domenica, gennaio 13, 2008

Vade retro mondezza: sull’Unione Sarda il rifiuto dei rifiuti a Olbia


Testo e foto in www.marellagiovannelli.com (sez.Marella Giovannelli)

Ancora in primo piano in Sardegna le polemiche legate allo sbarco dei rifiuti campani. L'Ordine dei giornalisti della Sardegna ha giustamente espresso “piena solidarietà al presidente della Regione, vittima di un'incivile, violenta e preoccupante manifestazione di intolleranza che non ha nulla a che vedere neppure con il più aspro dissenso politico e democratico”. Il “rifiuto dei rifiuti”, da parte di molti amministratori locali della Sardegna, è motivato da considerazioni che investono la vocazione prettamente turistica di alcuni comuni, le preoccupazioni (confermate dall’Ordine dei Medici) per la salute pubblica, le carenze degli impianti di smaltimento e la mancanza di concertazione e di coinvolgimento “preventivo” da parte del Governatore Soru. Sull’Unione Sarda di oggi, il giornalista Lucio Salis ha intervistato il Sindaco di Olbia Gianni Giovannelli. Questa è l’intervista che pubblichiamo integralmente insieme ad un articolo, presente nella stessa pagina, firmato dal giornalista Andrea Busia.
Vade retro monnezza di LUCIO SALIS
Il sindaco di Olbia, Gianni Giovannelli, non vuole neppure sentirne parlare. E, per non lasciare dubbi, ieri ha emesso una nuova ordinanza che vieta «qualsiasi ipotesi di trasporto, stoccaggio e smaltimento di rifiuti (napoletani ndr) nella discarica di Spirito Santo». Quindi ha diffidato «l'organo dirigente» del Cines (Consorzio industriale) che la gestisce dall'«autorizzare lo scarico di rifiuti», minacciando querele e richieste di danni. Giusto per far capire al presidente, Pasqualino Chessa, favorevole all'appello di Soru, che non scherzava».
D- Sindaco, perché una nuova ordinanza?
R- «Perché qualcuno poteva considerare troppo vecchie quelle emesse, a suo tempo, da Nizzi e Bardanzellu».
D- L'ordinanza è valida anche nel porto, che è sotto la giurisdizione dell'Autorità portuale?R- «Il comandante Ruffini mi ha detto che non può impedire l'attracco delle navi. Per lo scarico, il discorso è diverso. Bisogna esaminare la competenza nelle aree demaniali, peraltro molto vicine alla città, dove le merci non potrebbero transitare».
D- Il Cines però è favorevole a importare rifiuti.
R- «Posizione adottata solo dal presidente. Il consorzio, per statuto, può trattare soltanto rifiuti territoriali, mentre non rientra nei suoi compiti lavorare quelli di origine extraregionale. Quindi, prima di riceverne dalla Campania, bisognerebbe modificare lo statuto, avere specifiche autorizzazioni, o quantomeno, l'approvazione della Giunta e dell'assemblea generale».
D- Passi che potrebbero essere compiuti nei prossimi giorni.R- «Lo escluderei. So che il Consiglio di amministrazione è assolutamente contrario. Aggiungo che, personalmente, non lascerò nulla di intentato per intervenire in maniera adeguata. Tant'è che ho già diffidato, con una lettera, il consiglio e il presidente dall'autorizzare la movimentazione e il trattamento di spazzatura proveniente dalla Campania».
D- Ha notizie sull'eventuale arrivo di navi a Olbia?
R- «Al momento no».
D- Perché non ha partecipato all'incontro convocato dal presidente Soru?R- «L'assessore regionale all'Ambiente, Cicitto Morittu, mi ha telefonato giovedì pomeriggio, alle cinque, invitandomi a un incontro fissato per le sette, a Cagliari. Gli ho detto che non ci sarei andato, perché un no potevo dirlo anche per telefono. Un no senza alcuna possibilità di ripensamento».
D- Ma perché si oppone all'importazione dei rifiuti in Sardegna?
R-«Qualcuno dovrebbe dimostrarmi perché la regione Campania non si è attrezzata per risolvere il problema per tempo e in questi tempi. Chiedono la nostra solidarietà solo perché non riescono a fronteggiare un'opposizione cittadina e regionale. Però lo Stato non è altrettanto solidale con la Sardegna in materia di cessione di beni demaniali, continuità territoriale e altro».
D- Mi sembra che lei contesti anche il modo in cui la Regione ha gestito la vicenda.R- «Non si può contattare il sindaco di una città alle cinque perché arrivi a Cagliari alle sette. A cose fatte. In questa occasione, non abbiamo avuto dalla Regione alcun segnale di correttezza formale».
D- Però tutto è nato in nome della solidarietà nei confronti di una regione in stato di emergenza ambientale.
R- «La solidarietà, in questa vicenda, non c'entra niente. Per quanto mi riguarda, faccio testimonianza di solidarietà nel mondo del volontariato e dell'accoglienza. E lo stesso fa la mia città ospitando migliaia e migliaia di extra comunitari. Però, non possiamo accettare di essere considerati la pattumiera d'Italia. In questo modo, così supino nei confronti di un'autorità statale dimostratasi totalmente incapace di gestire la situazione».
D- Nella vicenda della Campania, a suo giudizio, ci sono responsabilità politiche statali e regionali?R- «Soprattutto a livello di amministratori della regione Campania. Che non hanno saputo far fronte a un problema che dichiaravano ai quattro venti di poter risolvere. Non ci sono riusciti in passato e non riescono a farlo neppure ora, nella fase dell'emergenza. O meglio, vorrebbero risolverlo in maniera assolutamente inaccettabile, vessando regioni, cittadini, opposizioni politiche e la loro stessa maggioranza. Insomma, un flop su tutta la linea».
D- Non crede che, prima o poi, anche la Sardegna, dicendo no ai termovalorizzatori, si possa trovare in una situazione simile a quella della Campania?
R- «Credo che questa sia una buona occasione per fare una grande riflessione a livello di problemi energetici e ambientali. Il presidente Soru, anziché promuovere crociate contro le seconde case, introducendo la tassa sul lusso, bene farebbe ad avviare un ragionamento serio con le amministrazioni locali per programmare una politica energetica e ambientale a misura di una Sardegna che dovrebbe avere ben altri condottieri».

Gli ingegneri del Cines: non ci sta più niente di ANDREA BUSIA
Se a Cagliari si è sfiorato il dramma, in Gallura ormai si può parlare di farsa. Le ecoballe napoletane per il sindaco Gianni Giovannelli devono restare ben lontane da Olbia, gli ingegneri del Cines sono d'accordo con lui e precisano che nella discarica consortile di Spirito Santo non c'è posto per altri conferimenti. Il presidente del Consorzio Industriale olbiese Ninni Chessa, senza una maggioranza ormai da mesi, ha dato la disponibilità per un po' di tonnellate da portare nella discarica consortile. Per chiudere il quadro il presidente della Provincia Pietrina Murrighile, dopo un sopralluogo a Spirito Santo, ieri mattina, ha detto: «Se arriva altra spazzatura qui, ovviamente la discarica dovrà essere chiusa prima della data prevista per il suo esaurimento». Ossia, una posizione che dice tutto e niente e si inserisce in una vicenda quasi da operetta.
Ma non basta, perché da tre giorni, poi, c'è il discorso delle navi che salpano da Napoli e vengono date in attracco a Olbia o Golfo Aranci. Mentre Capitaneria di Porto, Autorità portuale, Prefettura di Sassari, cercano di capirci qualcosa, arrivano anche i controlli e le delucidazioni che smentiscono le indicazioni di partenza. Il caso della spazzatura napoletana sta confermando tutti i problemi e le tensioni del quadro politico gallurese. Ieri mattina, ad esempio, l'Udc, tramite i suoi vertici provinciali, ha confermato un'azione preventiva di contrasto a qualsiasi ipotesi di conferimento nella discarica di Spirito Santo. É stata annunciata la costituzione di un comitato spontaneo di cittadini per la tutela degli interessi e della salute della comunità della piccola frazione di Murta Maria, località che confina con il sito utilizzato per lo smaltimento dei rifiuti dal Cines. Già oggi potrebbero essere organizzati sit-in e un presidio permanente in tutta la zona con ll'obiettivo di intercettare eventuali automezzi destinati alla discarica. Sempre ieri mattina, però, è arrivata la notizia di una convocazione di una seduta straordinaria del consiglio comunale olbiese per domani pomeriggio alle ore 17.

sabato, gennaio 12, 2008

Rifiuti campani amarcord: questione di feeling per Renato Soru


Testo e foto www.marellagiovannelli.com (sez. Mara Malda)


Spulciando nell’archivio di Mara Malda, all’interno di questo sito, mi ha colpito un mio pezzo, scritto il 27/10/06 e intitolato:
Soru: chi di monnezza ferisce di monnezza perisce
"Grazie Sardegna ma inviarvi i rifiuti dalla Campania costa troppo. Figuraccia doppia, per Renato Soru cornuto e mazziato. Il suo "atto di solidarietà", tanto contestato dai Sardi, è stato ufficialmente rispedito al mittente perchè, in pratica, si sarebbero accorti che il gioco non vale la candela. Fatti due conti, il pragmatico Guido Bertolaso, Commissario Straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania, ha deciso che non conviene economicamente trasportare i rifiuti campani nell'Isola. Potevano pensarci prima, se la motivazione è davvero questa. Ma, forse, sull'onda delle furiose polemiche, ha fatto scuola (politica) l'immortale Fedro con la sua volpe che, non riuscendo a raggiungere l'uva, disse di non volerla cogliere perchè era ancora acerba".
P.S. Riproposto integralmente, compresa la foto della prima pagina dell’Unione Sarda di quel giorno, a dimostrazione che la solidarietà del Governatore della Sardegna per i rifiuti campani è cronica e recidiva almeno quanto l’emergenza. Ma, quindici mesi fa, l’offerta di Soru venne cortesemente rifiutata, a differenza di oggi...

venerdì, gennaio 11, 2008

Sui rifiuti campani sbarcati in Sardegna: opinioni a confronto


Testo e foto in www.marellagiovannelli.com (sez. Marella Giovannelli)
Sul caso dei rifiuti campani sbarcati ieri sera in Sardegna pubblico il commento inviato a www.marellagiovannelli.com da Cosimo Andretta e la mia risposta con alcuni ritagli dei quotidiani locali oggi in edicola.

Cosimo Andretta scrive:

“Vedi Marella, il gesto del Governatore della Sardegna, quello cioè di dare una mano accettando di smaltire una parte dei rifiuti della Campania mi ha davvero commosso. Personalmente mi dico da sempre "napoletano dissociato", perchè ci sono molte cose della mia città che non mi piacciono, ma è da un po' che ho, come si suol dire, una mosca sulla spalla. Oggi l'immagine di Napoli è quella che è , ma comincio a credere seriamente che le disgrazie napoletano siano un po' la fortuna degli altri, storia che va avanti dalla Unità d'Italia. L'estate scorsa, per fare un esempio, il dossier spazzatura ci ha fatto perdere il 20% di turisti, percentuale che guarda caso è esatta quella che si è registrata in aumento nella città di Roma. Ma anche l'aeroporto internazionale di Napoli che non si riesce a fare chissà perchè mi mette il dubbio che Fiumicino tema quel 30% di traffico che passa per Roma solo come transito verso Capodichino. Potrei continuare con la notizia della camorra che sversa in Campania rifiuti pericolosi non napoletani, come quelli industriali del nord che tanto si dicono penalizzate da questo sud parassita (c'è una allarme tumori e nascita di bambini deformi nella mia regione). E perchè non parlare delle aziende Lombarde, di quelle che non hanno accettato la "monnezza napoletana" ma poi danno in subappalto i loro ricchi contratti ad imprese camorriste giusto perchè risolvono il problema del lavoro nero, della mancanza di sicurezza nei cantieri edili, insomma un bel bypass della legalità senza "sporcarsi le mani", tanto per capirci. Comunque ed infine, voi che siete una isola lontana dall'Italia potreste oggi dare lezioni di Italianità ; con la presente e nel mio piccolo, per quello che può valere, ho inteso omaggiare il vostro nobile gesto”.

