lunedì, febbraio 18, 2008

Gossip d’epoca tra scandali e delitti

Testo e foto in www.marellagiovannelli.com (sez. Marella Giovannelli)

Scandali giudiziari, di Corte e di cortili hanno sempre suscitato curiosità, più o meno morbosa, ma diffusa e resistente ai tempi e alle mode che cambiano. Un interessante viaggio a ritroso nel gossip d’epoca ha ispirato la brillante opinionista e storica Eugenia Tognotti che ha scritto questo articolo, pubblicato sulla Nuova Sardegna di oggi:
“Ha fatto notizia nei giorni scorsi la folla accampata fin dalle prime ore del mattino davanti al tribunale di Como per seguire il processo per i fatti di Erba. Ma, davvero, si tratta di un fenomeno morboso, proprio di un tempo in cui il gossip (vedi la love story tra Sarkozy e Carla Bruni) sta conquistando anche i quotidiani più paludati e autorevoli? Non proprio. Fatti di sangue, scandali pubblici, love stories, adulteri, intrighi, vizi privati di potenti - insomma tutto il materiale che riempie oggi le pagine dei giornali - era consumato con la stessa avidità nell’Inghilterra nel XVIII secolo, per esempio, e non solo nella ristretta cerchia degli “alfabetizzati” e nel chiuso delle case. A sostenerlo i risultati di una ponderosa tesi di dottorato di una ricercatrice dell’Università di Leeds, Jenny Skipps.
In tre anni ha catalogato i testi prodotti al tempo, stimolati dalle storie pruriginose di personaggi famosi, politici, aristocratici, commediografi, attrici, e, occasionalmente, i sovrani, le cui vite erano seguite con inesauribile curiosità. Mogli e amanti, celebrate e/o derise, rappresentavano quello che sono ai nostri giorni le Wags, cioè le mogli e le fidanzate dei calciatori, da Victoria Beckham a Coleen McLoughlin. Insomma, i lettori degli antenati dei tabloid erano affascinati dalle figure pubbliche come avviene oggi, “soprattutto quando avevano scheletri nell’armadio”.
Difficile darle torto e di certo il fenomeno non conosce limitazioni nello spazio e nel tempo. In Italia, epigrammi, satire, ballate popolari, poesie, Diari di eruditi, lettere di ambasciatori, persino resoconti medici, rivelano la curiosità che, tra XV e XVI secolo, circondava, per dire, una dama di rango come Lucrezia Borgia, figlia naturale del papa Alessandro VI, di cui sono note le tenebrose relazioni e le malefiche arti del veneficio, le gravidanze nascoste, ma anche le toilettes e le acconciature. Il porno-gossip si esercitava soprattutto sulle cortigiane - una particolare categoria di “donne perdute”, assurta ad una posizione superiore grazie a doti di bellezza e intelligenza. Animatrici di feste e banchetti, intrattenevano relazioni con uomini di potere, cui dovevano un principesco tenore di vita. In viaggio a Roma, Montagne lamenta che si facevano pagare una semplice conversazione come una “negociation entière”. Ragazze-immagine- si potrebbe dire, cui i potenti del tempo ricorrevano per conquistare favori e stabilire alleanze. Lo fece Ludovico il Moro nel 1495, quando il giovane re di Francia, Carlo VIII, calò in Italia con propositi bellicosi. Durante una sua sosta ad Asti, andò a trovarlo, con un largo seguito di belle cortigiane milanesi. Con “alchune” di quelle «formosissime matrone» - scrivono diversi cronisti - «pigliò amoroso piacere». Una cosa - Commenterà a fine Ottocento il medico Alfonso Corradi nei suoi Annali delle epidemie, che dimostra il degrado dei costumi di «quel secolo sì corrotto, che un principe non aveva vergogna di essere ruffiano». In Italia, la barriera rappresentata dall’analfabetismo comincia a cadere tra ‘800 e ‘900 e masse crescenti di lettori curiosi s’interessano alle vite e agli amori dei divini mondani, come Gabriele D’Annunzio. Una domanda cui i giornali non mancano di rispondere. Nel settembre del 1905, il “Corriere della Sera” arriva a pubblicare la notizia che il poeta si era addormentato nel treno che lo portava in Svizzera dove intendeva stabilirsi per divorziare dalla moglie. Ma il materiale più eccitante è offerto dalle cronache giudiziarie. Gli «scheletri» che fanno venire alla luce offrono, nel primo Novecento, il materiale più torbido eccitante che si possa immaginare: due scandali sessuali che intrecciano sangue e sesso, lotta politica e ideologia.
