domenica, settembre 17, 2006

Oriana Fallaci: l’ultimo messaggio

Testo e foto in www.marellagiovannelli.com

Da oggi Oriana Fallaci riposa agli Allori di Firenze, cimitero evangelico multireligioso. Vicino a lei la lapide in memoria dell’amato Alekos Panagoulis, il poeta-eroe della Resistenza greca, le tombe dei suoi familiari e quelle di atei, musulmani, protestanti e cattolici. Io voglio vedere in questa sua ultima scelta un messaggio di tolleranza e pacificazione. E, sempre seguendo il filo della speranza e non quello dell’odio, ho selezionato alcuni brani della lunga intervista rilasciata da Oriana Fallaci, il 16 dicembre 2001, a Lucia Annunziata.

Sulla sua malattia:

“Io sono convinta che il cancro sia un malanno intelligente. E questa storia dell’intelligenza mi è venuta in mente perché, quando mi tolsero quello grosso, dissi: voglio vederlo, mettetelo da parte, è roba mia, voglio vederlo. E due giorni dopo la operazione andai all’ospedale a guardarlo al microscopio. Mi fece un’impressione enorme perché era un sassolino, nient’altro che un sassolino. Bianco, molto pulito, grazioso. Sezionato, invece, appariva una piazza impazzita. C’era qualcosa di vitale e di intelligente in queste cellule che lottavano fra loro. Mi fece pensare a creature di un altro pianeta. Cominciai a chiamarlo Alieno e da allora è cominciato un silenzioso dialogo con lui, una sfida a questo nemico che è in me, una specie di Bin Laden: non si sa mai in che caverna sia. Ogni tanto viene fuori e lì non c’è l’esercito americano. Ci sono solo io. Quando viene fuori, viene fuori per eliminarmi. E allora io gli faccio un discorso. Gli dico: tu esisti perché esisto io, sei un mio parassita, per vivere hai bisogno di me. Se mi ammazzi muori anche tu. Questa sfida è diventata così personale e così umana che ho continuato a fumare come prima e più di prima”.

Sulla vecchiaia:

"La vecchiaia è ovviamente una conquista. L’alternativa, cioè il cimitero, è assai peggiore. Ma la virtù maggiore della vecchiaia è la libertà. Io da giovane non ero libera. Mi battevo per la libertà, sognavo la libertà, ma non ero libera. La libertà che mi circondava dopo il 1945, cioè dopo la fine della Seconda guerra mondiale, era una libertà politica, non psicologica. Non lo era perché ero donna, e perché, appunto, ero giovane. Crescendo sono diventata via via sempre più libera, anche grazie a ciò che mi sono guadagnata con le mie lotte personali e sociali per la libertà. Ma non mi sono mai sentita completamente libera. Ho incominciato a sentirmi più libera via via che sul mio volto sono apparse le rughe. Più segnate erano le rughe, più io mi sentivo libera e meno temevo i giudizi degli altri, le prepotenze degli altri, le incomprensioni. Quando le rughe sono giunte dove sono ora, mi sono sentita completamente libera. Infatti ho incominciato a dire che le mie rughe sono le mie medaglie. La vecchiaia è una catarsi. Non temi più nulla e nessuno: l’unico rischio è che se non hai senso etico, e io ce l’ho, arrivi a pensare che tutto ti sia lecito, tutto ti sia possibile. Sai di più, capisci quando sei vecchio. Hai una conoscenza, cioè un capitale, che in gioventù o nell’età matura non hai. Il cervello si è raffinato, perfezionato e nel medesimo tempo, paradossalmente, si è arricchito di curiosità che prima non avevi. Perché da giovane sei presuntuoso, ti sembra di sapere tutto. Da vecchio, invece, ti accorgi che socraticamente non sai nulla. O troppo poco. Nel medesimo tempo sai che ti resta poco da vivere e allora ti viene una gran fretta di sapere ciò che ancora non sai, di produrre ciò che ancora non hai prodotto e, sorretto da una energia nuova, più giovane di quando eri giovane, cerchi di colmare alla svelta quel vuoto. E studi, leggi, produci per non perdere un minuto di tempo.
Io sono anche convinta che da vecchio sei più intelligente che da giovane. Io, ora, scrivo molto meglio di quanto scrivessi da giovane. Con meno slancio, minore sfacciataggine, sì, ma con maggiore efficacia e andando più in profondità. C’è il problema fisico, è vero. Da vecchi non si possono fare più le cose che si fanno da giovani. Il tuo corpo è come il vecchio motore di una macchina vecchia: le tue gambe non corrono più come correvano da giovani, i tuoi polmoni non respirano più come respiravano da giovani e il tuo cuore, ahimè, ormai fa spesso cilecca".

Sulla maternità:

"Se mi chiedete qual è per me il simbolo della bellezza femminile, io non penso alla Venere di Milo o a Sofia Loren. Penso a una bella donna incinta. C’è qualcosa di potente, di trionfante, di ineguagliabilmente bello in una donna che porta in sé un’altra vita. Una donna deformata da un pancione che chiude un altro essere umano. Una delle statue che mi commuovono di più è quella preistorica di una donna incinta. Una volta la mostrai a un amico: «Guarda che splendore», e lui rispose: «Vuoi dire che orrore». Finì in una rissa.
Sulla maternità mi arrabbio sempre, con poche parole l’ho fatto anche nel piccolo libro quando penso che gli Italiani sono il popolo con la più bassa natalità dell’Occidente. Mi sembra un tradimento, una vigliaccheria verso il proprio Paese, la propria cultura, la propria società, anzi: verso la vita! Avere il privilegio di mettere al mondo un altro essere umano! Lo so che bisogna essere in due per metterlo al mondo: ma il privilegio di tenerlo nel proprio ventre, di nutrirlo col proprio sangue, di custodire la responsabilità della sua venuta al mondo è tutto femminile.
È l’unico modo per restare immortali, capisci, mettere al mondo un altro essere umano. Quando hai messo al mondo un altro essere non muori quando muori, perché attraverso quell’essere che è fatto della tua carne e del tuo sangue tu continui a vivere. Mi pesa, sì, mi pesa non lasciare almeno un figlio, quando morirò. Ed è per questo che ai miei libri mi riferisco sempre con la parola bambini. Il mio bambino, i miei bambini. Ma i miei bambini sono bambini di carta. Non di sangue. E i bambini di carta non partoriscono altri bambini di carta. Sono una ben povera illusione di maternità".

Sul passato:

"Per me ogni oggetto del passato è sacro. Il passato mi incuriosisce più del futuro. E non mi stancherò mai di sostenere che il futuro è un’ipotesi, una congettura, una supposizione. Cioè una non realtà. Tutt’al più, una speranza alla quale tentiamo di dare corpo con i sogni e le fantasie. Il passato invece è una certezza, una concretezza, una realtà stabilita. E poi ogni oggetto sopravvissuto al passato è prezioso perché porta in sé un’illusione di eternità. Perché rappresenta una vittoria sul tempo, che logora e appassisce e uccide. Una sconfitta della morte".