Marella Giovannelli risponde:

“Prendo atto delle tue toccanti riflessioni ma una decisione come quella assunta dal Governatore della Sardegna, avrebbe richiesto una concertazione ed un coinvolgimento delle comunità che, invece, sono state completamente bypassate. Il territorio isolano ha caratteristiche ambientali che richiedono particolari attenzioni ed una viabilità molto carente. Inoltre ci sono forti e concreti rischi di saturazione dei pochi impianti di smaltimento esistenti. Il mancato coinvolgimento delle popolazioni e delle istituzioni locali, si aggiunge all'allarme, lanciato in queste ore dall'Ordine dei medici della Provincia di Sassari che, in una nota stampa, ha espresso "forte preoccupazione per le ricadute sulla salute dei cittadini a causa dell' arrivo nell'Isola di una quota di rifiuti della Campania". Nel comunicato si cita il recente rapporto Censis sullo stato di salute dei cittadini che individua la Sardegna come la regione più ammalata d'Italia. L'Ordine dei medici ricorda che il nord ed il sud dell'Isola sono sede di due siti (a Porto Torres e a Portovesme) di interesse nazionale quanto al degrado ambientale, ma anche altre zone della Sardegna registrano livelli di inquinamento allarmanti. “Nonostante ciò la nostra continua ad essere – dicono i medici - l'unica regione d'Italia che non dispone di una Agenzia per la Protezione dell'Ambiente in grado di individuare la presenza di sostanze tossico-nocive nel territorio”. Salvatore Meloni, responsabile nazionale del Partidu Indipendentista Sardu, ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica del Tribunale di Cagliari contro il presidente Renato Soru, nel quale si ipotizza il reato di abuso d'ufficio per la decisione di accogliere e smaltire nell'isola un quantitativo di rifiuti della Campania. Molti Sardi piuttosto vorrebbero che il Governo Prodi manifestasse verso i tanti problemi dell'Isola un'attenzione maggiore di quella finora riservata, ad esempio sulla continuità territoriale, sui costi energetici e sulle politiche fiscali. Il presidente Soru, magari anche animato da un'impetuosa nobiltà d'intenti, sembra non aver considerato tutta una serie di elementi, agendo "in solitario" e alla velocità del fulmine. La disponibilità immediata, offerta a Prodi per l'accoglienza in terra sarda dei rifiuti campani, andava forse discussa e concordata a livello locale. Ora infuriano le polemiche come testimoniano le immagini andate in onda ieri sera, in tutti i telegiornali. Risse e tafferugli al Porto di Cagliari all'arrivo della nave, Comuni e popolazioni in rivolta e lo stesso concetto (nobilissimo) di solidarietà messo sotto accusa, strumentalizzato e politicizzato. Purtroppo.

venerdì, gennaio 04, 2008

L'Unione Sarda su Il giostraio a riposo di Marella Giovannelli


Sull'Unione Sarda, pagina Cultura, o4-01-2008

Poesia “Il giostraio a riposo” Suono d'acque chiare e giorni bui: ecco la mia isola

Aveva ragione Inge Feltrinelli, quando, qualche anno fa, parlando del primo libro di Marella Giovannelli, L'estranea , disse che di questa nuova poetessa avremmo sentito ancora parlare. E aveva ragione anche Alberto Cappi parlando di Mareamore , suo secondo parto (Marella considera i suoi libri veri e propri figli): «La poesia della Giovannelli è una poesia giovane, con ritmi incisivi, sintetica, a volte, fino alla scarnificazione; una poesia "operativa" che costruisce, scalpella, scheggia, fa».
Parrebbe dello stesso segno delle due precedenti anche Il giostraio a riposo , la nuova raccolta di poesie appena pubblicata dalle Edizioni Della Torre. Ma questa di oggi ha, nelle sue poesie nuove (alcune sono state riviste e riproposte), una più riuscita sublimazione del "fatto" nel quale la poesia ha le radici. Per convincersene bisogna leggere con attenzione, oltre ai testi, la sorprendente introduzione dell'autrice, che racconta il momento «prepotente e capriccioso» in cui il poeta è visitato dall'ispirazione; e la puntuale prefazione di Bachisio Bandinu.La crescita di valore di questo nuovo libro sta nel fatto che, pur restando nello stesso codice espressivo delle prime raccolte, le nuove poesie sono più aderenti a certe riflessioni poetiche di questi ultimi anni. È noto che molti poeti di oggi (e anche alcuni critici) affermano che la poesia viaggia su un binario parallelo a un altro binario in cui scorre la realtà, nuda e cruda, del nostro quotidiano. Il compito della poesia è di tener d'occhio questo treno della realtà per fare di essa qualcosa di diverso, di più profondo, di più vero. Lo scotto che si paga non è leggero perché il più delle volte ciò che ci appare bello e appassionante non lo è affatto. La poesia non fa sconti: ed è forse per questo che Marella Giovannelli, e non solo lei, quando ne viene visitata si considera in emergenza.
La forza della poesia di Marella in questa nuova silloge sta nella scelta dell'autrice di far viaggiare la pariglia Poesia-Realtà attraverso i quattro regni universali del Fuoco, della Terra, dell'Acqua e dell'Aria. Questi quattro reami, legati fra di loro, rappresentano nell'intuizione dell'autrice un'entità reale che è la Sardegna, luogo scelto e amato; e un'entità spirituale-laica che è l'amore. E quale istituto, se non quello della Poesia, potrà attribuire a queste due entità il giusto valore positivo o negativo?La Sardegna nei versi dell'autrice ha suono d'acque chiare ma anche sottolineature di storie e giorni bui: «...orgoglio di mare, vergogna di fuoco / storie crudeli in una terra di miele / odori aspri di lavanda e timo / uomini antichi e donne senza tempo».
Ma anche l'amore ha la dolcezza del nettare del succiamele e di quello amaro dell'àlbatro: «Ingabbiato fra la terra e il cielo / ti sento / nelle onde del mio desiderio regalarmi raggi di sole / subito inghiottiti da inutili ombre / in un cielo senza padroni». Una voce, quella di Marella, che emerge da una vita giovane e forte, toccata da gioie solari ma anche provata da amarezze e delusioni. E che, pensando alla "macchia nera dei ricordi", riesce a levare il suo canto di vittoria: "Da tutto questo / sono volata via".

FRANCO FRESI
04/01/2008

martedì, gennaio 01, 2008

Marella Giovannelli e il suo Giostraio nel giorno del battesimo

Testo e foto in www.marellagiovannelli.com (sezione Mara Malda)

“Il giostraio a riposo”, il nuovo libro che raccoglie tutte le poesie di Marella Giovannelli, è stato presentato il 28 dicembre scorso ad Olbia. Non potendo, per comprensibili motivi, fare io la cronaca di una serata così speciale per me, “passo la mano” ai due colleghi Stefania Costa e Alessandro Pirina che, insieme ad altri (Martine Frey, Claudio Chisu, Pino Careddu) sono stati, sin dall’inizio, vicini al mio Giostraio.
A tutti loro va il mio personale ringraziamento. Ma la cronaca della presentazione è anche nelle immagini, tratte da alcuni servizi televisivi andati in onda il giorno dopo.
Stralcio del testo scritto dalla giornalista Stefania Costa per il filmato trasmesso dall’emittente Cinquestelle Sardegna.
“...E’ Marella Giovannelli, poetessa e giornalista olbiese. Gambe incrociate davanti al fuoco del camino che le illumina il viso mentre recita e interpreta le sue poesie. “Il giostraio a riposo” è la terza raccolta di versi della eclettica giornalista pubblicata da Edizioni La Torre, presentata ieri , a Olbia, nel centro culturale di Corso Umberto. Orecchie tese e sguardi sognanti. Un pubblico attento ha accarezzato le poesie di Marella, recitate dal poeta originario di Tempio, Franco Fresi e da Mauro Orrù, presentatore, curatore tecnico del sito del comune, collega e amico della poetessa.
Il libro è un viaggio tra quattro elementi, fuoco-terra – acqua-aria attraversati da due binari sui quali scorre la vita dell’autrice compresa tra due realtà, quella concreta e quella poetica. Il vissuto e il voluto. Frammenti di vita che raccontano la forza fragile di una donna donna. Che ieri, nascosta nel suo completo gessato da adulta, sembrava un’adolescente emozionata. Capace di trasmettere emozioni, di mettersi a nudo.Di parlare di quelle bugie che al buio diventano incubi, di amori totali e fugaci, dell’adolescenza negata e “di un giostraio a riposo che gira ancora in tondo. A vuoto”.
Stralcio dell’articolo, firmato da Alessandro Pirina, pubblicato sulla Nuova Sardegna.
"Il giostraio a riposo: nuova raccolta di poesie di Marella Giovannelli.
…A introdurre l’autrice il noto poeta gallurese Franco Fresi, mentre Mauro Orrù ha recitato alcuni brani della raccolta e Mauro Mibelli si è occupato della parte musicale. «Ognuno di noi - ha sottolineato l’autrice nell’introduzione - a un certo punto della vita, e per motivi diversi, può sentirsi un giostraio a riposo. Ecco, io dedico il mio lavoro a chi su quella giostra è appena salito, a chi ancora gira e a chi è già sceso».La raccolta di poesie contiene moltissimi elementi autobiografici dell’autrice, ma ad avere un ruolo predominante sono i quattro elementi che costituiscono la materia dell’universo. «Fuoco, terra, acqua e aria mi sono sembrati i compagni di viaggio più adatti per seguire il percorso di questa raccolta», afferma ancora la Giovannelli.
La prefazione del libro è stata curata dal noto antropologo Bachisio Bandinu, le illustrazioni originali sono di Lino Pes, mentre la pubblicazione è ad opera di Edizioni Della Torre. Prima di dare alle stampe «Il giostraio a riposo» Marella Giovannelli aveva già pubblicato tre raccolte di poesie: «L’estranea», «Mareamore», «Equatore celeste» oltre al libro «Porto Rotondo, storia di un’emozione».