Il primo - in ambienti alto borghesi - è scatenato dal ritrovamento, Il 2 settembre del 1902, del cadavere del conte Francesco Bonmartini, marito separato di Linda Murri, figlia del più grande clinico del tempo, Augusto Murri, titolare della cattedra di Clinica Medica all’Università di Bologna e rappresentante di spicco dei socialisti. Le indagini riservano un colpo di scena dietro l’altro. Il primo è dato da una lettera del professor Murri con la notizia che ad uccidere era stato il figlio Tullio, per legittima difesa. In seguito la stessa Linda è accusata di essere la mandante, aiutata dal suo amante Carlo Secchi, noto otorinolaringoiatra, allievo del padre, da un medico suo amico e da una cameriera amante di Tullio. Voci e pettegolezzi sono ripresi e divulgati dai giornali in Italia e all’estero: si parla perfino di un rapporto incestuoso tra fratello e sorella. Una colata di fango sommerge l’incolpevole professor Murri. Sulla torbida vicenda si gettano i giornali conservatori, in polemica con quelli socialisti, per sottolineare i presunti danni dell’educazione materialista ed atea. Il Corriere della Sera, la Stampa, Il Momento, l’Avvenire d’Italia, il Resto del Carlino - che triplicano le loro tirature - dedicano pagine su pagine a quel processo che - come ha scritto Renzo Renzi nel suo libro “Il processo Murri” - «fu un grande fatto spettacolare: un autentico “théatre verité” si potrebbe dire, fondato sopra una storia vera, col suo delitto conclusivo, dove il pubblico cercò di capire la società in cui viveva, scorgendone il volto dietro certe facciate, con un’immediatezza che andava al passo con le ricostruzioni di una tragedia greca o elisabettiana». Pochi anni dopo, la cronaca giudiziaria offre nuovo eccitante materiale, svelando in Corte d’Assise i vizi e gli scandali di alcuni dei più nobili e influenti nomi dell’aristocrazia italiana. Alla sbarra il tenente di cavalleria e barone palermitano, tenente Vincenzo Paternò, che il 2 marzo 1911 aveva ucciso in un modesto albergo romano la sua amante, la contessa Giulia Trigona di Sant’Elia, 29 anni, moglie del conte Romualdo, già sindaco di Palermo, dama di corte della regina Elena.
Il tentativo di suicidarsi era andato a vuoto. Agli inservienti dell’albergo, subito accorsi, si presentò un’orribile scena: sul letto imbrattato di sangue giaceva il corpo senza vita della contessa, poco più in là c’era il suo amante col viso sfigurato. La rivoltella era sul pavimento. Le lettere vibranti di passione - più di cento - che questi doveva restituire erano sparse ovunque e alcune contenevano notizie delicatissime che riguardavano la casa reale. L’epistolario passerà, infatti, subito dalle mani della polizia a quelle di Giovanni Giolitti, ministro degli Interni e presidente del Consiglio. Uno scandalo di immense proporzioni che travolse una delle più nobili casate siciliane. Testimonianze, reperti, rapporti medici, riportate dagli inviati di tutti i giornali del tempo, alimentano un voyeurismo più esasperato. Nessun particolare della tormentata e infuocata relazione extraconiugale - compresi i più intimi - resta in ombra: dal rapporto sessuale prima del delitto, alla sifilide di Paternò all’aborto della vittima. Perfino le sue lettere sono lette in aula e pubblicate dai giornali. Tempo che vai, gossip che trovi.”
di Eugenia Tognotti