anche di sogni gelati dal silenzio che si spengono, ignorati e derisi e che pure vanno alla ricerca di un soffio di vita. Il tempo vissuto si è imbattuto in anticipi stupiti e in ritardi confusi ma il poeta lo ricostruisce riannodando fili strappati e perdendo scialli d’oro. Tempo della rimembranza, trafitto da fughe e ritorni. Il fuoco inventa metafore di passione e di libertà, rimanda al significante sole nella sua lama di luce ma anche coi suoi raggi freddi come lame: sole lunatico/ eclisse di amori, e quel sole che si fa corpo dell’amato: caldo e superbo/ vibrante di bellezza, i cui raggi avvolgono la pelle che brucia e risplende. Bello come disco di sole infuocato. La terra è simbolo della forza e del rifugio, della violenza e dell’intimità. Ha la durezza dell’ossidiana e il mistero del bosco d’autunno. Familiarità del cortile e del giardino. E’ la pietra il grembo della terra dove vivo il buio mistero degli anfratti. E intanto il poeta ruba la forza ai graniti. L’acqua è nel ritmo dell’onda e nel sonno della palude, nella sua corsa di fiume e nell’acqua persa dove fioriscono le ninfee, acqua fonda e cupa di misteri. Mare come musica di colori e suoni, con la sua rabbia azzurra e col suo gioco di maree alte e basse. Nel delicato confine tra mare e terra si ergono gli scogli che raccontano leggende scolpite e storie incise, e che hanno sete di cielo e fame di abissi. Nella zattera senza vela, i sogni portati dal mare sono caldi di sole e liberi di vento. La poesia di Marella Giovannelli trova il suo punto più alto nella metafora della vita: Il giostraio a riposo/gira ancora in tondo. A vuoto. Una poesia con una ricca gamma di toni cromatici e musicali: c’è la pittura dell’intimità, passioni accese e spente, carezze rubate e perdute, ma anche l’incisione di graffi di artigli sulla pelle. I versi sussurrano spalmi di miele e gocce di veleno, urlano la violenza di un’adolescenza uccisa : corpo dilaniato/nodo mai sciolto/dolore cupo lacerante rosso. Ma la poesia è liberante e dona sentimenti e ragioni per lasciare alle spalle un passato di storie imbrogliate e destini confusi, e regalare tempi e spazi nuovi e provare ancora tensioni di vertigini.