martedì, dicembre 25, 2007

Il giostraio a riposo raccoglie tutte le poesie di Marella Giovannelli




“Il giostraio a riposo” è il titolo del nuovo libro (Edizioni Della Torre di Cagliari) che raccoglie tutte le poesie di Marella Giovannelli. Il progetto grafico e le illustrazioni originali sono dell’artista Lino Pes. Il volume, stampato dalla Tipografia Gallizzi di Sassari, da alcuni giorni è in distribuzione nelle librerie della Sardegna.
Può essere acquistato anche on line cliccando sul sito http://www.librisardi.it/.
I quattro elementi del Giostraio sono spiegati, nelle prime pagine, dalla introduzione dell'autrice e dalla prefazione dello scrittore Bachisio Bandinu.
Introduzione di Marella Giovannelli
Hanno uno strano modo di nascere le mie poesie. Loro semplicemente arrivano, senza alcun preavviso. Sono ospiti esigenti perché si presentano senza invito, spesso in disordine e, quando bussano alla mia porta, pretendono che io le accolga immediatamente. Devo quindi interrompere qualsiasi mia attività e “fermare l’attimo”. Spesso sono pensieri talmente veloci ed inattesi da richiedere un intervento e mezzi di emergenza. Tra i più usati: la carta recuperata in auto mentre sono al volante, il cellulare-registratore e la sabbia-lavagna. Altre volte accade che i versi non siano così irruenti. Sono sempre loro a decidere il momento ma, quando si formano, sono calmi, indulgenti e sfilano nella mia testa come le immagini di un film. Non ho ancora capito se è nel mio cuore o nella mia mente il cassetto da cui, ogni tanto, fa capolino la poesia. La chiave la tiene lei e la usa in modo imprevedibile. Inutile cercare di stanarla; deve essere sempre lei a farsi viva. Riconosco il suo arrivo, prepotente e capriccioso che, all’improvviso, travolge e trasforma i miei pensieri, i miei ricordi e le mie emozioni. Spesso rincorre i miei miraggi e vizia le mie fantasie. Allora mi ritrovo a scrivere, stupita e spiazzata, cercando di dare forma, punteggiatura e titolo a qualcosa di fugace che, solo per qualche minuto, può essere trattenuta e fermata: la poesia. A dimostrazione di quanto sia dispettosa, capita che grandi gioie da me vissute non mi abbiano ispirato alcun verso. Invece altri episodi, molto dolorosi, della mia esistenza si sono trasformati in composizioni. Grazie alle inattese visite della poesia sono riuscita a liberarmi dagli incubi, ad assaporare i miei sogni, a convivere con le mie illusioni e, soprattutto, con le mie delusioni. Per questo ho deciso di selezionare e raccogliere in un unico libro le mie poesie, liberamente illustrate con segni arcaici dal mio concittadino, il pittore Lino Pes. Non c’è un ordine cronologico ma i Quattro Elementi che costituiscono la materia del nostro universo: Fuoco, Terra, Acqua ed Aria mi sono sembrati i compagni di viaggio più adatti per seguire il percorso de “Il giostraio a riposo”. Questo personaggio, protagonista di una mia poesia, per me rappresenta tante cose. Intanto dedico il mio lavoro “A chi sulla giostra è appena salito, a chi ancora gira e a chi è già sceso”. Ognuno di noi, ad un certo punto della vita, per motivi diversi, può sentirsi un giostraio a riposo. E’ un’immagine che associo anche a luoghi, visti magari fuori stagione o in orari particolari. Mi è successo a Porto Rotondo guardando il mare d’inverno, a Olbia tra “…bambini e vecchi come fiori al sole nei vicoli di risate e negli angoli del pianto”, davanti alle vecchie miniere di Ingurtosu o sotto un “sortilegio d’albero” del Monte Arci. In questi posti e in altri ancora si è riposato il mio giostraio.
Prefazione di Bachisio Bandinu
Da dove vengono le parole della poesia e dove vanno? Vengono dall’invenzione e dal lavoro della memoria: pellicola impressionata di una esperienza vissuta dentro, che sollecita la pulsione della scrittura. Marella Giovannelli riannoda i fili della creazione poetica intorno agli elementi primordiali dell’acqua e del fuoco, della terra e dell’aria. Così i versi tracciano i linguaggi del corpo nella relazione col sole e col mare, con la pietra e col vento. Un corpo attraversato dai moti del cuore e dalle affezioni dell’animo. La poesia viene da un altrove e abita la parole nella sua dimora più intima, a un tempo familiare ed enigmatica. L’aria, il soffio, il vento. E’ la dimensione del volo e del sogno, anche di sogni gelati dal silenzio che si spengono, ignorati e derisi e che pure vanno alla ricerca di un soffio di vita. Il tempo vissuto si è imbattuto in anticipi stupiti e in ritardi confusi ma il poeta lo ricostruisce riannodando fili strappati e perdendo scialli d’oro. Tempo della rimembranza, trafitto da fughe e ritorni. Il fuoco inventa metafore di passione e di libertà, rimanda al significante sole nella sua lama di luce ma anche coi suoi raggi freddi come lame: sole lunatico/ eclisse di amori, e quel sole che si fa corpo dell’amato: caldo e superbo/ vibrante di bellezza, i cui raggi avvolgono la pelle che brucia e risplende. Bello come disco di sole infuocato. La terra è simbolo della forza e del rifugio, della violenza e dell’intimità. Ha la durezza dell’ossidiana e il mistero del bosco d’autunno. Familiarità del cortile e del giardino. E’ la pietra il grembo della terra dove vivo il buio mistero degli anfratti. E intanto il poeta ruba la forza ai graniti. L’acqua è nel ritmo dell’onda e nel sonno della palude, nella sua corsa di fiume e nell’acqua persa dove fioriscono le ninfee, acqua fonda e cupa di misteri. Mare come musica di colori e suoni, con la sua rabbia azzurra e col suo gioco di maree alte e basse. Nel delicato confine tra mare e terra si ergono gli scogli che raccontano leggende scolpite e storie incise, e che hanno sete di cielo e fame di abissi. Nella zattera senza vela, i sogni portati dal mare sono caldi di sole e liberi di vento. La poesia di Marella Giovannelli trova il suo punto più alto nella metafora della vita: Il giostraio a riposo/gira ancora in tondo. A vuoto. Una poesia con una ricca gamma di toni cromatici e musicali: c’è la pittura dell’intimità, passioni accese e spente, carezze rubate e perdute, ma anche l’incisione di graffi di artigli sulla pelle. I versi sussurrano spalmi di miele e gocce di veleno, urlano la violenza di un’adolescenza uccisa : corpo dilaniato/nodo mai sciolto/dolore cupo lacerante rosso. Ma la poesia è liberante e dona sentimenti e ragioni per lasciare alle spalle un passato di storie imbrogliate e destini confusi, e regalare tempi e spazi nuovi e provare ancora tensioni di vertigini.

domenica, dicembre 02, 2007

Dallo Yeti al Chupacabra tra leggende rilanciate e miti crollati

Testo con foto in Mara Malda per www.marellagiovannelli.com

Qualche giorno fa un gruppo di esploratori americani e nepalesi ha annunciato il ritrovamento di alcune impronte dello “yeti”, noto anche come l’abominevole uomo delle nevi. Stando ai comunicati diffusi da varie agenzie, la scoperta sarebbe stata fatta nella gelida regione di Khumbu, dove sorge il monte Everest, dal team di “Destination Truth” (Destinazione Verità). Questo è (o dovrebbe essere) il nome-garanzia di un seguitissimo programma televisivo USA su viaggi avventurosi ed imprese impossibili. Il fortunato gruppo di esploratori con telecamere era in Nepal per una settimana di ricerche & riprese. Durante una delle tante escursioni avrebbero ritrovato tre orme, considerate compatibili con quelle dello "yeti", sulla sponda del fiume Manju, a 2.850 metri di altezza. L'esploratore Josh Gates , mostrandone una, ha dichiarato “Non credo che si tratti dell’impronta di un orso, è qualcosa di misterioso”. Il nome Yeti deriva dal termine Sherpa “yeh-teh” che significa “quella cosa”…che sarebbe: un essere di altezza compresa tra 1.80 e 2.40 metri, ricoperto di una folta pelliccia di colore marrone scuro, nero o rossastro. Avrebbe una lunga capigliatura e braccia lunghe fino alle ginocchia. Secondo gli abitanti del Tibet esisterebbero due tipi di Yeti: il Dzu-teh (cosa grossa) e quindi più alto, e il Meh-teh, di altezza più ridotta. A favore dell'esistenza dello Yeti ci sarebbero impronte, testimonianze di avvistamenti e anche vari reperti anatomici, alcuni dei quali palesemente contraffatti. Il ritrovamento delle prime orme risale al 1889, quando il maggiore L. A. Waddell, avvisato dai suoi Sherpa, osservò delle enormi impronte impresse nella neve a oltre 5000 metri di quota. Nel 1921, durante una spedizione sull'Everest, ne furono individuate altre, sul lato meridionale della montagna a circa 6000 metri di quota. Nel 1951, una nuova spedizione individuò diverse tracce che proseguivano per circa un miglio. Queste vennero fotografate e ampiamente pubblicizzate. Nel 1972, ulteriori impronte furono individuate da una spedizione guidata da Edward Cronin. Esse mostravano un largo alluce e una disposizione asimmetrica delle rimanenti quattro dita. Nel 1925 il fotografo inglese N. A. Tombazi, della Royal Geographic Society, affermò di avere avvistato uno strano essere vicino al ghiacciaio del Zemu, a 4.500 metri di quota. La creatura aveva sembianze umane, camminava eretto, era di colore marrone e aveva un folto pelo. Nella zona dell'avvistamento furono trovate numerose impronte. Nel 1970, sul Monte Annapurna uno scalatore inglese di nome Don Whillans, allertato da strani suoni simili a urla, vide una figura scura simile a una grossa scimmia che scappò immediatamente. Whillans riuscì comunque ad osservarla con un binocolo per più di venti minuti prima che scomparisse. Reinold Messner, in un suo libro, ha raccontato di aver più volte osservato lo strano essere durante le sue spedizioni in Himalaya ma, secondo il celebre esploratore, lo Yeti sarebbe solo una specie particolare di orso. E, mentre la leggenda dello Yeti riprende quota grazie all’ultima scoperta (molto mediatica e non sappiamo quanto scientifica) un brutto colpo è stato inferto ad un altro mito. Quello del Chupacabra, animale fantastico ed inquietante ora declassato e definito una sorta di coyote con l’alopecia. Anche in questo caso il clamoroso verdetto è stato diffuso a livello planetario con una overdose di programmi televisivi (compreso l’italiano Voyager di Roberto Giacobbo), filmati sul web e articoli sui giornali di tutto il mondo.Eppure, nel corso degli anni, erano state raccolte “prove” fotografiche, reperti anatomici e testimonianze terribili che documentavano l’esistenza dell’animale-vampiro chiamato Chupacabra (succhia capre). La bruttissima bestia, specializzata nel dissanguare bestiame e galline, per anni ha seminato il panico in Messico, Guatemala, Ecuador, Costa Rica e coste della Florida. Il primo avvistamento del Chupacabra, conosciuto anche come EBA (entità biologica anomala) risale al 1975 a Puerto Rico. Questo essere (che ha attirato l’attenzione di ufologi, biologi e criptozoologi) sarebbe dotato di un'appendice in grado di penetrare nei tessuti e nelle ossa delle vittime iniettando una sostanza che impedisce il rigor mortis nelle vittime. Praticando tre fori triangolari all'altezza della giugulare e servendosi della suddetta appendice il chupacabra dissangua la vittima cauterizzando la ferita all'istante, asportando anche organi interni e parti di materiale biologico. Di recente, a Cuero, in Texas, una strana carogna è stata rinvenuta dalla signora Phylis Canion, già colpita da una strage di galline nel suo pollaio. Per lei è quel che resta di un famigerato Chupacabra. L’intrepida donna ha tagliato la testa all’animale (tenuto in freezer tra una foto e una ripresa televisiva) chiedendo il test del Dna. Lo zoologo Mike Forstner, che ha curato le successive analisi del DNA, ha indicato il codice genetico del chupacabra come “quasi identico” a quello di un comune coyote, precisando che le differenze rilevate non erano tali da far ipotizzare che il cadavere appartenesse a una specie diversa. Le anomalie come la pelle glabra e il difetto di dentatura sono spiegabili come connotazioni patologiche.

martedì, novembre 27, 2007

Francesco (Cecco) Dotti ironico e dissacrante è finito nella Rete

Testo di Mara Malda con vignette di Francesco Dotti in www.marellagiovannelli.com

