martedì, luglio 04, 2006

Alla scoperta dei tesori nascosti nell’agro di Olbia

Le foto in www.marellagiovannelli.com

Una full-immersion, non in acqua, ma nel vicino e ricco patrimonio archeologico, può costituire una valida alternativa alla routine balneare. Proponiamo ai lettori della “Gazzetta di Porto Rotondo” un itinerario...a puntate. Il primo ci porta a visitare l’agro di Olbia.

Lo storico greco Pausania attribuisce la fondazione della “Città Felice” a Iolao, nipote e compagno di Eracle. La possibilità di una frequentazione greca precedente la fondazione ufficiale di Olbia da parte dei Cartaginesi, avvenuta nella metà del IV secolo avanti Cristo, prende ora sempre più piede alla luce di significativi ritrovamenti archeologici nel centro urbano e nel territorio. La prima tappa è alla Tomba di giganti di Su Monte ‘e S’Abe che, per le sue dimensioni, è una delle più importanti in Sardegna. Il monumento è facilmente raggiungibile in auto percorrendo il sentiero, segnalato da appositi cartelli, che si apre sulla destra della strada Olbia-Loiri all'altezza del km 3.3. Le Tombe di Giganti erano sepolture collettive d'epoca nuragica in uso dal 1500 al 1100 a. C., sempre situate nei pressi di un villaggio.

I defunti erano posti nel corridoio, mentre nello spazio antistante all'esedra (il semicerchio formato dai lastroni), oltre alle possibili offerte, si svolgevano i riti periodici legati al culto dei morti, molto sentiti dalle genti nuragiche. A piedi, dalla Tomba dei Giganti, è possibile raggiungere il vicinissimo Castello di Pedres. Le prime notizie scritte sulla fortezza risalgono alla fine del Duecento, quando il Giudicato di Gallura, di cui Olbia era capoluogo, era diventato ormai un possesso della potente famiglia pisana dei Visconti.

Il complesso è costituito da due piazzali cintati, di cui il superiore mostra un insieme di edifici tra cui spicca il mastio, originariamente ripartito al suo interno da quattro ripiani lignei. L'ingresso era notevolmente rialzato dal suolo per motivi di sicurezza. Nella tipologia generale e nei dettagli tecnico-costruttivi il castello riflette l'intervento di maestranze toscane. Poco distante, rientrando ad Olbia, sulla riva destra del fiume Padrongianos-Loddone, merita assolutamente una visita la Fattoria Romana de S’Imbalconadu. Lo scavo ha evidenziato la presenza di ambienti specializzati per la macinazione del grano e per la cottura del pane, come anche per la produzione del vino, che avveniva mediante pigiatura in due vasche rettangolari. La casa-torre costituiva la dimora del conduttore della fattoria e della sua famiglia. La fattoria è stata datata al 125 circa, quindi bruciata ed abbandonata tra l'80 ed il 70 a.C.

Un’altra zona di grande interesse archeologico è quella di Cabu Abbas. Percorrendo la strada vicinale che si imbocca in corrispondenza del cavalcaferrovia di Via dei Lidi, si arriva all’Acquedotto Romano in località Sa Rughittola. Sicuramente, è l’esempio meglio conservato in Sardegna di questa classe di monumenti tipici del mondo romano. Arcate e cisterne testimoniano le grandi dimensioni dell’opera datata tra la fine del II e l'inizio del III secolo. L’impianto raccoglieva le acque di alcune sorgenti dalle pendici del colle di Cabu Abbas (traduzione in sardo dal latino caput aquarum, cioè "capo delle acque"). Il tracciato dell'acquedotto si snodava per circa 7 km e si immetteva nel centro urbano dove erano ubicate le Terme.

In età Romana Olbia contava almeno 5000 abitanti; la sua prosperità ruotava intorno al porto che, oltre ad essere il principale punto d’imbarco del grano sardo destinato a Roma, era molto importante come base militare e commerciale, al centro di una rete di traffici con l’Africa, la Spagna e la costa tirrenica della Penisola. Ma, sempre a Cabu Abbas, si può fare anche un viaggio a ritroso nel tempo e passare dalle imponenti vestigia romane ai suggestivi resti del Nuraghe di Riu Mulinu risalente all’Età del Bronzo (1300-1200 a. C.)

Una sua caratteristica è il grande e alto recinto con accessi contrapposti che circonda la vetta del colle, occupata da un piccolo nuraghe monotorre. Da qui si osserva un panorama spettacolare della piana di Olbia e del suo golfo, ed è facile capire la funzione strategica che il nuraghe svolgeva. Nello scavo del 1939 si rinvenne, tra gli altri reperti, un bronzetto raffigurante una portatrice di brocca. Un altro monumento-simbolo del territorio si trova poco distante da Cabu Abbas: il pozzo sacro di “Sa Testa”, a Cala Saccaia dove si arriva percorrendo la strada per il Porto Industriale, direzione Pittulongu.

Testimonianza del culto delle acque per le genti nuragiche, Sa Testa è uno dei monumenti più noti e meglio conservati della Sardegna. La riqualificazione del sito è stata purtroppo svilita da una nuova ed enorme costruzione
commerciale edificata nelle immediate vicinanze. Scavato nel 1930 da Doro Levi, il pozzo sacro di Olbia, restituì, oltre a reperti nuragici, anche materiali di età punica e romana. Di straordinaria importanza, il ritrovamento di una statuetta votiva lignea risalente alla fine del VII-prima metà del VI secolo a. C. di produzione greco-orientale. Si trova ad Olbia anche la Basilica di San Simplicio, il più importante monumento della Sardegna nord-orientale. La chiesa, in stile romanico-pisano, venne eretta tra la fine dell'XI e l'inizio del XII secolo all'interno di una vasta area cimiteriale, quindi nettamente al di fuori dell'abitato antico.

Ora si attende il completamento del restauro dei relitti delle antiche navi romane rinvenute durante i lavori per la realizzazione del tunnel. Il tesoro riemerso dal fango comprende una straordinaria quantità di materiale archeologico, sistemato in 600 casse, a documentare 25 secoli di storia della città. Si spera che scafi e reperti, con il completamento del Muso Archeologico, possano presto trovare un’adeguata collocazione.


Marella Giovannelli per la Gazzetta di Porto Rotondo
Giugno 2006