domenica, dicembre 02, 2007

Dallo Yeti al Chupacabra tra leggende rilanciate e miti crollati

Testo con foto in Mara Malda per www.marellagiovannelli.com

Qualche giorno fa un gruppo di esploratori americani e nepalesi ha annunciato il ritrovamento di alcune impronte dello “yeti”, noto anche come l’abominevole uomo delle nevi. Stando ai comunicati diffusi da varie agenzie, la scoperta sarebbe stata fatta nella gelida regione di Khumbu, dove sorge il monte Everest, dal team di “Destination Truth” (Destinazione Verità). Questo è (o dovrebbe essere) il nome-garanzia di un seguitissimo programma televisivo USA su viaggi avventurosi ed imprese impossibili. Il fortunato gruppo di esploratori con telecamere era in Nepal per una settimana di ricerche & riprese. Durante una delle tante escursioni avrebbero ritrovato tre orme, considerate compatibili con quelle dello "yeti", sulla sponda del fiume Manju, a 2.850 metri di altezza. L'esploratore Josh Gates , mostrandone una, ha dichiarato “Non credo che si tratti dell’impronta di un orso, è qualcosa di misterioso”. Il nome Yeti deriva dal termine Sherpa “yeh-teh” che significa “quella cosa”…che sarebbe: un essere di altezza compresa tra 1.80 e 2.40 metri, ricoperto di una folta pelliccia di colore marrone scuro, nero o rossastro. Avrebbe una lunga capigliatura e braccia lunghe fino alle ginocchia. Secondo gli abitanti del Tibet esisterebbero due tipi di Yeti: il Dzu-teh (cosa grossa) e quindi più alto, e il Meh-teh, di altezza più ridotta. A favore dell'esistenza dello Yeti ci sarebbero impronte, testimonianze di avvistamenti e anche vari reperti anatomici, alcuni dei quali palesemente contraffatti. Il ritrovamento delle prime orme risale al 1889, quando il maggiore L. A. Waddell, avvisato dai suoi Sherpa, osservò delle enormi impronte impresse nella neve a oltre 5000 metri di quota. Nel 1921, durante una spedizione sull'Everest, ne furono individuate altre, sul lato meridionale della montagna a circa 6000 metri di quota. Nel 1951, una nuova spedizione individuò diverse tracce che proseguivano per circa un miglio. Queste vennero fotografate e ampiamente pubblicizzate. Nel 1972, ulteriori impronte furono individuate da una spedizione guidata da Edward Cronin. Esse mostravano un largo alluce e una disposizione asimmetrica delle rimanenti quattro dita. Nel 1925 il fotografo inglese N. A. Tombazi, della Royal Geographic Society, affermò di avere avvistato uno strano essere vicino al ghiacciaio del Zemu, a 4.500 metri di quota. La creatura aveva sembianze umane, camminava eretto, era di colore marrone e aveva un folto pelo. Nella zona dell'avvistamento furono trovate numerose impronte. Nel 1970, sul Monte Annapurna uno scalatore inglese di nome Don Whillans, allertato da strani suoni simili a urla, vide una figura scura simile a una grossa scimmia che scappò immediatamente. Whillans riuscì comunque ad osservarla con un binocolo per più di venti minuti prima che scomparisse. Reinold Messner, in un suo libro, ha raccontato di aver più volte osservato lo strano essere durante le sue spedizioni in Himalaya ma, secondo il celebre esploratore, lo Yeti sarebbe solo una specie particolare di orso. E, mentre la leggenda dello Yeti riprende quota grazie all’ultima scoperta (molto mediatica e non sappiamo quanto scientifica) un brutto colpo è stato inferto ad un altro mito. Quello del Chupacabra, animale fantastico ed inquietante ora declassato e definito una sorta di coyote con l’alopecia. Anche in questo caso il clamoroso verdetto è stato diffuso a livello planetario con una overdose di programmi televisivi (compreso l’italiano Voyager di Roberto Giacobbo), filmati sul web e articoli sui giornali di tutto il mondo.Eppure, nel corso degli anni, erano state raccolte “prove” fotografiche, reperti anatomici e testimonianze terribili che documentavano l’esistenza dell’animale-vampiro chiamato Chupacabra (succhia capre). La bruttissima bestia, specializzata nel dissanguare bestiame e galline, per anni ha seminato il panico in Messico, Guatemala, Ecuador, Costa Rica e coste della Florida. Il primo avvistamento del Chupacabra, conosciuto anche come EBA (entità biologica anomala) risale al 1975 a Puerto Rico. Questo essere (che ha attirato l’attenzione di ufologi, biologi e criptozoologi) sarebbe dotato di un'appendice in grado di penetrare nei tessuti e nelle ossa delle vittime iniettando una sostanza che impedisce il rigor mortis nelle vittime. Praticando tre fori triangolari all'altezza della giugulare e servendosi della suddetta appendice il chupacabra dissangua la vittima cauterizzando la ferita all'istante, asportando anche organi interni e parti di materiale biologico. Di recente, a Cuero, in Texas, una strana carogna è stata rinvenuta dalla signora Phylis Canion, già colpita da una strage di galline nel suo pollaio. Per lei è quel che resta di un famigerato Chupacabra. L’intrepida donna ha tagliato la testa all’animale (tenuto in freezer tra una foto e una ripresa televisiva) chiedendo il test del Dna. Lo zoologo Mike Forstner, che ha curato le successive analisi del DNA, ha indicato il codice genetico del chupacabra come “quasi identico” a quello di un comune coyote, precisando che le differenze rilevate non erano tali da far ipotizzare che il cadavere appartenesse a una specie diversa. Le anomalie come la pelle glabra e il difetto di dentatura sono spiegabili come connotazioni patologiche.