“Ciao a tutti! Finalmente anche CeccoDotti appare sul blog. Ora spero solo di riuscire a mantenermicisivi... Comunque, trovandomi costretto in seguito a dover colmare il vuoto in rete causato da una mia prematura, quanto probabile dipartita, ho già pensato ad un mio clone.”
Per annunciare la sua comparsa in Rete http://ceccodotti.blogspot.com/ il disegnatore Francesco Dotti ha scelto la sua arma preferita: l’ironia. Nel suo neonato sito internet ha appena pubblicato, con il titolo AUDACES FORTUNA IUVAT, un articolo surreal-satirico che inizia così:
“Ieri sera, quando sono andato a letto, ho riflettuto a lungo sulla situazione della sorella di Celentano che, tra l’altro, ha anche il lavandino intasato. Effettivamente, come il Molleggiato afferma, non è per niente buona. La situazione.
Me lo aveva già detto tempo fa un mio prozio di Sessa Aurunca di Sotto, prima che lo arrestassero per non avere esposto il disco orario. Lo aveva incastrato un ausiliario del traffico, abusivo e travestito da lavavetri. Condannato, prima a tre anni e poi a sei perché recidivo (aveva parcheggiato il motorino sulle strisce pedonali), il prozio di Sessa Aurunca di Sotto si aspettava di scontare la condanna in un residence di San Benedetto del Tronto. Ma il giudice, inflessibile, gli disse che nei residence di San Benedetto del Tronto ci può andare solo chi, ubriaco o con un tasso alcolico da cantina sociale, investe e ammazza almeno quattro persone. Così fu spedito ad Alcatraz….”.
Vignettista eclettico, irriverente, un po' scervellato ma geniale, di origine toscane, olbiese d'adozione (e non lo molliamo), Francesco alias CeccoDotti è irresistibile anche in versione blogger. Nato a Pistoia, vive in Sardegna dal 1970; già collaboratore del Vernacoliere ha vinto vari concorsi nazionali di satira.
Ha partecipato a numerose mostre e disegnato vignette per trasmissioni televisive (tra le quali Linea Blu su Rai Uno) e diverse testate giornalistiche come “La Nuova Sardegna”, “L’Unione Sarda”, la “Gazzetta di Porto Rotondo”. Qualche anno fa, per le edizioni Taphros di Olbia, Francesco Dotti ha pubblicato “Ti sbatto in Sardegna!”, una mini-raccolta di vignette. E’ invece del 2007 il libro “Alla scoperta della Sardegna”, del quale ha curato sia i testi che le illustrazioni.
Sono 147 acquerelli che vanno ad arricchire il racconto semplice ed accattivante della lunghissima e complicata storia isolana. Attualmente Dotti sta lavorando alla sua prossima opera: “La Sardegna illustrata, tra realtà e leggenda”, insieme all’amico e collega veneziano Lele Vianello, una delle matite più apprezzate del compianto Hugo Pratt, l’indimenticabile papà di Corto Maltese. E’ vivamente consigliata una visita al blog di Cecco Dotti che, tra le altre cose, riserva la sorpresa di un post intitolato “Gli Assiri a Olbia?”, pubblicato lo scorso 20 novembre.
Tutta da leggere l’inedita ed esilarante storia della scoperta di una tavoletta di trachite, recentemente ritrovata in una località imprecisata nei dintorni di Olbia, che porta la firma di Nabucodonosor. L’importantissimo reperto potrebbe addirittura rivoluzionare l'Antico Testamento…sempre secondo Francesco Dotti che, per il suo racconto, ha scelto un finale imprevedibile e dissacrante come tutto il resto.

domenica, novembre 11, 2007

Hillary nell’occhio del lesbo-ciclone con Huma

Testo e foto in www.marellagiovannelli.it (sez.Mara Malda)

Lo scorso settembre, un giornalista del magazine gay “The Advocate” aveva chiesto a Hillary Clinton: “How do you respond to the occasional rumor that you're a lesbian?"(Cosa risponde alle voci che la danno per lesbica?). Alla domanda, tanto impertinente quanto diretta, sulle sue presunte tendenze saffiche, l’aspirante presidente degli Stati Uniti, aveva risposto: “Non è vero. La gente dice tante cose su di me; è una cosa che non posso controllare. Diranno quello che vogliono, io davvero non ci faccio caso”.
La pubblica smentita di Hillary, da tempo al centro di un gay-gossip prima sotto traccia ed ora esploso, è arrivata dopo una lunga serie di freccette al veleno e bombette ad orologeria. Lanciate sotto forma di “rivelazioni” diffuse via radio, siti web, blog e carta stampata.
Sono stati fatti nomi e cognomi di varie signore e signorine biblicamente conosciute da Mrs.Clinton prima, durante e dopo la sua permanenza alla Casa Bianca. Si è ritorta contro di lei persino la sua adorazione per Eleanor Roosvelt, first lady dal 1932 al 1945. Una frase detta da Hillary: “Comunico spiritualmente con Eleanor Roosvelt, lei è il mio modello”, ha scatenato illazioni su “quale modello” dopo la divulgazione planetaria dell’epistolario amoroso che ha portato alla luce il trentennale legame della coppia Eleanor Roosvelt - Lorena Hickok.
Ora Hillary Clinton, malgrado la sua smentita, è finita nell’occhio del ciclone sessuale “H&H” che le stava girando intorno da molti mesi. Merito o colpa della bella musulmana Huma Abedin, sua giovane ed inseparabile collaboratrice indo-pakistana. Hillary, intervistata da “Vogue”, ha dichiarato: “Huma possiede l’energia di una ventenne, la sicurezza di una trentenne, l’esperienza di una quarantenne e la grazia di una cinquantenne: non ha orari, la sua combinazione di gentilezza e intelligenza sono senza pari e sono fortunata ad averla nella mia squadra”.
Il candidato alla presidenza Hillary Clinton ha coniato per la sua assistente il titolo di “traveling chief of staff” , una sorta di “capo di gabinetto viaggiante”. Per un insieme di doti e talenti non comuni, l’affascinante ed efficiente Huma non è fatta per restare dietro le quinte. Molti la considerano l’arma segreta di Hillary”; secondo altri, è lei, Huma, ad avere in pugno il senatore Clinton. Ma la macchina da guerra elettorale H&H oggi è a rischio per gli effetti diretti o collaterali di uno scandalo già dato in pasto, come il più succulento dei bocconi, a tutti i sondaggisti.

giovedì, novembre 01, 2007

La Cripta dei Chase in testa ai grandi gialli irrisolti

Testo di Mara Malda e foto in www.marellagiovannelli.com

Gialli ancora irrisolti di varie epoche figurano in una classifica pubblicata dal Times e tratta dall’ultimo libro di Albert Jack. Il primo dei dieci posti è occupato dal macabro caso della Cripta dei Chase alle Barbados. Resta insoluto l’enigma delle bare che, più volte, sono state ritrovate in punti diversi, rispetto a quelli originari, dentro la tomba della famiglia Chase.
Il fenomeno era iniziato nel 1808 quando i Chase, ricchi piantatori di canna da zucchero, acquistarono la cripta sigillata da una lastra di marmo. All’interno era rimasta la bara di legno con i resti di Thomasina Goddard, la precedente proprietaria. E, proprio su questa “presenza”, sembra ruotare il mistero.
Infatti, nell’arco di dieci anni, per ben sette volte, in occasione di altrettante sepolture, la cripta si presentava sigillata all’esterno e profanata al suo interno. Solo la bara della signora Goddard si trovava al posto suo mentre quelle dei Chase (due bambini, il padre e altri parenti) apparivano inspiegabilmente spostate, in disordine, come se fossero state spinte con forza e rabbia.
L’ennesimo episodio suscitò la reazione del Governatore dell’isola, Lord Combermore che, sul cemento ancora fresco della lastra tombale, fece imprimere il suo sigillo. Il 18 aprile del 1820 chiese di riaprire la cripta ma si trovò davanti al solito, terrificante scenario: l’unica bara al suo posto era quella di Thomasina Goddard mentre tutti i feretri della famiglia Chase erano a soqquadro.
Nessuna impronta per terra; perfettamente intatto il sigillo apposto da Lord Combermore l’anno precedente. A quel punto i Chase trasferirono tutte le bare di famiglia nel cimitero di Christ Church. Secondo molti, si sarebbero arresi al volitivo spirito della signora Goddard, ex proprietaria della cripta, per niente disposta a condividere lo spazio che considerava ancora suo, con i nuovi padroni.
La classifica dei misteri irrisolti più appassionanti vede in seconda posizione Agatha Christie che, nel 1926, sparì per dieci giorni in circostanze mai del tutto chiarite. Il terzo posto è per il dirottatore D.B. Cooper che, nel 1971, riuscì a paracadutarsi da un 727 con duecentomila dollari sulle spalle. Quarto è il mostro di Loch Ness seguito da un altro celebre enigma, questa volta di acqua salata, datato 1872: la sorte dell’equipaggio della Mary Celeste, un brigantino abbandonato nell'Arcipelago delle Azzorre. Nessuna traccia del capitano, di sua moglie, della loro bambina e dei sette marinai.
Sesta in classifica è la misteriosa (ancora oggi) scomparsa del musicista Glenn Miller. Al settimo e all’ottavo posto, ci sono due morti tinte di “giallo” secondo Albert Jack: Marilyn Monroe e Edgar Allan Poe. Solo nono è l’appassionante caso di Kaspar Hauser, il Fanciullo d'Europa. Per alcuni era un impostore, per altri un principe del Baden, vittima di un complotto dinastico. Il mistero della sua vita e della sua tragica fine (il 14 dicembre 1833, nel parco di Ansbach, venne pugnalato da uno sconosciuto e morì tre giorni dopo) ha ispirato 3.000 libri, 14.000 articoli, due film e numerose rappresentazioni teatrali.
Il decimo giallo riguarda la fine del Comandante Lionel ‘Buster’ Crabb, in servizio nella Riserva della Royal Navy, sparito il 19 aprile 1956 nel porto di Portsmouth durante un’immersione sotto la chiglia dell’incrociatore sovietico “Ordzhonikidze” che aveva portato il Maresciallo Bulganin e Nikita Kruschev in visita ufficiale al governo britannico.

mercoledì, ottobre 31, 2007

Nuragici= Shardana=Sardi di Sardegna? Si, secondo Giovanni Ugas

Testo e foto in www.marellagiovannelli.com

Nuragici = Shardana = Sardi di Sardegna. Lo sostiene, sempre più convinto, Giovanni Ugas, docente di Preistoria e Protostoria all’Università di Cagliari, impegnato nel completamento della sua trilogia sulla civiltà nuragica. Una quantità impressionante di dati archeologici e di riscontri (emersi da campagne di scavo, ricerche scientifiche e indagini dirette sulle fonti) è già contenuta nel primo volume, intitolato “L’alba dei nuraghi”, pubblicato lo scorso anno dalla casa editrice “Fabula”. Giovanni Ugas, in una lunga intervista rilasciata qualche giorno fa al giornalista Giancarlo Ghirra dell’Unione Sarda, ha ribadito la sua ipotesi (ma lui preferisce chiamarla certezza). Riguardo all'identificazione dei sardi negli Shardana e nei Popoli del Mare, Ugas fa notare che “le citazioni egiziane vanno dal XIV secolo, l'Egitto dei faraoni, all'XI, con la crisi dell'Impero ormai esplosa grazie anche agli attacchi degli Shardana. Questi trecento anni sono gli stessi dell'apice della civiltà dei nuragici.
Furono loro a salvare il grande faraone Ramses II nella battaglia di Qadesh contro gli Ittiti: gli Shardana, erano da 250 a 500, componevano la sua guardia personale, vero e proprio corpo d'élite in un esercito nel quale i combattenti arrivati dalla Sardegna erano alcune migliaia. Siamo intorno al 1285, e degli Shardana ritroveremo la presenza nel 1170, con Ramses III e le sue battaglie. Ma di loro si legge in testi più antichi, in bassorilievi e iscrizioni risalenti al 1365 nel tempio di Amenofi IV.
Guerrieri, probabilmente mercenari, si trovavano nelle guarnigioni come un corpo scelto ma anche come funzionari dell' intelligence, servizi segreti incaricati di spiare le mosse dei nemici in Palestina e a Biblos, in Libano, o Ugarit, aree occupate dagli egiziani. Comunque, gli Shardana sono un popolo egemone nel Mediterraneo occidentale, nel quale esercitano una leadership militare di lungo periodo, dal 1500 al 1200 e oltre avanti Cristo”.
Giovanni Ugas definisce “notevoli le rassomiglianze nell'abbigliamento dei guerrieri di Ramses II, ritratti nel tempio di Karnac e l'abbigliamento dei guerrieri nuragici nei bronzetti. Gli Egiziani descrivono gli Shardana e le loro armi proprio come i bronzetti nuragici del IX secolo ritraggono i guerrieri del passato, con scudo tondo, spadoni di grandi dimensioni, lance, pugnali. Li citano anche con timore, se Ramses II si vanta di averne fermato la flotta. Quel faraone ne parla anche come di suoi prigionieri, ma per ragioni di politica interna.
In realtà sono suoi alleati contro gli Ittiti e nel controllo del rame di Cipro, preziosa materia prima per l'economia e l'industria bellica del tempo. Un rame che circola nell'Isola in lingotti da 33 chili e 300 grammi, proveniente dalle miniere locali ma anche da Cipro, segno anche questo di potenza commerciale e di tecnologia militare: con il rame e le sue leghe si fanno spade, pugnali, armature. Saranno loro, insieme ai Lebush e ai Meshwess e altre popolazioni del Nord Africa a muovere nel XII secolo contro l'Egitto.
Attenzione alle date: nel 1183 cade Troia, si frantumano uno dopo l' altro l'impero miceneo, quello ittita, traballa forte persino quello egizio. Gli Shardana, i Sardi, hanno un ruolo dominante, insieme a popoli quali quelli che Erodoto chiama Maxwess, abitanti di fronte al lago Tirtonio, in Tunisia, proprio di fronte alla Sardegna. Una Sardegna di guerrieri e navigatori, che lasciò tracce in tutto il Mediterraneo”.
L’Isola avrebbe raggiunto la massima potenza militare e un grande sviluppo economico e sociale dal XIV all'XI secolo. Per Giovanni Ugas, "in quel periodo ci sono oltre ottomila nuraghi e 600mila abitanti, sparsi in circa tremila villaggi”. Le navi dei Sardi, per arrivare in Egitto utilizzavano due rotte, “quella del Nord, che passa per la Sicilia, Cipro e Creta, era più breve e meno pericolosa di quella meridionale, via Africa del Nord. Presumibilmente la navigazione durava una settimana, ovviamento con soste e punti di riferimento, quali il porto di Kommòs, a sud di Creta, dove sono state trovare ceramiche sarde”.

