sabato, febbraio 17, 2007

A Monti, nel cuore della Gallura, alla ricerca dei sapori e dei monaci perduti

Testo e foto di Marella Giovannelli per www.marellagiovannelli.com

Una specie di “Pranzo di Babette” in salsa gallurese: lo hanno offerto a centocinquanta amici i titolari di “Su Furreddu” a Monti, terra del Vermentino.
Pietrina, Salvatore ed Agnese Isoni sono abituati a stupire i clienti del loro locale. Qui la cucina è decisamente diversa da quella di tante altre aziende agrituristiche con un menù inflazionato e sempre uguale. Zia Pietrina, ai fornelli da una vita, regala ogni volta un viaggio alla ricerca dei sapori perduti, valorizzando il “tesoro” eno-gastronomico della zona.
Ricette in via di estinzione come la mazzafrissa e le pietanze che un tempo si preparavano negli stazzi, riportano alla memoria profumi e sapori dell’infanzia. Gli antipasti sono una quindicina, con tante golose sorprese non inventate, ma recuperate dalla tradizione.
Il pranzo di giovedì grasso ha riunito a “Su Furreddu” tanti amici buongustai, accolti da prelibatezze molto rare da trovare, sia nei ristoranti che nei supermercati.
Un trionfo del gusto: i prosciutti di capra, cinghiale, maiale e pecora (l’ordine alfabetico coincide con la mia personale classifica). Squisite le focacce: quella ripiena di lardo e cipolline fresche e l’altra, con farina di grano duro, cipolla e ciccioli di maiale. Un matrimonio d’amore: la ricotta con l’abbamele, uno dei prodotti più antichi e tipici della gastronomia isolana, che si ottiene dalla cottura prolungata del favo contenente miele e polline, con l’aggiunta di scorze d’arancia o limone.
E poi, il piatto forte che non deve mai mancare a Carnevale: le fave e lardo serviti insieme al cavolo verza, patate e castagne in una specie di zuppa dove il sapore di ogni ingrediente esalta l’altro. Il pranzo ha avuto una “coda” dolce e fragrante con le frittelle lunghe, tipiche della Gallura.
Circondato da massi granitici, boschi di sughere e macchia mediterranea, il territorio di Monti è conosciuto, oltre che per il vino, per il santuario campestre dell'antica Chiesa di S. Paolo Eremita del 1348. Qui, a metà agosto, si svolge una festa religiosa molto sentita. In quell’occasione, ancora oggi, migliaia di pellegrini si muovono in gruppo, a piedi da Olbia, che dista circa 25 km. da Monti, per raggiungere il Santuario.
Viaggiano tutta la notte e l’ultimo tratto, quello che conduce alla Chiesa, lo percorrono sulle ginocchia. E’ un atto di devozione compiuto da penitenti che arrivano a Monti da tutta la Sardegna, come ricorda anche Grazie Deledda in uno dei suoi romanzi, per onorare San Paolo Eremita.
In un passato ormai lontanissimo, esisteva un florido monastero, nei pressi del Santuario, situato in un angolo di paradiso terrestre per la bellezza della vegetazione e l’incantevole panorama. Nel 1300 i monaci vivevano nelle celle e si riunivano nella Chiesa che corrispondeva all’attuale altare maggiore ed alla sagrestia.
Nelle vigne del monastero, scomparso da secoli, si produceva abbondante vino pro mensa e pro missa. Riferimenti storici, che confermano l’attività e le buone condizioni del monastero di Monti, si trovano anche nel “Rationes Decimarum” di Quintino Sella. Il successivo ampliamento della Chiesa, una bella e semplice architettura con pietre a vista, risale al 1600. Invece, non si hanno più notizie dell'antico monastero a partire dal 1400.
La scarsa attrattiva del paese di Monti, inteso come centro urbano, è compensata dalla bellezza dei "gioielli” naturalistici della zona come il Belvedere di Sa Turrida, con vista che spazia dall'isola di Tavolara al Monte Limbara, e la foresta demaniale di Monte Olia popolata da uccelli rapaci, cinghiali, caprioli e mufloni.