domenica, ottobre 28, 2007

Tra gli Dei non convenzionali e le Dolls non addomesticate di Gabriella Marazzi

Testo e foto in Mara Malda per www.marellagiovannelli.com
Dagli Dei alle Dolls, Gabriella Marazzi continua stupire e a colpire con i suoi ritratti dove è sempre l’umanità a prevalere. Divi, icone, celebrità si alternano a volti sconosciuti e le loro espressioni, mai scontate, rivelano sempre l’essenza della persona più che i lineamenti del personaggio.
L’artista modenese, in un sapiente gioco di equilibrio tra fotografia e pittura, riesce a cogliere frammenti di vita e di morte, forza e fragilità nei sorrisi compiaciuti e rassegnati, nella gestualità di seduzione e nevrosi, nelle smorfie di piacere e di dolore. “L’ironia amara, la rabbia, l’aggressività che possono sembrare solo disprezzo e sfida irriverente nelle mie opere nascondono in verità un infinito amore per la vita”.
Così dice la stessa Gabriella Marazzi che definisce le sue Dolls “bambole creative, arrabbiate, giocose e sensuali; matriarche giovani e femminili, a volte oggetto e soggetto”.
I volti sono quelli di donne celebri o sconosciute ma sempre capaci di comunicare emozioni e felicemente lontane dagli stereotipi convenzionali. La mostra resterà allestita fino al prossimo 3 novembre nella Galleria dell’Associazione culturale Renzo Cortina di Milano.
A chiudere il sipario sulle Dolls sarà Vittorio Sgarbi, estimatore e “presentatore” di tutte le mostre di Gabriella Marazzi, compresa l’antologica del dicembre 2006, intitolata “Dei?” alla Camera di Commercio di Parma.
Per Sgarbi “Gabriella Marazzi attraversa il mondo senza esserne contaminata. Non è distratta, non è solitaria, non è distaccata; è semplicemente altrove.
Ed è proprio questa estraneità, questa distanza dello sguardo, la condizione della sua ricerca, in nessun modo assimilabile all’iperrealismo o alla fotografia…Ognuna di queste donne ha il suo dramma, ha qualcosa che pesa loro addosso, non sono esseri normalmente addomesticati…
Il segno è contraddistinto da un certo lusso erotico nel tratteggio e dà il senso della velocità, del ritratto di una figura che non è mai in posa, pronta ad essere raccolta dall’occhio dell’artista, sembra anzi sempre còlta di sorpresa, come se colei che l’ha disegnata fosse passata in un lampo e l’avesse ritratta nella corsa dell’automobile.”
Un percorso di vita duro e intenso, segnato da picchi di gioia e sofferenza, ha forgiato Gabriella Marazzi, le cui donne, secondo Davide Laiolo, “paiono trasvolare nel vento, stropicciate dall’aria e ti guardano con occhi che, devi riconoscere, hanno da dire cose dolorose ma lo fanno con l’ironia di chi è convinto che le lagrime non servono più”.
Guerriera per natura e ribelle per temperamento, Gabriella, per Domenico Montalto “infilza il nostro perbenismo come farebbe una Artemisia Gentileschi recidiva ma depurata dal sadismo e dalla collera.
Un’Artemisia più tenera e femminile, abbarbicata al rovello di un “fare pittura” vissuto come estremo, ostinato ancoraggio all’intelligibilità delle cose, ai portati del cuore, al sogno - sia pure residuale - di una speranza che sia medicamento del dolore.”

sabato, ottobre 20, 2007

Salvatore Niffoi, l’Invidiato Sardo, conquista il Premio Manzoni a Lecco


Testo e foto di Mara Malda per www.marellagiovannelli.com

Salvatore Niffoi ha vinto il Premio Letterario A. Manzoni - Città di Lecco – 2007 per il romanzo “Ritorno a Baraule” (Adelphi). Lo scrittore sardo si è lasciato alle spalle Melo Freni, secondo con “Le stanze dell’attesa” (Viennepierre) e Laura Pariani, terza con “Dio non ama i bambini” (Einaudi). I tre titoli arrivati in finale sono stati selezionati fra sessanta opere, di autori italiani e stranieri, pubblicate tra il 1 giugno 2006 e il 31 maggio 2007.
Questa la motivazione della Giuria per il primo premio, consegnato a Salvatore Niffoi, venerdì 19 ottobre, al Teatro Sociale di Lecco:" Un Ritorno che è un viaggio nella memoria e nei suoi incubi. Alla ricerca della verità su se stesso, stremato dall’età e dalla malattia, il protagonista di questo “giallo” di respiro epico e solenne riscoprirà, accumulando le tessere di un mosaico tanto enigmatico quanto feroce, le passioni ancestrali di una terra che non conosce mediazione tra l’odio e l’amore. La Sardegna del romanzo di Niffoi parla la lingua densa e ispida, sospesa e irreale dei suoi paesaggi”.
A vincere la prima edizione del “Manzoni”, nel 2005, era stata la scrittrice Antonia Arslan con “La masseria delle allodole”, Editore Rizzoli, da cui è stato tratto l'omonimo film dei fratelli Taviani. Nel 2006, ad imporsi è stata un’altra “penna rosa”: Grazia Livi con “Lo sposo impaziente” (Garzanti).
Il Centro Nazionale Studi Manzoniani, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Regione Lombardia, la Provincia e il Comune di Lecco sono fra gli enti promotori del Premio assegnato, quest’anno, a Salvatore Niffoi. Già vincitore del Campiello 2006, lo scrittore di Orani, al momento, si gode la traduzione dei suoi successi in undici lingue.
Presto ritroverà Mintonia negli affascinanti panni di Caterina Murino, protagonista del film tratto dalla sua “Vedova Scalza” e Carmine Pullana in quelli di Michele Placido, nella versione cinematografica di “Ritorno a Baraule”. Nella penisola e all’estero, Salvatore Niffoi continua a raccogliere soddisfazioni e riconoscimenti ma, anche lui, deve fare i conti con il famoso detto “Nemo propheta in patria”.
In Sardegna, infatti, deve digerire i frutti amari di un male antico: l’invidia. Alcune critiche sono incomprensibili, nella sostanza e nella forma, come il “conformisticamente macaronico”, tributato lo scorso settembre a Niffoi da Massimo Onofri. Tra gli intellettuali sardi, l’imbarazzante resurrezione dell’antico detto “Pocos, locos y male unidos”, è stata per ora frenata dall’antropologo e scrittore Giulio Angioni.
A chiusura di un suo articolo, pubblicato sulla Nuova Sardegna, qualche giorno dopo la sortita di Onofri, Angioni ha scritto “...non ha senso il fastidio per il successo di pubblico e di critica degli scrittori sardi più noti del momento che, si direbbe, tutto il mondo ci invidia. La Sardegna di oggi è anche il successo letterario di Niffoi e della Agus, di Todde e di Fois, irrobustito e supportato da eccellenze consolidate e nuove come quelle di Mannuzzu, di Ledda e di non pochi giovani, sulla solida roccia dei Deledda, Dessì, Satta, Lussu, Atzeni. L’onda c’è, e che sia lunga, magari anche, perché no?, con altre streghe e altri campielli”.

martedì, ottobre 16, 2007

Tra i 6 cibi più terrificanti del mondo saltella il Casu Marzu

Testo e foto in Mara Malda www.marellagiovannelli.com

L’articolo di Tim Cameron, su “I 6 cibi più terrificanti del mondo” pubblicato ed illustrato sul sito americano http://www.cracked.com/, sta facendo il giro del pianeta. La Sardegna si ritrova in classifica con il casu marzu, le cui “larve traslucenti sono capaci di saltare circa 15 cm in aria, rendendo questo l'unico formaggio al mondo che richiede protezione oculare quando lo si mangia. Il sapore è forte abbastanza da bruciare la lingua e gli stessi vermi qualche volta sopravvivono nell’intestino….” E qui il servizio prosegue con una irriferibile descrizione degli effetti (dati per certi, senza nemmeno un condizionale). Il povero casu marzu, infestato deliberatamente dalle larve della mosca casearia che crescono e si nutrono dello stesso formaggio, è al quinto posto. Precede, la sesta ed ultima classificata che è una specialità messicana: le Escamoles, uova di formiche giganti, legate da salsa guacamole. Più terrificante del casu marzu, è il quarto piazzato: il merluzzo norvegese lasciato per giorni nella soda caustica. La terza posizione in classifica è occupata da Baby Mice Wine: un vino di riso coreano dove fermentano topi appena nati e immersi nel liquido ancora vivi. La testa di pecora bollita (Pacha, Iraq), figura al secondo posto ma il giornalista, nella sua recensione, appare alquanto condizionato dagli occhi dell’animale, oltre che dalla quantità di ossa, ossicini e cartilagini. Più azzeccata sembra la scelta del primo classificato Balut, di origine filippina. Sono uova di anatra fecondate e bollite prima di schiudersi, quando lo scheletro del pulcino, già formato, è ancora di consistenza tenera.Inorriditi da simile compagnia, gli estimatori del formaggio marcio, noto anche come becciu, fattitu, frazigu, cunditu, gumpagadu, o casu modde. Secondo Massimo Marcone, docente al dipartimento di Scienze alimentari della University of Guelph (Ontario, Canada), il “casu marzu è un formaggio molto delicato, buono e sano”. Dopo aver effettuato una serie di esami biochimici, il professor Marcone ha “assolto” il formaggio marcio dei sardi, messo al bando, prima da una vecchia legge del 1962 (bollato come “alimento in putrefazione per cattivo stato di conservazione”) e poi dalle norme igieniche comunitarie. Il casu marzu (è preferibile chiamarlo casu modde), negli ultimi anni, ha imboccato la via della riabilitazione. Un comitato, con sede a Ossi, ha avviato la trafila per ottenere da Bruxelles il marchio Dop, lo stesso di cui si fregiano il Pecorino sardo, il Fiore sardo e il Pecorino romano. A portare avanti il progetto, finanziato anche dal Por Sardegna: la Cna sarda alimentare, la Cooperativa allevatori villanovesi e la Genuina di Ploaghe, con il supporto scientifico della facoltà di Veterinaria dell'Università di Sassari. Si punta a lasciare inalterata la qualità, arrivando a produrre il casu marzu in condizioni igieniche perfette.
E’ stato anche protagonista di due filmati, uno realizzato dal National Geographic, l’altro da Discovery Channel e mattatore in un simposio, tenuto qualche tempo fa, a Ollolai. Sono in tanti a chiedere la liberalizzazione, l’uscita dalla clandestinità dell’ospite segreto e ricercato di moltissimi sardi. Oggi però il formaggio con i vermi saltellanti è di nuovo bistrattato, questa volta a livello planetario, visto il suo inserimento nella classifica dei 6 cibi più terrificanti del mondo.

lunedì, ottobre 15, 2007

Domenica archeologica per una full immersion nella storia di Olbia


Testo e foto di Marella Giovannelli per www.marellagiovannelli.com
Davanti alle Tombe dei Giganti, i Nuragici praticavano il rito dell’incubazione. Dopo una preparazione che includeva il digiuno, si addormentavano e attendevano la guarigione, “portata” dai morti che apparivano in sogno.
Questo ed altri usi e costumi degli antichi popoli vissuti in Sardegna, sono stati raccontati dagli archeologi a più di trecento persone che, domenica, hanno partecipato alla manifestazione ArcheOlbia.
Novità assoluta per la città di Olbia, è stata organizzata (dall’amministrazione comunale e dalla Cooperativa Iolao) una mattinata di visite collettive, guidate e gratuite alla Tomba di Giganti di Su Monte ‘e S’Abe, al Pozzo Sacro di Sa Testa, all’Acquedotto Romano e al Museo. Un affollato convegno, tenuto sabato dagli archeologi coinvolti nell’iniziativa, aveva stimolato l’interesse e la curiosità del pubblico.
Gli studiosi hanno ricostruito e sintetizzato con l’ausilio di slides e diapositive, l’avvincente storia di Olbia, città tra le più antiche del Mediterraneo. Hanno anche fornito particolari inediti sui popoli che, nell’arco di 2.800 anni, hanno lasciato tracce della loro presenza sul territorio olbiese. Monumenti, reperti e frammenti, recuperati in enorme quantità durante scavi, sia occasionali che mirati, documentano l’età nuragica, l’insediamento dei Fenici, quello più consistente dei Greci (fondatori di Olbia, con Iolao, nel 630 a.C, secondo lo storico Pausania), la dominazione Cartaginese, quella Romana e l’arrivo dei Vandali che, ad Olbia, anticiparono il Medioevo.
L’idea di essere trasportati, con dei bus navetta, e guidati lungo un percorso ricco di storia, alla gente, non solo di Olbia, è piaciuta moltissimo. Intere famiglie, molte coppie e tanti giovani, si sono iscritti al tour e, domenica mattina, si sono ritrovati, puntuali alle nove, davanti al Municipio, vicino al porto vecchio. Look da Indiana Jones per i turisti, tute da ginnastica e scarponcini per i locali, tutti caricati nei bus diretti ai siti archeologici.
L’archeologo Agostino Amucano ha spiegato le caratteristiche della Tomba dei Giganti di Su Monte ‘e S’Abe che, con i suoi 28 metri è tra le più lunghe di tutta la Sardegna. Questi monumenti, completi di area cerimoniale e mensole per le offerte, sia all’esterno che all’interno, erano le sepolture collettive dei Nuragici.
Dal culto dei morti a quello dell’acqua, testimoniato dal Pozzo Sacro di Sa Testa, scoperto negli Anni Trenta ed utilizzato dai Nuragici, dai Punici e dai Romani. La prova di questa sorprendente continuità d’uso, è nel materiale ritrovato: tazze, monili in bronzo, testine in terracotta e bruciaprofumi di fattura punica; resti di anfore, coppe e statuine di età romana.
Il Pozzo Sacro è stato spiegato, in modo esauriente ed efficace, dalla giovane e bravissima Viviana Pinna. Molto apprezzata anche la visita, coordinata dall’archeologa Giovanna Pietra, all’Acquedotto Romano, uno dei meglio conservati della Sardegna.
A colpire i visitatori sono state soprattutto le arcate, costruite in opera cementizia (grande rivoluzione dei Romani), e l’imponente cisterna che, forse serviva alcune ville o fattorie di notevoli dimensioni.
Ultima tappa: il Museo Archeologico, con Rubens D’Oriano che ha guidato i vari gruppi lungo un percorso distribuito su due livelli. Già pronti gli spazi per accogliere, a breve, i primi due relitti restaurati delle antiche navi romane. I legni, riportati alla luce durante gli scavi per la realizzazione del tunnel, testimoniano l’affondamento ad opera dei Vandali, ricostruito anche con la tecnologia multimediale.
Altrettanto efficace è il maxi plastico del porto antico. Le preziose memorie dell’Olbia nuragica, fenicia, greca, cartaginese, romana e medioevale, messe adeguatamente in risalto, hanno sorpreso ed entusiasmato i tanti che ancora non conoscevano il Museo e il suo contenuto.

martedì, ottobre 09, 2007

Sulle tracce di Guttuso a Padru si ritrovano frammenti di vita occultata

Nella foto: opera congiunta a 4 mani tra Guttuso e Mister Luna dimensione 230x160 denominati Zodiaco, specchi Galleria Cà d'Oro Roma 1980.
Nel ventennale della morte del grande pittore siciliano, la mostra allestita dalla Provincia di Potenza e curata da Rino Cardone, è stata riproposta a Padru, piccolo paese gallurese a pochi chilometri da Olbia, con il titolo “Sulle tracce di Guttuso”. Nel programma (auto-imposto dalla "Biennale Isole") sui Maestri del Novecento che, in qualche misura, hanno avuto a che fare con la Gallura, non poteva mancare Renato Guttuso. L’artista, già celebre, arrivò in Sardegna nel 1963 per presiedere il 3° Premio di Pittura “Città di Olbia”. La scelta del Maestro siciliano, come Presidente della Giuria, fu dovuta alla sua fama e a motivazioni politiche. Nel catalogo della mostra di Padru è riportata una foto del 1963, pubblicata, a suo tempo, anche nella Nuova Sardegna, dove il Maestro Guttuso, affiancato da Aldo Cesaraccio noto “Frumentario” e dal professor Gerolamo Sotgiu, premia il pittore Lino Pes, allora ventitreenne, attualmente direttore del Premio Isole ed inventore della Rassegna Maestri del Novecento. “Galeotto” per l’accettazione dell’invito, da parte del pittore, fu, forse, un amore locale e clandestino. Nei pochi giorni trascorsi ad Olbia, Guttuso fu infatti ospite, in varie circostanze, presso i parenti dell’allora sua “Musa ispiratrice” che trascorreva lunghi periodi ad Olbia ma, solitamente, viveva a Roma. Dall’amorosa amicizia fra Renato Guttuso e la signora C.P., nacque Antonello che, nella fase finale e travagliata della vita terrena di Guttuso, si ritrovò (per poi sparire una volta tacitato con un sostanzioso assegno), al centro di una controversa questione ereditaria. Ad essere coinvolti, in diversa misura e a vario titolo furono, tra gli altri: la contessa Marta Marzotto sua amante e modella per vent’anni (allontanata dal letto di morte per una presunta “conversione” del Maestro); la signora C.P.,madre di Antonello (unico figlio naturale del pittore); i parenti di Mimise Dotti (moglie di Guttuso, morta pochi mesi prima di lui) e il segretario tuttofare Fabio Carapezza che l’artista siciliano, per la regia di un notissimo uomo politico e di un illustre prelato, adottò, a tempi di record, tre mesi prima di morire. In quegli anni, Carapezza, come non tutti sanno, era il fidanzato di Marisa Laurito che, in un popolarissimo programma di Renzo Arbore, l’aveva ribattezzato, in modo alquanto irriverente, “Scrapizza” (con la erre arrotata), diventato un personaggio-cult della trasmissione. Completato l’iter della adozione-lampo, l’ex “Scrapizza” oggi Fabio Carapezza Guttuso, presiede la Commissione Mibac , per la sicurezza del patrimonio culturale nazionale e gestisce l’intero lascito artistico del Maestro, attraverso l'Associazione Archivi Guttuso (www.guttuso.com). Nel sito ufficiale si legge che è “nata per promuovere la conoscenza dell'opera di Guttuso e la sua catalogazione, ha sede nello studio del Pittore a Palazzo del Grillo a Roma”. Inoltre si specifica che tale istituzione “ha la rappresentanza legale dell'Artista, per la difesa dell'opera e della memoria”. Ma, visto che si parla di “memoria”, nella biografia di Renato Guttuso, riportata sul sito, non c’è traccia, neanche una minima citazione del rapporto dell’Artista con Marta Marzotto. La mancanza di memoria, in questo caso, cancella anche il sodalizio artistico tra il pittore e la modella, comunque riconoscibilissima in numerose composizioni e studi preparatori. Le tracce di Guttuso in Gallura portano anche all’invenzione scenografica della terrazza mediterranea nel salotto e nel bagno dell’ex villa Marzotto a Porto Rotondo.

Dove vai Velázquez?


Testo e foto in www.marellagiovannelli.com (sezione Marella Giovannelli)

"Dove vai Velázquez?"
Questo scritto, curioso in tutti i sensi, opera non recente del pittore olbiese Lino Pes, è un omaggio d'amore e provocazione al celebre artista spagnolo, definito nel 1752 da Jacques Lacombe “genio ardito e penetrante, pennello fiero, colore vigoroso e tocco energico”.

"Le niñas hanno occhi che vedono
il tuo amore diverso per i nani
Dove vai Velázquez?
La stanza del Retiro
umida d'orina
non contiene la tua ombra
oltre la porta.
Venere allo specchio
ha smesso i panni neri
della dama col ventaglio e al frusciare di seta
stringe le grandi labbra.
Dove vai Velázquez?
Tu non hai brividi
per la donna dietro la tenda ?
Il cane del re
non può che sognare la caccia
o nascondere la coda
alla molestia del fanciullo.
Dove vai Velázquez?
Tu che conosci il sudore minuto
e il ghigno malato del papa
Dove vai Velázquez?
La verga rossa del buffone
castiga i nani.
Il ragazzo di Vallecas
ride dell'Infante
e il principe Baltasar
piscia sui broccati vermigli.
Dimentica i santi Velázquez !
Quando le ore bussano alla porta
socchiusa ai campanelli d'ottone
le niñas hanno occhi grandi di cane
e vedono il tuo amore diverso
per i nani.
Dove vai Velázquez?"

mercoledì, ottobre 03, 2007

Quell'estate del 1986 con Margaux Hemingway a Porto Rotondo




“It is the same old story (no love and glory!)”. Questa frase è contenuta in una cartolina postale che, l’altro giorno, mi sono ritrovata fra le mani. Ad inviarmela, nell’ottobre del 1986, era stata Margaux Hemingway, amica bella e sfortunata, che, quell’estate, aveva trascorso le sue vacanze ospite di Enrico Coveri, in una villa da lui presa in affitto a Porto Rotondo, nell’insenatura di Punta Volpe. La stessa villa, qualche tempo dopo, è stata acquistata da Veronica Lario Berlusconi che, a sua volta, qualche anno fa, ha venduto la grande casa, a pochi metri dal mare, al russo Roustam Tariko.
Nel 1986 Margaux aveva 31 anni, una carriera di attrice e top-model già alle spalle. Invitata a Porto Rotondo da Enrico Coveri (geniale stilista, morto nel 1990), la nipote del grande scrittore Ernest Hemingway, arrivò preceduta dalla sua fama di donna splendida, protagonista del jet-set internazionale, ricercata nel mondo del cinema e in quello della moda.
Margaux invece, spiazzò tutti. Era di una semplicità disarmante; sempre inquieta, a volte triste. Succedeva quando parlava delle sue storie d’amore fallite, dei chili che non riusciva a perdere, delle delusioni professionali e della solitudine da cui era ossessionata.
Ma, dopo qualche giorno, recuperò un’allegria contagiosa riscoprendo l’amore per il mare, lo sport e il cibo sano. Mi ricordo le nuotate al largo di Punta Volpe; lei amava indossare, anche in acqua, una maglietta bianca. Una sera le presentai un avvocato romano, nostro amico e ospite a casa mia, a Porto Rotondo. Margaux e Roberto si piacevano anche se, entrambi, si portavano dietro ricordi, non smaltiti, di storie precedenti. Memorabile fu una trasferta-lampo da Porto Rotondo a Palma di Maiorca per una festa della De Beers.
Avevano invitato Margaux come testimonial e lei chiese a me e a Roberto di accompagnarla. Ci disse che un aereo privato ci aspettava ad Olbia ma, arrivati al “Costa Smeralda”, ci trovammo davanti a un aeroplanino che sembrava un giocattolo tanto era piccolo. Roberto ed io volevamo tornare indietro ma Margaux ci convinse a salire, invitandoci “ad affogare la paura nello champagne “ che lei, previdente, aveva portato. Arrivammo a Palma di Maiorca in uno stato allegramente confusionale tanto che, di quella festa, non ricordo assolutamente nulla. Comunque ritornammo sani e salvi a Porto Rotondo e, a fine estate, Margaux partì in una forma sicuramente migliore di quando era arrivata. A ottobre ricevetti quella cartolina dove, tra l’altro, lei mi scriveva “Come and visit me”, cosa che, purtroppo, non ho mai fatto.
Dieci anni dopo quella vacanza sarda, il 1 luglio 1996, a Santa Monica, in California, Margaux si è tolta la vita con una overdose di sedativi, esattamente nel trentacinquesimo anniversario del suicidio di suo nonno Ernest Hemingway. Margaux mi aveva parlato più volte di quel destino tragico che aveva unito il celebre nonno, il bisnonno Clarence, lo zio Leicester e la zia Ursula. Suoi incubi costanti erano la catena dei suicidi e le storie di alcolismo all’interno della famiglia Hemingway.
Ad accompagnare la notizia della morte di Margaux, una specie di bollettino della disperazione, dove si ricordava il suo ricovero al Betty Ford Center nel 1988, la bancarotta del 1990 e un arido elenco dei cosiddetti “fattori di rischio”, comprendente l’alcolismo, l’epilessia e la bulimia. A me, di Margaux, morta senza amore e senza gloria, restano solo quella cartolina dell’ottobre 1986 e dei bellissimi ricordi.

giovedì, settembre 27, 2007

Bufala sardo-pietosa montata e smontata a tempo di record

Mara Malda per http://www.marellagiovannelli.com/
Bufala sardo-pietosa (sotto tutti gli aspetti) dalla vita brevissima, quella sparata martedì 25 settembre dall’Unione Sarda, con richiamo in prima pagina. La vicenda strappalacrime del povero vedovo ultrasettantenne, sorpreso a rubare un pacco di pasta e un pezzo di formaggio in un negozio del quartiere cagliaritano di Is Mirrionis, aveva commosso tutta l’Italia. Era piaciuto soprattutto il lieto fine con il perdono dei titolari della “piccola bottega”, promotori anche di una gara di solidarietà per aiutare l'uomo. Una riga decisamente surreale, tipo “ Il destino ha voluto che accadesse l'imprevisto. I pantaloni non hanno retto il peso e il malloppo è caduto per terra”, ha suscitato nei lettori più di un dubbio sul destino dei calzoni, caduti anche loro (forse si, forse no) insieme alla refurtiva.
A parte qualche dettaglio, sembrava uscita dal libro “Cuore” la storia firmata dal giornalista Alessandro Testa che ora dovrà spiegare i vari ingredienti del pasticcio da lui combinato. La notizia era stata ripresa e rilanciata dai media nazionali e dalle principali agenzie di stampa. Sulla vicenda, fra gli altri, erano intervenuti il Ministro Paolo Ferrero, il Sindaco e i Servizi sociali del Comune di Cagliari, le associazioni di consumatori Adusbef e Federconsumatori.
Ma, per ulteriore e crudele beffa del destino, il caso pietoso dell’anziano vedovo di Is Mirrionis, “scoperto” dall’Unione Sarda è stato smontato, il giorno dopo, dal giornalista Enrico Fresu del quotidiano rivale & risorto Sud Sardegna del gruppo E-Polis. Galeotta è stata la foto del negozio, pubblicata a corredo (imprudente) dell’articolo. Spacciato per una bottega di Is Mirrionis, si trova invece a Valsavarenche in Val d’Aosta; si chiama “Chez Sandro”, dal nome del proprietario Sandro Oddone. Per questo, a Is Mirrionis, non c’è traccia del minimarket spuntato come un fungo (valdostano) sull’Unione Sarda di martedì scorso. Fantasma anche il pensionato-disperato-perdonato dopo il tentato furto ai danni dell'altrettanto fantomatica coppia di negozianti Ignazio Fenudu e Valentina Camba. Le loro fanta-interviste, miracolosamente virgolettate, sono apparse su Repubblica, la Stampa e l'Unità. Anche su questo imbarazzante risvolto dovrà fare dolorosa ma necessaria chiarezza l'Ordine dei giornalisti della Sardegna che ha aperto un'inchiesta sul caso. Intanto, sull’Unione Sarda di oggi, in una nota indirizzata “ai lettori” sulla “vicenda del pensionato”, sempre nella cronaca di Cagliari, ma senza richiamo in prima pagina, si legge testualmente: “Martedì abbiamo dato notizia del pensionato sorpreso a rubare per fame in un market di Is Mirrionis. Questa notizia, portata ed elaborata da un nostro cronista, si è rivelata poi totalmente falsa. Chiediamo scusa ai lettori e, per difendere la credibilità di tutta la redazione e la serietà e la correttezza che hanno sempre contraddistinto L'Unione Sarda, l'Azienda ha deciso di avviare, nei confronti del giornalista responsabile, il procedimento disciplinare previsto dalla legge, riservandosi di adottare i provvedimenti adeguati alla gravità del caso”.

mercoledì, settembre 26, 2007

Con il nonno barbaricino dei sorbetti tra cavalli, barche e tisane

Mara Malda per www.marellagiovannelli.com

Dopo Valeria Marini e Valentino Rossi, atterrati in elicottero nei primi due tornei di Polo in Costa Smeralda, la sorpresa settembrina, per la terza edizione, è arrivata sempre dall’alto. Senza pale ma con una paletta, non dal cielo ma dalla montagna di Aritzo. Direttamente dalla Barbagia per gli ospiti del Polo Village, allestito nel Centro Ippico Shergan a San Pantaleo, si è materializzata “sa carapigna” di Aritzo, l’antico gelato di limone, antenato dei moderni sorbetti. La sua produzione risale al 1600 e, fino a qualche decennio fa, si preparava con la neve che veniva raccolta dentro buche profonde, poi ricoperte con frasche, felci e terra. La neve, nella grande fossa, diventava un blocco di ghiaccio, anche grazie all’altezza e alla posizione del paese del Gennargentu.In estate poi si recuperava il blocco, custodito durante tutto l'inverno e si utilizzava per la preparazione della “Carapigna”. La ricetta, più o meno, è rimasta la stessa, come gli utensili e la lavorazione, sempre oggetto di grande meraviglia per la squisitezza del risultato finale.Davanti al gelataio di Aritzo, in trasferta fra i cavalieri del Polo in Costa Smeralda, si è formato un lungo serpentone che si è poi schierato, con la coppetta in mano, a tifare per le squadre in campo. Carapigna sotto il tendone anche per Tom Barrack, infortunato ad una mano e quindi fuori gioco. Il suo team “Cala di Volpe” è andato in finale ma, dopo una partita combattuta sino all’ultimo, è stato sconfitto dall’Arfango di Alberto Moretti. La squadra dell’Audi, impegnata nel torneo, ha trovato anche il tempo di portare la splendida cavalla Capirina dal campo di polo di San Pantaleo alla banchina di Porto Rotondo per una visita aziendal-promozional-sportiva, in occasione della regata Audi Invitational. Ad ammirare la cavalla, i campioni dello sport di ieri e di oggi (da Filippo Magnini a Francesco Moser passando per i fratelli Abbagnale, Riccardo Pittis, Antonio Rossi, Claudio Chiappucci, Daniele Massaro, Jury Chechi, Gustavo Thoeni, Giorgio Di Centa e altri ancora). Tempo di regate anche per lo Yacht Club Costa Smeralda che sta festeggiando i suoi primi 40 anni con una raffica di manifestazioni, coppe e trofei assegnati ad armatori ed equipaggi provenienti da tutto il mondo. Intanto, ad Olbia, è stato inaugurato il Centro Benessere Maurice Messeguè del Geovillage, con un percorso d’acqua, bellezza e salute che ha entusiasmato persino il Vescovo Mons. Sebastiano Sanguinetti. L’alto prelato, “cavia eccellente”, è stato anche il primo ad assaggiare la tisana speciale, preparata e servita dal naturopata Marc Couget.

martedì, settembre 18, 2007

Il giro della Sardegna, in coppia, a piedi, in 80 giorni


Testo di Mara Malda e foto di Riccardo Carnovalini in www.marellagiovannelli.com


Riccardo Carnovalini e Roberta Ferraris, piemontesi delle Langhe, sono partiti da Olbia, a piedi, il 27 giugno scorso per tracciare, lungo le coste sarde, il “sentiero mare” più bello del Mediterraneo.
I due camminatori, compagni di vita oltre che di strada, hanno centrato l’obiettivo, compiendo il giro dell’Isola in 80 giorni.
Hanno camminato per 565 ore effettive, percorrendo 1.500 chilometri e tenendo una media di 20 km. al giorno. Riccardo e Roberta sono autori di numerose pubblicazioni sui sentieri italiani e stranieri.
Proprietari di una piccola azienda agricola e di un gregge di capre hanno dovuto attendere il periodo dell’alpeggio per poter cominciare la lunga trasferta sarda.
Oggi sono tornati ad Olbia, ricevuti dal Sindaco Gianni Giovannelli in Municipio, per divulgare la “cultura del viaggio lento” . Riccardo e Roberta hanno girato a piedi, zaini in spalla (25 chili per lui e 20 per lei) le coste della Sardegna più quelle delle isole minori di Sant’Antioco, San Pietro, La Maddalena e Caprera.
Si sono portati appresso l’attrezzatura fotografica, un tavolozza con acquarelli e una tenda dell’ultima generazione. Stipati nel bagaglio, tra le tante cose, figurano anche una pentola, una padella ed un fornelletto ad alcol.
Riccardo Carnovalini, apprezzato fotografo naturalista oltre che instancabile camminatore, ha documentato con 5.000 scatti digitali una realtà definita “confortante”: il 70% delle coste sarde si sviluppa in scenari dove la natura è ancora splendida dominatrice.
In molti tratti della fascia costiera, la situazione da lui rilevata nell’estate del 2007, è praticamente uguale a quella di quarant’anni fa. La conclusione, sicuramente positiva, è emersa dal confronto con le immagini scattate allora dal celebre collega Italo Zannier.
I due camminatori hanno spiegato che la valorizzazione dei sentieri, sull’esempio di quanto accade nella vicina Corsica, a fronte di piccoli investimenti da parte delle istituzioni, contribuirebbe alla promozione del patrimonio naturalistico locale, all’attrazione di nuovi flussi turistici nazionali ed internazionali e alla tutela della ricca biodiversità che caratterizza gli splendidi ambienti naturali delle coste sarde.
Riccardo e Roberta, oggi si ritrovano con cinque chili di meno ciascuno e dieci itinerari in più per la Guida “Sentiero Mare” (editore “Terre di mezzo”). I due camminatori, nel loro spettacolare giro a piedi della Sardegna in piena estate, hanno superato non pochi problemi dovuti alle difficoltà nell’approvvigionamento idrico e al proliferare di recinzioni, chiusure e vincoli (compresi quelli militari) che rendono impraticabili o inaccessibili diversi itinerari.
Sono però riusciti a sensibilizzare gli amministratori locali e l’opinione pubblica sull’importanza di ritrovare i sentieri perduti, cancellati o sacrificati tra incuria e speculazione, nell’indifferenza generale.

giovedì, settembre 13, 2007

Intervista di Francesco Canino a Marella Giovannelli pubblicata sul settimanale “Tu” in edicola dal 12 al 18 settembre 2007




www.marellagiovannelli.com (sezione Mara Malda)

Se pensi che la Costa Smeralda sia solo feste targate Lele Mora o serate in stile “Billionaire”, ti sbagli di grosso: c’è un’altra Costa, fatta di party super esclusivi, in cui la protagonista è Marella Giovannelli, giornalista e poetessa sarda che ha una villa a Punta Lada, considerata la regina del gossip: dietro lo pseudonimo di “Mara Malda”, sul sito www.marellagiovannelli.com svela i rumor più inediti. L’abbiamo chiamata per fare un bilancio di fine estate.
D- Pronto Marella come stai?
R- Bene, stavo riguardando le mie raccolte di poesie per trovare un sonetto in cui parlo della regressione della Costa Smeralda: dopo“Vallettopoli” speravo che certe persone tenessero un profilo basso. Invece sono diventati dei modelli. Terrificante!
D- Da anni non perdi un evento mondano…
R- Certo, è il mio lavoro. Solo che sono stufa: la Sardegna è diventata una vetrina dove chiunque può attingere un po’ di visibilità. Se ripenso a cosa è accaduto in piazzetta a Porto Cervo mi viene ancora da ridere.
D- Forza, raccontaci.
R- Un pomeriggio è arrivato l’Aga Khan (il principe Ismaelita che negli anni ’60 ha creato la Costa Smeralda, ndr). Ho visto un codazzo di persone che si muovevano nella sua direzione e ho pensato: “Se la gente ha così tanta curiosità per lui, qualcosa sta cambiando”. Invece, pochi metri più in là c’era Lele Mora e la gente voleva a tutti i costi fotografare lui.
D- Sei stata l’unica giornalista ad incontrare Woody Allen a Porto Rotondo.
R- Ha fatto tappa qui prima di volare a Venezia. E’ di una semplicità disarmante: è arrivato tenendo per la mano i suoi figli, scortato dalla moglie e baby sitter.
D- Dalla tranquillità della famiglia Allen a Zucchero che ha insultato il pubblico durante un concerto al Cala Di Volpe.
R- Già al concerto io c’ero: è stato arrogante e maleducato. Credo che si cerchi di riempire la noia e il nulla che avanza con la rissosità e altri aspetti negativi.
D- Di Mora e Corona che dici?
R- Lele è abile e fa molto bene il suo mestiere. Di Fabrizio Corona ho letto che a Venosa gli hanno tirato i pomodori: hanno fatto bene così si ridimensiona un po’. Però mi intristisco quando sento episodi come quello accaduto giorni fa qui in Sardegna. Corona è stato ospite in una discoteca ed entrando il dee-jay ha gridato: “Ecco l’uomo che ha cambiato l’Italia”. Certe parole fanno riflettere.
D- Un auspicio per la prossima estate?
R- Vorrei che fosse l’anno della rinascita sarda, che non si parlasse di questa terra solo per gli avanzi di balera e di galera, ma per la grande voglia di cultura e di arte. Abbiamo toccato il fondo: ora si può solo risalire!

lunedì, settembre 10, 2007

Imbiancare l’affresco di Guttuso? Bufala d’autore di fine estate


Testo e foto esclusive di Mara Malda per www.marellagiovannelli.com

I tetti affrescati da Renato Guttuso nell’ex-villa Marzotto a Porto Rotondo possono dormire sonni tranquilli. Irina Garber, l’affascinante russa che, insieme al marito (felicemente in carica) ha acquistato la villa appartenuta, prima a Marta e poi a Paola Marzotto, non hai mai contemplato l’idea di una loro “rimbiancata”. L’indiscrezione, apparsa a pagina 51, all’interno di un lungo articolo, firmato da Agostino Gramigna e pubblicato sull’ultimo numero del Corriere della Sera Magazine, ha fortemente disturbato la signora.
Irina e il marito (già brillante psicoendocrinologo e ora banchiere specializzato in investimenti internazionali), proseguendo nella lettura, si sono anche fatti delle grandi risate. “Non sapevamo di essere separati - spiega lei - visto che siamo sposati ( e conviventi) con reciproca soddisfazione da diciassette anni”. Esilarante, per la signora Garber, anche un’altra bufalotta, sempre contenuta nel servizio di Gramigna che, pur usando il “pare” scrive di una Lamborghini regalata al figlio dodicenne per il suo compleanno.
“Nostro figlio – precisa mamma Irina – non ha dodici anni ma dieci; non avendo la patente l’unica Lamborghini che ha ricevuto è un modellino da mettere sul comodino della sua cameretta”. Incontriamo Irina Garber nella villa acquistata alla fine del 2006 da Paola Marzotto. E’ ancora molto risentita per le frasi che la riguardano, lette con sua grande sorpresa e notevole rabbia sul Magazine del Corriere. “Totalmente falsa ed inventata di sana pianta - continua - anche l’affermazione del giornalista, secondo il quale io sarei rimasta un po’ male, quando sono entrata per la prima volta nella villa, perché Paola Marzotto s’era portata via pure le lampadine”.
Irina ribadisce che “questa affermazione, oltre ad essere priva di ogni fondamento, mi ha fatto male anche perché ho un’ottima opinione di Paola Marzotto che si è sempre dimostrata disponibile e gentile con me e con mio marito”. Ma, in cima alla “classifica delle sciocchezze” riportate dal giornalista, Irina mette sicuramente il suo presunto “dubbio” sul mantenimento dei celebri tetti affrescati da Renato Guttuso nel salone della villa abitata, in quegli anni, dalla sua amata “musa” Marta Marzotto, madre di Paola.
“Siamo talmente orgogliosi e innamorati di questo affresco – ribadisce la Garber – da aver chiamato degli specialisti nel restauro conservativo che hanno esaminato sia i Tetti del salone che le Colombe dipinte nel bagno per evitare qualsiasi rischio causato dall’umidità o da altri fattori. Abbiamo anche ordinato la scritta “Omaggio a Guttuso” che verrà incisa sulla grande pietra sistemata davanti all’ingresso della villa. Nell’articolo è scritto che io ho “cambiato i connotati della dimora”, riempiendola di divani in seta con filamenti di oro. Anche questa è un’invenzione visto che, in casa, non c’è niente di simile.
Proprio per esaltare la bellezza dei tetti di Guttuso, ho studiato un arredamento molto semplice, pulito e senza fronzoli. Naturalmente ho dovuto mettere a norma l’impianto elettrico visto che la casa è stata costruita tanti anni fa e, forse da questo particolare, è nata la storiella delle lampadine". Il giornalista, per Irina, riferisce almeno una mezza verità quando scrive del Buddha sistemato in giardino; in effetti lui c’è ma è rosso e non azzurro.
Irina Garber vorrebbe capire perché si è ritrovata su un magazine così prestigioso e diffuso, descritta come una ex-moglie con dubbi sul mantenimento di un’opera d’arte mai messa in discussione. “In questi giorni - racconta - continuo a ricevere telefonate da amici sconcertati che mi chiedono notizie sul mio matrimonio e sull’affresco di Guttuso. A tutti rispondo che stanno entrambi benissimo e vorrei invitare Maria Luisa Agnese, Direttrice del Corriere della Sera Magazine, a Porto Rotondo. Sarà nostra gradita ospite e potrà verificare personalmente lo stato reale delle cose".

giovedì, settembre 06, 2007

La Certosa vista dall’alto, aspettando i cinghiali


Marella Giovannelli per www.marellagiovannelli.com
Foto esclusive
Svolazzando su Porto Rotondo in queste giornate settembrine è difficile resistere alla tentazione di fotografare case già realizzate o in costruzione, giardini e scorci più o meno noti, lavori in corso e qualche sorpresa.
Visto il pollice sempre più verde di Silvio Berlusconi, il nostro viaggio comincia dal parco della Certosa a Punta Lada.
Dopo l'anfiteatro per gli spettacoli e quello che ospita i cactus, sono stati realizzati l’orto mediceo, l’agrumeto, l’uliveto, il palmeto, il roseto, la grande serra e la voliera-giardino delle farfalle.
La preoccupazione degli “addetti ai lavori” ora sono le incursioni dei cinghiali, da sempre affezionati visitatori del parco certosino che cominciano a frequentare appena finisce l’estate.
Un giardiniere particolarmente creativo ha suggerito di creare un percorso “civetta” per attirare i cinghiali nella pizzeria e nella gelateria del Cavaliere; un altro ha proposto di sistemare esche irresistibili all'ingresso del labirinto e della grotta con lo Zodiaco.


P.S Foto esclusive, vietata la riproduzione.

mercoledì, settembre 05, 2007

Coda d'estate con "Stella" più altre sorprese greco-spagnole e sarde




Testo e foto di Mara Malda per www.marellagiovannelli.com

Coda d’estate attorcigliata per Mara Malda, alle prese con una serata spagnola al Melià di Olbia più una serie di impegni precedenti e successivi.
Il gemellaggio culinario con la città di Valencia include l’assaggio di antipasti, tre tipi di paella e dolci con accompagnamento di vini squisiti.
Il tutto dopo una visita-lampo al leggendario yacht “Christina O”, attraccato al porto vecchio di Olbia.
Il panfilo, già appartenuto ad Aristotele Onassis, ora è una nave da crociera ma il suo valore aggiunto è quello dei ricordi. Saloni e stanze del “Christina O.”, in tempi non lontanissimi, hanno ospitato amori & personaggi entrati (e non ancora usciti) dalla storia.
L’elenco, comunque sommario, comprende Maria Callas, John e Jacqueline Kennedy, Winston Churchill, Grace Kelly, Ranieri di Monaco, Elizabeth Taylor, Marilyn Monroe, John Wayne, Ava Gardner, Marlène Dietrich e Rudolph Nureyev.
Ancora emozionata dopo la visione, più pragmatica che leggendaria, dei croceristi del “Christina O.” tra il camino di lapislazzuli e gli sgabelli del bar foderati con pelle di scroto di balena, mi sono consolata con la cena spagnola. Gustata moltissimo malgrado il pensiero dell’alzataccia fantozziana alle quattro e trenta del mattino per non rischiare di perdere il primo aereo diretto a Roma.
Invitata da Maurizio Costanzo che, dopo la pausa estiva, ha ripreso il suo nuovo programma “Stella” su Sky Vivo, ho dormito circa tre ore svegliandomi come un pitone stordito dopo gli eccessi della seratina iberica.
Miracolosamente arrivata, prima in aeroporto, e poi al teatro Parioli di Roma, ho trovato, fra gli ospiti in studio da Maurizio Costanzo, anche due Alfonsi(Pecoraro Scanio Ministro e Alfonso Signorini Direttore di Chi), Melita la Diavolita (molto dispiaciuta per la calendario-polemica in corso con il Sindaco di Gibellina) e Mataji Booker, una cantante-chitarrista straordinaria accompagnata dal percussionista Daniele Amato.
Nella frenetica coda estiva maramalda, rientrata a Porto Rotondo subito dopo la diretta televisiva, inserisco anche l’incontro con la metà di Rosanna Cancellieri, vista a casa di Gabriele e Giulia Cumini a Porto Rotondo.
L’altra metà della Cancellieri, con sua grande soddisfazione, è stata praticamente prosciugata da tre anni intensivi di Pilates.
In attesa di altre emozioni e/o indigestioni, il concerto dei Tazenda, applauditi ad Olbia da più di diecimila persone, resta fra le cose più belle dell'estate 2007.